Skye Boat Song

Le numerose vite della Skye Boat Song

Il 16 aprile 1746 a Culloden, non lontano da Inverness, fu combattuta l’ultima battaglia in campo aperto sul suolo britannico. L’esercito di Sua Maestà Re Giorgio II di Hannover, comandato da suo figlio il Duca di Cumberland, affrontò l’insurrezione giacobita[1] guidata da Carlo Edoardo Stuart, noto come il Giovane Pretendente e affettuosamente ricordato dai suoi partigiani come Bonnie Prince Charlie, il bel principe Carlo. In gioco non era solamente la legittimità della dinastia regnante, ma anche una possibile restaurazione del cattolicesimo quale religione ufficiale in Gran Bretagna. La battaglia di Culloden si risolse in un massacro: le giubbe rosse inglesi, un esercito moderno, professionale e ben addestrato,  agli ordini di un comandante esperto, fecero strame dell’armata giacobita, composta per la maggior parte da scozzesi delle Highlands che impiegavano ancora tattiche medievali e combattevano all’arma bianca. Carlo Stuart fu costretto alla fuga, e non rimise mai più piede oltre la Manica[2]; con il Giovane Pretendente tramontava il sogno di una restaurazione Stuart. I clan delle Highlands vennero finalmente assoggettati alla legge del regno, ponendo fine alla loro autonomia e al contempo portando in Scozia una legislazione ammodernata.

Ben presto, la battaglia di Culloden e la fine del movimento giacobita lasciarono la dimensione della Storia per entrare in quella del mito: la sconfitta contro forze esorbitanti accrebbe la gloria degli Highlander, e il Romanticismo coltivò l’ideale di una lotta nazionale scozzese, che nella disfatta aveva conquistato l’eterna rinomanza di una nobiltà tragica. E tragico divenne anche Carlo Stuart: dimenticato il ridicolo di cui era stato oggetto in tutte le cancellerie europee, il Giovane Pretendente fu considerato il più fulgido esempio di valore di fronte alle avversità, di lotta strenua contro ostacoli insormontabili, un eroe degno delle tragedie di Alfieri – il che è ironico, visto che Alfieri ne sedusse la moglie, ma sorvoliamo su questi dettagli triviali e degradanti. I fatti di Culloden si prestavano perfettamente a quel sentimento di folklore nazionale e romantico che stava sorgendo

Nel racconto dei fatti dell’insurrezione, si guadagnò una certa importanza il resoconto della fuga di Carlo, sia per la sua connotazione eroica sia per la composizione avventurosa: il Giovane Pretendente si nascose nelle brughiere scozzesi, tallonato dall’esercito lealista che riuscì sempre ad anticipare; gli Highlander fornirono aiuto e protezione, e nessuno volle consegnarlo per la cospicua taglia promessa dalla Corona. Alla fine, una tempesta costrinse Bonnie Prince Charlie a cercare riparo a Benbecula, nelle Ebridi esterne: nonostante Benbecula fosse rimasta lealista, la popolazione locale era fedele a Carlo e lo tenne nascosto, ma le ricerche si fecero sempre più stringenti, e lady Flora MacDonald riuscì a contrabbandare il principe, travestito da cameriera, in barca fino all’isola di Skye, da cui egli avrebbe poi fatto ritorno sul continente.

Alexander Johnston, La presentazione di Lady Flora MacDonald al principe Carlo Edoardo Stuart dopo la battaglia di Culloden, 1846-1860, olio su tela, Walker Art Gallery, Liverpool.
Alexander Johnston, La presentazione di Lady Flora MacDonald al principe Carlo Edoardo Stuart dopo la battaglia di Culloden, 1846-1860, olio su tela, Walker Art Gallery, Liverpool. Lady Flora scontò a caro prezzo la propria lealtà. Incarcerata nella Torre di Londra, fu liberata grazie alle sottoscrizioni di molti ammiratori, tra cui nientemeno che il Principe di Galles, colpiti dalla carità del suo gesto. Emigrata nelle colonie americane, rimase fedele a re Giorgio III e fu pertanto ostracizzata e colpita dalla confisca dei beni dei lealisti a seguito dell’indipendenza. Tornò in povertà in Scozia dove morì. Lo storico J.P. MacLean le attribuisce in tarda età la frase: «Ho servito la casa di Stuart e la casa di Hannover, e ho perduto per entrambe».

