musica delle donne durante il fascismo

La musica delle donne durante il fascismo

Fra le caratteristiche peculiari dei regimi totalitari vi è il controllo, istituzionalizzato in varie forme, della vita dei propri cittadini – soprattutto di alcuni – per mezzo tanto di organi governativi quanto di mezzi di comunicazione ed espressione, arte compresa.

La produzione artistica del Paese viene quindi influenzata su due fronti: da un lato si applicano forme varie di censura e controllo sulla produzione generale, con accanimento nei confronti di personalità o tipologie artistiche particolarmente sgradite; dall’altro viene stabilita, in modo più o meno programmatico, un’estetica “di regime”, che in quanto parte della propaganda promuova l’ideologia dello stesso.

Il regime fascista ebbe cura, non senza numerose deviazioni ed incoerenze, di determinare numerosissimi aspetti dell’identità nazionale e della vita degli italiani, avvalendosi di tutti i mezzi possibili – uno dei quali fu in effetti la musica: dall’esaltazione della vita contadina alla moda, dalla promozione dell’autarchia o del colonialismo, all’influenza prescrittiva sulla figura della donna, gli organi governativi di censura e promozione musicale, l’EIAR (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche) e il MinCulPop (Ministero della Cultura Popolare) agirono con paranoia e determinismo sulla produzione musicale leggera italiana, rispecchiando in toto l’azione di governo[1].

La musica colta invece fu gestita in modo differente: vi fu un certo numero di autori che, vuoi per affinità ideologica o stilistica, finirono per servire alla propaganda[2], ma in generale lo stile degli autori conosciuti come “Generazione dell’Ottanta” aveva poco a che spartire con un’ideologia che, almeno in parte, si riconobbe più affine al futurismo e ad un’estetica eroica e machista – e allo stesso tempo era poco l’interesse di un regime populista per un’arte che, al di fuori dell’Opera, era simbolo di cultura e appannaggio dell’alta società.

Non è un caso che in Italia ed Europa fino alla fine della Prima Guerra Mondiale, il 90% della committenza musicale e del contesto concertistico-saloniero fosse gestito da signore alto-borghesi o aristocratiche, realtà che subì un infausto destino. L’esaltazione della mascolinità, della forza e prestanza italica, non poté che implicare un rifiuto di tutti quegli aspetti che, nell’arte e nella musica come nella vita, venivano associati alla femminilità.

Una delle operazioni chiave della propaganda di regime fu infatti la delineazione sistematica del ruolo e l’immagine della donna: mentre le leggi razziali, che almeno per gli ebrei costituirono una vera e propria inversione di rotta ideologica, furono promulgate in una fase molto successiva e come condizione per l’alleanza con la Germania, il controllo sulla vita delle donne italiane fu costante durante tutto il ventennio.

L’inganno e l’incoerenza non furono tuttavia minori: entrambe le categorie furono portate a credere fortemente nel fascismo nei primi anni, proprio grazie ai privilegi e la rappresentazione che questo sembrava fornir loro, tanto nella società quanto all’interno del partito. La creazione quasi immediata di una sezione femminile, la prima dall’Unità, produsse l’iscrizione di un numero sorprendente di italiane, che a causa dello stile volutamente generico degli slogan populisti, fu portato a credere in un implemento dei propri diritti.

Mai cosa fu più falsa: da un lato si romanticizzava l’immagine della donna “angelo del focolare” e la si assurgeva a nutrice dell’intera identità nazionale, dall’alto si produssero in successione leggi chepuntavano a limitare quasi all’azzeramento la sua attività professionale e l’accesso ad un’istruzione superiore, oltre al controllo su ogni fronte del suo corpo e della sua sessualità.

Il maggior teorico fascista in materia fu Giovanni Gentile, autore non a caso della famigerata riforma scolastica che porta il suo nome del 6 maggio 1923: la Riforma Gentile arrivò ad impedire alle donne di insegnare oltre le scuole elementari – attività concessa solo in quanto estensione del loro ruolo materno – creò indirizzi di studi speciali propriamente “femminili” e limitò fino all’impossibilità l’accesso agli studi universitari, agendo di anno in anno con decreti sempre più stringenti[3].

Un altro traguardo della Riforma fu l’eliminazione dal programma scolastico della scuola primaria e secondaria della musica, relegata in istituti appositi dallo scopo tecnico-professionalizzante, i Conservatori, a cui si accedeva con la quinta elementare – e che, neanche a dirlo, concedevano uno spazio limitatissimo alle studentesse, praticamente nullo alle docenti.

In questo contesto concluso fra propaganda, ideologia, legislazione e disinteresse culturale – e verrebbe da dire quasi “nonostante” – si inseriscono le attività professionali di una quindicina di compositrici, che, è bene specificare, non costituirono rete, non svilupparono uno stile in comune, e che vissero vite private e professionali fra loro diversissime, ma che inevitabilmente risentirono del loro esser donne in un contesto artistico marginalizzato con un accesso limitatissimo al mondo accademico[4] Ecco dunque un rapido excursus fra le vite professionali delle autrici che italiane, a quanto ne sappiamo, che hanno lavorato nei vent’anni del regime fascista[5].

