Amy Beach: una compositrice americana

Amy Beach

Amy Marcy Cheney Beach (1867-1944) è stata una compositrice americana vissuta nel pieno periodo modernista che ha composto musica prevalentemente di stile tardo romantico (avvicinandosi alle tecniche compositive sperimentali solo nell’ultima parte della carriera) il cui metodo compositivo si originava da un forte istinto alla melodia e una naturale facilità nel song-writing.

Fin da piccolissima mostrò doti musicali straordinarie, la capacità di memorizzare e di creare melodie, di tradurre sentimenti e sensazioni in musica, unitamente ad un orecchio assoluto e sinestetico, che rimasero sempre la base per la sua attività professionale[1]. Ad esempio, all’età di poco più di un anno Amy era capace di eseguire un controcanto sulle arie da soprano cantate dalla madre, cantante e pianista nonché sua prima insegnante. Sempre affamata di suoni e musica, chiedeva a chiunque si trovasse al pianoforte di casa di eseguire brani su sua richiesta (all’età di un anno ne aveva memorizzati almeno quaranta), che codificava per colore in base alla tonalità, pretendendo venissero eseguiti nella chiave in cui li aveva memorizzati.

Le restrizioni di genere, tipiche dei valori vittoriani con cui crebbe, le preclusero molte possibilità ma non le impedirono di avviare ugualmente una carriera concertistica, per la quale si impegnò fortemente arrivando ad esibirsi con una delle orchestre più importanti del mondo, la Boston Symphony Orchestra, già all’età di dodici anni.

La sua ascesa come pianista si interruppe sei anni dopo, quando contrasse matrimonio con Henry Beach, affermato medico e appassionato di musica. Il contrasto fra il ruolo sociale della donna vittoriana e la brillante carriera della giovane venne risolto con un accordo fra i due coniugi, che vide Amy abbandonare il palcoscenico (anche se continuò a suonare in pubblico saltuariamente, a patto di donare i proventi dei concerti in beneficenza) e dedicarsi stabilmente alla composizione, pubblicando opere col nome A. H. H. Beach. Una volta vedova l’autrice riprese un’attività concertistica costante, che la portò ad assicurarsi una posizione di spicco a livello internazionale come pianista, compositrice e saggista.

I valori vittoriani, oltre a limitare le sue possibilità professionali, furono alla base anche della scelta della famiglia di fornirle un’educazione musicale esclusivamente in America, più vicina possibile a Boston. Dal momento che, nella scena musicale americana, studiare all’estero era sinonimo di qualità, non farlo poteva limitare le opportunità professionali future. Tuttavia, dato l’altissimo livello sia delle sue performance sia delle sue composizioni, questo si trasformò per Amy Beach in un elemento distintivo, che la portò ben presto ad esser considerata dalla critica musicale la prima fra i compositori più autenticamente statunitensi.

Impegnata nella ricerca e costruzione di uno stile propriamente americano, trovandosi peraltro pubblicamente in disaccordo con Dvorak riguardo l’uso in esso della Black Music, Beach si cimentò in ricerche proto-etno-musicologiche e in sperimentazioni con melodie antiche e folkloristiche, spaziando dal canto gaelico alla melodia inuit, contribuendo così allo sviluppo di quei canoni estetici che, a posteriori, sono stati definiti propri della musica americana.

Il suo catalogo consta di ogni tipologia di composizione strumentale e vocale, dalla miniatura pianistica alla scrittura per grande orchestra, dalla forma canzone alla musica sacra, costituendosi ad oggi come repertorio conosciuto ed eseguito, proprio in quanto composto da una delle più importanti personalità musicali della storia.

Sebbene in Italia il nome Amy Beach risuoni nella mente e nelle orecchie di pochi addetti ai lavori, negli Stati Uniti la sua musica è presente stabilmente nei programmi di sala, in ogni parte del Paese, venendo eseguita sia in contesti scolastici o accademici sia nei teatri e nelle sale più prestigiosi.

Già da giovanissima, i circoli culturali di Boston fecero di lei un orgoglio cittadino e nazionale, dando inizio ad un processo che la vide negli anni diventare una vera e propria paladina della musica e della cultura nazionale. A differenza di altre colleghe americane o europee, molte delle quali vennero osannate come portenti, finendo per essere dimenticate una volta passate di moda, Beach seppe sfruttare i vantaggi del sensazionalismo che presentava al pubblico le artiste come “straordinarie”[2].

Il rapporto che ebbe con la critica musicale fu tale da riuscire a trovare una dimensione professionale equilibrata, forte di una potente fiducia nelle proprie capacità, nella quale tener conto sia dei gusti del pubblico sia della propria indole artistica. Questo le ha permesso di stabilirsi come figura rispettata nell’ambiente musicale, ricoprendo un ruolo che col tempo ha potuto solo rafforzarsi, anche quando in tarda età il suo stile musicale era, teoricamente, superato.

In America dunque le sue opere non hanno mai smesso di essere eseguite e, con alti e bassi, il suo nome non è mai stato dimenticato. Questo è stato possibile, oltre che all’immagine che lei stessa aveva costruito in vita e lo spirito patriottico tipico americano, grazie alla sua produzione di musica sacra, rimasta stabile nel repertorio delle funzioni della chiesa protestante americana, per via anche dei rapporti con organisti e organizzazioni musicali di impianto religioso, a cui spesso le sue opere erano dedicate[3].