I fatti sopra riportati sono generalmente accettati da tutti gli storici e i commentatori. Quello che tuttavia è ampiamente discusso è l’interpretazione: lunghi anni di leggende, tradizioni e patriottismo hanno dipinto la campagna del 1745 con sfumature assai più eroiche e poetiche di quella che è stata la grigia e confusa realtà. Una lettura classica dipinge l’insurrezione giacobita come una riscossa della vera fede cattolica contro il vile usurpatore protestante, quando in realtà vi erano appartenenti delle due confessioni in entrambi gli schieramenti; ancora più noto e diffuso in tempi recenti è il ritratto di Culloden come l’ultima battaglia perduta per l’indipendenza della Scozia contro l’Inghilterra, ma ciò richiede di trascurare come i due regni fossero ormai uniti legalmente da quarant’anni e materialmente da tutto il secolo precedente, e come tre dei quindici reggimenti del Duca di Cumberland fossero di scozzesi rimasti fedeli agli Hannover.

D’altronde, non è solo nel vecchio West che, «se la leggenda diventa realtà, vince la leggenda[3]»: il potere dell’immaginario è inarrestabile, specialmente quando si lega al senso di appartenenza di una comunità e diventa un mitomotore fondativo. Lasciamo agli storici di professione – o quantomeno agli specialisti del periodo – di ricostruire i rapporti tra i clan delle Highlands, i movimenti dell’armata giacobita, gli ultimi anni in esilio del Giovane Pretendente. Quest’oggi ci occuperemo di una testimonianza del mito di Carlo nella cultura popolare dei secoli seguenti, e del suo imprevedibile vigore.

Come ben sappiamo, il Romanticismo segnò un periodo di riscoperta delle tradizioni popolari, e a volte di vera e propria invenzione di tradizioni qualora non si riusciva a scoprirne di autenticamente interessanti; l’Europa uscita dalla Rivoluzione Francese non poteva più credere alle lealtà dinastiche e dovette quindi ricostruirsi a partire dalle nazioni, quelle che Manzoni definiva con precisione insuperata comunità «d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor[4]». Le memorie condivise divennero con una forza sino allora mai immaginata lo strumento per legare assieme i popoli, e l’arte popolare fu il mezzo necessario a questo scopo.

Accadde così che verso il 1870 Anne Campbelle MacLeod, durante una gita in barca in un lago dell’isola di Skye, udì i rematori darsi il ritmo con un canto gaelico da cui rimase molto impressionata, al punto da trascriverne la melodia. Il suo intento era di inserirlo in un libro di melodie e poesie tradizionali al quale stava lavorando assieme a sir Harold Boulton, baronetto inglese appassionato del folklore scozzese. Sir Harold ne rimase affascinato, e vi accompagnò dei versi di sua invenzione, con cui la melodia divenne indelebilmente associata alla causa giacobita:

Speed, bonnie boat, like a bird on the wing,
Onward! the sailors cry;
carry the lad that’s born to be king
over the seas to Skye.

Loud the winds howl, loud the waves roar,
Thunderclaps rend the air.
Baffled, our foes stand on the shore –
follow they will not dare.

RITORNELLO

Many’s the lad fought on that day
well did the claymore wield;
when the night came, silently lay
dead on Culloden’s field.

RIT.

Though the waves leap, soft shall ye sleep:
Ocean’s a royal bed.
Rocked in the deep, Flora will keep
watch by your weary head.

RIT.

Burned are their homes, exile and death
scatter the loyal men.
Yet ere the sword cool in the sheath
Charlie will come again.

RIT.

Affréttati, bella barca, come un uccello sulle sue ali, / Avanti! gridano i marinai; / porta il fanciullo nato per essere re / sopra i mari fino a Skye. // Forte ulula il vento, forte ruggiscono le onde, / i tuoni squarciano l’aria. / I nostri nemici stanno confusi sulla riva, / non oseranno seguirci. // RIT. // Molti il fanciullo ha combattuto quel giorno, / bene maneggiò lo spadone; / quando venne la notte, giacquero in silenzio / morti sul campo di Culloden. // RIT. // Benché le onde balzino, tu dormirai un dolce sonno: / l’Oceano è un letto regale. / Scossa nel profondo, Flora / monterà la guardia vicino al tuo capo esausto. // RIT. // Bruciate son le loro case, esilio e morte / disperdono gli uomini leali. / Ma prima che la spada si raffreddi nel fodero / Charlie tornerà di nuovo. // RIT. 