La prima della lista è Vincenza Garelli, che pubblicava con lo pseudonimo Centa della Morea (1859-1924), iniziò la propria carriera nella composizione da giovanissima ed ebbe una carriera di successo – modesto – come operista, attiva principalmente nel Nord Italia, riuscendo a far eseguire le proprie opere in Italia durante il fascismo e lavorando contemporaneamente come pianista e compositrice di musica vocale da camera di buona diffusione.

La romana Maria Antonietta Picconi (1869-1926) fu conosciuta principalmente per la composizione di musica vocale da camera, avendo studiato come Garelli per un periodo con Giovanni Sgambati, iniziando il proprio successo come pianista concertista e diventando in seguito insegnante di canto e pianoforte.

Diverso destino ha incontrato la produzione di Eva Dell’Acqua (1856-1930), che svolse la propria attività in Belgio e che incontrò il successo quando, da cantante, diventò compositrice, ottenendo una posizione nel repertorio belga tutt’oggi duratura, che non ebbe eco nel paese natale. Questo probabilmente per ragioni legate all’attività estera e allo stile romantico, essendo specializzata in operette di gusto francese, si produsse tuttavia anche in composizioni per banda, orchestra, ensemble cameristici e pianoforte solo. Similmente a Dell’Acqua, anche Lola Castegnaro (1900-1979), costaricana di origini italiane vissuta in Italia fino al ’41 e diplomata a Bologna, deve il successo all’esportazione della propria musica.

Rispetto alle autrici citate finora, il nome della napoletana Gilda Ruta [Emelina Teresa] (1856-1932) è rimasto, anche se in modo limitato, nella memoria della storiografia musicale italiana, oggetto di una recente campagna di riscoperta – anche se la sua fortuna è da implicare quasi totalmente all’emigrazione in America, avvenuta prima dell’ascesa del fascismo.

Prima compositrice campana moderna, attiva anche come pianista concertista, Ruta era stata l’unica allieva di Saverio Mercante (antesignano della “Scuola Napoletana”), era figlia d’arte ed aveva studiato a Roma da Liszt. Durante la sua carriera, che la vide anche attiva nel sociale, lavorò con Toscanini, che la diresse in concerto durante l’esilio americano di quest’ultimo dovuto al regime.

Particolarmente controversa fu la figura di Mary Rosselli Nissim, pianista di successo in gioventù, fiorentina ed ebrea (1864-1937) conosciuta tuttavia ai più per la propria attività come militante del partito fascista, che la vide coinvolta nell’uccisione di un noto socialista ebreo pisano e che fu a tutti gli effetti fra i compositori che maggiormente si adoperarono nell’apologia del fascismo – autrice come fu di numerosi brani inneggianti a Mussolini – riscuotendo non solo successo, ma anche appoggio dagli organi di propaganda anche per le opere composte prima dell’ascesa.

Le sue opere furono eseguite principalmente a Firenze fino a tutti gli anni Trenta, anche se la sua attività primaria nel primo decennio del fascismo fu il design industriale – che non le impedì di continuare a comporre.

Dal catalogo più tradizionale, la genovese Virginia Mariani Campolieti (1869-1941) fu molto conosciuta per la composizione di un brano inusuale, la cantata Apoteosi di Rossini, che le aveva fruttato anche un premio ad un importante concorso di composizione ed è oggi ricordata come una delle prime direttrici d’orchestra italiane, debuttando in questo ruolo nella direzione di un’ora propria nella città natale.

Attiva anche come poetessa e nel contesto delle riviste musicali, la pistoiese Giovanna Bruna Baldacci (1886-1957) compì i propri studi sia in pianoforte che in direzione corale giovanissima a Firenze e fu concertista di successo e insegnante di coro fra Italia e Svizzera prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale. Le sue composizione constano principalmente di musica vocale da camera assimilable allo stile italiano tardo-romantico delle già citate Garelli e Picconi.

Outsider anche nella formazione, l’autodidatta Giulia Scarpa, nota con lo pseudonimo Geni Sadero, (1891-1961) nacque nell’ex-Costantinopoli e visse a Trieste, lavorando come cantante e pianista. Seguendo una scia già avviata di riscoperta, si dedicò alla trascrizione di musica popolare e folk, che portò nel contesto dei salotti lirici continuatrice.

Prima compositrice italiana ad essere inclusa nel repertorio sinfonico di orchestre internazionali, la milanese e figlia d’arte Giulia Recli (1884-1970), lasciò ai posteri un catalogo vastissimo sia nella mole che nella varietà, dallo stile tipico della Generazione dell’Ottanta. La sua carriera ha avuto esiti diversi a seconda dei luoghi: in Italia, dove alle compositrici si concedeva uno spazio limitato alla canzonetta o opere teatrali in linea con l’ideologia corrente, Recli divenne subito famosa per la propria produzione vocale da camera, mentre i riconoscimenti maggiori, ricevuti per il repertorio sinfonico e la musica strumentale, giunsero dall’America.