La fede rappresenta uno degli elementi più caratterizzanti di Amy Beach come persona: la sua devozione, oltre ad aver prodotto un numero considerevole di opere sacre (fra cui la Mass in E-flat op. 5, la sua opera più conosciuta) è stata il motore primario che la spinse a perseguire una carriera musicale, vissuta come una missione, ma è anche l’elemento più contraddittorio della sua personalità. Per quanto molte delle sue idee fossero all’avanguardia in materia di diritti e ricerca di radici culturali, nonché per il fatto stesso di aver intrapreso una carriera che era consapevole fosse considerata inadeguata per una donna, la sua era una mente tendenzialmente conservatrice e tradizionalista anche per l’epoca. Nonostante nel tempo abbia effettivamente vissuto delle discriminazioni, soprattutto in gioventù, la sua caparbietà non è mai provenuta da un senso di ingiustizia.

Fu proprio questo tradizionalismo, volontariamente mantenuto anche nello stile compositivo, a favorire una prima riscoperta delle sue opere già negli anni trenta, consolidandola nel repertorio quando era ancora in vita.

La storia della musica è piena di esempi simili a quelli di Amy Beach: donne dotate di ottime abilità, provenienti da famiglie borghesi o della piccola nobiltà, che riescono a superare gli ostacoli sociali e ad affermarsi come musiciste[4] Come si è detto, la presenza di Amy Beach nei libri di storia e nei programmi di sala dipende da una moltitudine di fattori che è mancata ad altre sue colleghe, ma il principale elemento che oggi permette la diffusione dei suoi lavori risiede nei diritti d’autore. La musica di Amy Beach, come di molti altri artisti, è proprietà della McDowell Colony, una realtà tutt’oggi attiva, che per statuto (e secondo le volontà testamentarie dell’autrice stessa) promuove la diffusione delle sue opere. La difficoltà a reperire gli spartiti è oggi principale concausa dell’assenza di musica scritta da donne dai programmi di sala.

Questa diffusione, che non si ferma all’America, risulta tuttavia limitatissima in Italia. Nel nostro Paese il mondo della musica classica è ancora profondamente legato ad una concezione del repertorio standardizzata, che privilegia le opere create nei centri geografici della cultura del passato[5], sia a livello storiografico sia a livello esecutivo e soprattutto accademico, ignorando sistematicamente una fetta ampia di musica.

Nel resto d’Europa le opere di Amy Beach non sono diffuse come nel suo paese d’origine, ma la sua importanza storica è pienamente riconosciuta e per ciò risulta comunque presente nei programmi di sala, essendo peraltro passata attraverso un recupero. Le ricerche di musicologia femminista nellultimo trentennio del Novecento, culminate nella conferenza internazionale tenutasi in Canada nel 1982, hanno permesso la riscoperta di numerosissime personalità dimenticate e il recupero di una quantità incalcolabile di spartiti e pubblicazioni.[6].

In passato, soprattutto finché è stato nell’uso il far eseguire principalmente musica contemporanea, occasionalmente era possibile ascoltare la musica di autrici come Amy Beach per il pubblico italiano. Durante le sue tournée concertistiche questa ebbe modo di venire in Italia in più occasioni[7], trovando peraltro l’ambiente d’ispirazione per numerose composizioni[8] e ricevendo apprezzamenti dalla critica locale sia come pianista che come compositrice.

Il difficile rapporto dell’ambiente italiano con la musica scritta da donne, non si limita alle opere delle artiste internazionali: la nostra storia è ricca di professioniste, che in vari modi sono state parte dei contesti coevi, accettate o stimate dai colleghi (soprattutto nel tardo Rinascimento e nel primo Barocco) che tuttavia non trovano spazio né nella manualistica in lingua italiana né nel repertorio musicale concertistico e accademico. Non stupisce dunque che ancora oggi Amy Beach sia quasi sconosciuta nel nostro Paese, nonostante la sua celebrità all’estero.

Questa carenza strutturale è dovuta quindi principalmente a questioni di genere, di tipo culturale ed endemico, che si auspica col tempo possano essere superate grazie alla crescente diffusione di musica e di storie ancora sepolte.

 

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Per approfondire:

A. F. Block, Amy Beach, Passionate Victorian. The Life and Work of an American Composer, Oxford Press, 1998.

M. F. McVicker, Women Composers of Classical Music, 369 Biographies from 1550 into the 20th Century. Jefferson, North Carolina, USA, Mc Farland & Company, 2011.

J. R. Briscoe, New Historical Anthology of Music by Women, Indiana Università Press, Bloomington and Indianapolis, 2004

M. J. Citron, Gender & the Musical Canon, Urbana and Chicago, Università LF Illinois Press, 2000

Margherita Casamonti
Margherita Casamonti

Sono una pianista di musica classica di Firenze, appassionata di questioni di genere, ricerca musicologica relativa alle minoranze sociali ed ampliamento del repertorio strumentale. Ho fatto della volontà di ampliare le conoscenze dei musicisti e del pubblico la mia missione, nella speranza che, cambiando marcia, la musica classica sopravviva al declino culturale di questa porzione di secolo.