Il successo di quella che divenne nota come Skye Boat Song fu travolgente: il libro in fu pubblicata, Songs of the North (1884) di Boulton e MacLeod, avrebbe ricevuto non meno di venti edizioni; fatto ancora più strabiliante, non solo i lettori se ne innamorarono, ma iniziarono a dire di ricordarsene fiocamente come una memoria d’infanzia. In breve tempo, la fuga di Bonnie Prince Charlie verso Skye divenne una melodia familiare, portatrice di pace, complice l’usuale ritmo in 6/8 che le conferiva una cadenza da ninnananna, benché non siano inaudite versioni in stile valzer.

Appena un anno dopo la pubblicazione del libro, un’ospite canticchiò la canzone in casa di Robert Louis Stevenson, il famoso romanziere. Stevenson era ateo, e proveniva da una famiglia di tradizione puritana; come tale, difficilmente poteva coltivare simpatie per la causa giacobita. Nondimeno, anche lui rimase folgorato dalla melodia, al punto da giudicare completamente indegni i versi di Boulton. E nella migliore tradizione dei letterati, Stevenson rispose ad un’offesa al proprio gusto componendo una propria versione, mantenendo solo l’ultimo verso del ritornello di Boulton:

Sing me a song of a lad that is gone,
say, could that lad be I?
Merry of soul he sailed on a day
over the seas to Skye.

Mull was astern, Rum on the port,
Eigg on the starboard bow;
glory of youth glowed in his soul;
where is that glory now?

RITORNELLO

Give me again all that was there,
give me the sun that shone!
Give me the eyes, give me the soul,
give me the lad that’s gone!

RIT.

Billow and breeze, islands and seas,
mountains of rain and sun,
all that was good, all that was fair,
all that was me is gone.

RIT.

Cantami la canzone di un fanciullo che se n’è andato, / forse, quel fanciullo potrei essere io? / Felice nell’animo, un giorno navigò / sopra i mari fino a Skye. // Mull era a poppavia, Rum a babordo, / Eigg si stendeva a tribordo. / La gloria della gioventù rifulgeva sulla sua anima; / dov’è adesso quella gloria?// RIT. //  Rendimi di nuovo tutto quello che era lì, / rendimi il sole che splendeva; / rendimi gli occhi, rendimi l’anima, / rendimi il fanciullo che se n’è andato! // RIT. //  Onde e brezza, isole e mari / montagne di pioggia e sole, / tutto ciò che era buono, tutto ciò che era bello, / tutto ciò che ero io se n’è andato. // RIT.

La versione di Stevenson divenne altrettanto popolare, e tutt’oggi si affianca alla versione tradizionale come melodia ben conosciuta. Nelle intenzioni dello scrittore, la canzone dovrebbe rappresentare più fedelmente la fuga di Carlo, ma la prima strofa invoca non poche licenze poetiche: è un dato indiscusso che Carlo si recò su Skye unicamente al termine della sua fuga da Benbecula, e ben difficilmente la rotta tra le due poteva combaciare con la posizione indicata delle isole – Mull a poppavia, Rum a babordo ed Eigg a tribordo: tutte e tre si trovano a sud di Skye, mentre Benbecula, al centro delle Ebridi esterne, guarda a ovest.

Nondimeno, la poesia è toccante, e il rimpianto di Carlo di fronte alle speranze svanite e alla gloria tramontata muove a commozione persino un vecchio partigiano Hannover quale l’autore di questo articolo. Abbandonati i toni della propaganda più smaccata e i sogni di una rivalsa che attendeva di compiersi da oltre un secolo, la nuova versione si concentra sull’intimità di questo anonimo fuggitivo, che solo la tradizione permette di identificare in Bonnie Prince Charlie; la vana gloria che mena vanto di una battaglia nondimeno perduta ha ceduto il posto ad un sobrio rimpianto, venato di melanconico lirismo.

John Blake MacDonald, "Mai più a Lochaber", il principe Carlo lascia la Scozia, 1863, olio su tela, Dundee Art Galleries and Museum Collections
John Blake MacDonald, «Mai più a Lochaber», il principe Carlo lascia la Scozia, 1863, olio su tela, Dundee Art Galleries and Museum Collections. Il titolo del quadro è una citazione di Lochaber No More (Farewell to Lochaber, Farewell to my Jean), una nostalgica ballata composta da Allan Ramsay su un tono tradizionale gaelico, che racconta la partenza di un Highlander per la guerra e il suo cupo presentimento di non fare ritorno in patria. La canzone di Ramsay è diventata una delle più amate nel folklore scozzese.