Non a caso dovette attendere il dopoguerra per acquisire un ruolo di rilievo nell’ambiente musicale italiano, venendo eseguita dall’Orchestra della Rai, diventando ufficiale del Sindacato dei Musicisti ed ottenendo infine un cavalierato della Repubblica.

Un altro personaggio di grande influenza fu Emilia Gubitosi (1887-1972), pianista e teorica napoletana che fu fra i primi italiani a cimentarsi nella riscoperta della musica antica, soprattutto corale, della quale diresse concerti già prima della Prima Guerra Mondiale. Insieme al marito fondò l’Associazione Alessandro Scarlatti, una delle maggiori realtà sinfoniche italiane tutt’oggi attiva, lasciando al contempo un catalogo ricco dal grande interesse artistico. Nonostante il suo stile sia ben lontano dai gusti del regime, dotato di un mix personale fra romanticismo italiano e sperimentalismo, l’autrice ricoprì per 43 anni l’incarico di docente al Conservatorio di Napoli.

Benché sia impossibile determinare quali fossero i rapporti col regime della milanese Elisabetta Oddone Sulli-Rao (1878-1972), di origini ebraiche, è quantomeno probabile che lo stile compositivo assimilabile alla canzonetta italiana e la sua collaborazione, in qualità di mezzo soprano, con Francesco Balilla Pratella, nonché la sua dedizione nella composizione di musica didattica per bambini, le permettessero di esercitare la professione musicale senza grossi intoppi. Tuttavia, come avvenuto per numerose autrici nel tempo, buona parte delle sue pubblicazioni veniva rilasciata tramite lo pseudonimo Eliodd.

Fra quei personaggi femminili che hanno subito l’ombra di compagni celebri, vi è Elsa Olivieri Sangiacomo Respighi (1894-1996), che fu prima allieva di Sgambati e poi proprio di Ottorino Respingi a Santa Cecilia e alla cui carriera fu costretta, fino alla di lui dipartita, a dare totale precedenza, ripiegando sul canto. Una volta vedova terminò le proprie opere incompiute e creò i propri lavori migliori, con uno stile personale e scelte ben lontane dal gusto salottiero di gran parte delle contemporanee italiane, più vicino all’espressionismo, e decisamente poco in linea con l’estetica di regime. Autrice di repertorio operistico e sinfonico, fu anche direttrice teatrale, scrittrice e talent-scout, donna di grande cultura e profonda influenza.

Insieme ad Elsa Respighi, Barbara Giuranna (1898-1998), nata Elena Barbàra, è stata certamente la compositrice italiana moderna di maggior spicco: palermitana di nascita, romana per adozione, si definiva post-pucciniana, fu docente a Santa Cecilia per quarant’anni e subì nel dopoguerra una damnazio memoriae dovuta al rapporto in gioventù ebbe col regime[6]

Fin dagli anni ’20 i suoi lavori, tutt’ora in repertorio, vengono eseguiti dalle orchestre più importanti del mondo, ma soffrì fortemente la condizione di donna artista in un paese che era in costante regressione in materia di diritti: ostracizzata e rallentata dai pregiudizi, e al contempo riconosciuta da subito per la qualità del proprio lavoro (fu la prima donna a partecipare alla Biennale di Venezia) è stata ad oggi riabilitata, grazie alla presa di coscienza da parte del mondo accademico di quanto sia facile, quale che sia il colore politico, cancellare la produzione artistica di persone che non hanno avuto modo di prendere posizioni nette.

Come è evidente, queste artiste in comune avevano solo l’esser donne, ma le loro esperienze non avrebbero potuto differire di più: le autrici ebree (molte delle quali sono con buona probabilità perite in qualche campo di prigionia senza che se ne sappia nulla) potevano tanto guadagnare quanto perdere da un rapporto col regime e per tutte le altre le scelte professionali, con o senza convinzione o sentimento patriottico, non poterono che seguire la direzione che i mercato musicale imponeva. La mancanza di dati che attestino l’esatto rapporto di ogni autrice col fascismo, diversamente da quanto verificabile per i testi relativi ai colleghi uomini, è probabilmente sintomo di quanto il pensiero di Gentile si sia insinuato fin nel presente e ci auspichiamo che l’argomento venga affrontato meglio in futuro.

 

Se l’articolo ti è piaciuto, leggi anche: Esecuzione d’autore: quando un artista incide le proprie opere


Per approfondire:
Mary McVicker, Women Composers of Classical Music, McFarland, 2008.
Elvidio Surian, Manuale di storia della musica, Rugginenti, 1996.
La politica musicale spagnola durante la seconda guerra mondiale, su holocaustmusic.ort.org
Nicolò Vitturi, La censura musicale durante il periodo fascista, su Medium, 24 gennaio 2017.
Eleonora Lombardo, L’enfant prodige che insegnò a Santa Cecilia, su La Repubblica, 15 settembre 2023.
In copertina: Luigi Russolo, La musica, 1911-12, olio su tela, Estorick Collection of Modern Italian Art, Ilsington, UK. 

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