Ma la prova definitiva del successo di Stevenson arriverà oltre un secolo dopo. A metà degli anni ‘10 del nuovo millennio, debuttò una trasposizione televisiva di un ciclo letterario di certo successo, la serie di Outlander scritta da Diana Gabaldon e nota in precedenza anche come Saga di Claire Randall. La serie prende il nome dal titolo del primo libro, Outlander, (reso nell’edizione italiana con La straniera) e racconta la storia di una donna che improvvisamente si ritrova portata dal dopoguerra fin nella Scozia della metà del XVIII secolo, subito prima dell’insurrezione giacobita. Numerosi intrighi e avventure le si pareranno davanti mentre cercherà di ritornare nella propria epoca e di sopravvivere a quel tempo alieno, di cui peraltro riconosce la tragedia del destino ineluttabile.

La serie di Outlander è composta al momento di nove romanzi pubblicati tra il 1991 e il 2021, e di un decimo previsto in futuro per portare la saga alla conclusione, oltre ad alcuni romanzi e racconti brevi affidati ad un personaggio secondario che contribuiscono ad ampliare un mondo che ha affascinato alquanto i suoi lettori. L’adattamento televisivo dal medesimo titolo, prodotto dal canale Starz, ha debuttato nel 2014 e vanta fin’ora sei stagioni.

La moderna serialità ormai ha ben compreso che la sigla di apertura non può limitarsi ad essere unicamente uno spazio dove far scorrere i titoli di testa, ma deve accattivare lo spettatore e portarlo a immergersi nel racconto. La sigla deve diventare un manifesto, uno spazio che riassuma idealmente non solo il concetto della serie, ma anche il suo nucleo profondo. Queste richieste erano ben chiare a Bear McCready – all’anagrafe il suo nome è Julian, ma l’autore non si sente di biasimarlo per un tale nom de plum – quando gli fu affidato il compito di comporre le musiche dello sceneggiato. La soluzione da lui prescelta è stata tanto geniale quanto consequenziale: non c’era miglior modo per raccontare la storia di una donna sperduta e costretta a reinventarsi del testo di Stevenson. Ecco così adattare la poesia al femminile, e presentarne il finale come tema d’apertura affidato alla voce di Raya Yarbrough:

Sing me a song of a lass that is gone,
say, could that lass be I?
Merry of souls she sailed on a day
over the seas to Skye.

Billow and breeze, islands and seas,
mountains of rain and sun,
all that was good, all that was fair,
all that was me is gone.

Sing me a song of a lass that is gone,
say, could that lass be I?
Merry of souls she sailed on a day
over the seas to Skye.

Cantami la canzone di una fanciulla che se n’è andata, / forse, quella fanciulla potrei essere io? / Felice nell’animo, un giorno navigò / sopra i mari fino a Skye. // Onde e brezza, isole e mari, / montagne di pioggia e sole, / tutto ciò che era buono, tutto ciò che era bello, / tutto ciò che ero io se n’è andato. // Cantami la canzone di una fanciulla che se n’è andata, / forse, quella fanciulla potrei essere io? / Felice nell’animo, un giorno navigò / sopra i mari fino a Skye.

Così, duecentosettantacinque anni dopo la battaglia di Culloden e il tramonto delle ambizioni giacobite, continua ancora il racconto di un giovane che se ne fugge, e si ritrova a domandarsi chi sia diventato e cosa sia rimasto dei suoi sogni. Il tempo è passato, il Giovane Pretendente riposa nelle Grotte Vaticane al fianco della sua famiglia in esilio, ma ancora l’immaginario torna a volare sopra i mari, alla volta dell’isola di Skye.

 

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In copertina: David Morier, Un episodio della Ribellione del 1745, 1746-1765, olio su tela, Palazzo di Holyroodhouse, Edimburgo. La campagna che culmina nella battaglia di Culloden viene identificata dagli storici come Insurrezione del 1745, a partire dal rientro di Carlo in Scozia, per distinguerla dalla precedente — e parimenti fallimentare — Insurrezione giacobita del 1715, comandata dal conte di Mar per conto del Vecchio Pretendente Giacomo.

Le traduzioni delle canzoni sono a cura di Alessandro S.M. Gentile.

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