Murubutu L'armata perduta di re cambise

L’armata perduta di Re Cambise: Murubutu canta Erodoto

Se esistesse una misura per valutare l’importanza di un’opera, si potrebbe forse dire che questa è la sua capacità di durare nel tempo: a capacità di contenere le caratteristiche, le contraddizioni, persino le idiosicrasie del periodo storico in cui è stata partorita, ma nello stesso tempo di superarle, di trascenderle. Di vivere in maniera autonoma rispetto al contesto cui deve la vita.

Se davvero questa fosse la misura dell’importanza di un’opera, allora dobbiamo riconoscere un ruolo rilevante alle Storie di Erodoto, poiché, in effetti, ancora oggi sono in grado non solo di farci conoscere la storia dei tempi che furono, ma anche di trasportarci in luoghi esotici, tra popoli ormai scomparsi e culture ormai dimenticate.

Questa è l’esposizione che fa delle sue[1] ricerche Erodoto di Turi, affinché gli avvenimenti umani con il tempo non si dissolvano nella dimenticanza e le imprese grandi e meravigliose, compiute tanto dai Greci che dai Barbari, non rimangano senza gloria.

Così inizia il Proemio – l’introduzione, per dirlo con un termine moderno. Una “professione di lavoro”, per così dire, in cui echi si fanno sentire fino ad oggi: scrivere per l’eternità, anzi, per la posterità.

Leonida alle Termopili
Jean Louis David, Leonida alle Termopili, 1814

Come al centro, di una danza, sale in cerchio l’aria calda,
giunse il vento, sulla landa, li travolse e volse all’alba
No, non lo videro
No, non lo udirono
Lui li raggiunse in un soffio ogni corpo sparì.

Su un riff[2] di chitarra ripetuto ossessivamente[3] così suona il ritornello de L’armata perduta di Re Cambise, dodicesimo brano de L’uomo che viaggiava nel vento e altri racconti di brezze e correnti (2016).

Non è la prima volta che Murubutu, alias Alessio Mariani, professore di storia e filosofia al liceo Matilde di Canossa di Reggio Emilia, si cimenta con “rap-conti” storici: nell’album Gli ammutinati del Bouncin’ ovvero mirabolanti avventure di uomini e mari (2014) era la battaglia di Lepanto a ispirarne i versi. Ma in questo caso le antiche gesta sono direttamente attinte dalle Storie erodotee.

Ci troviamo così immersi in Egitto, nel clima rovente del VI secolo a.C. Cambise II, Re dei Re di Persia, figlio di Ciro II, ha deciso di estendere i propri domini verso ovest: la XXVI dinastia dei faraoni è destinata a cadere sotto i colpi dell’esercito imperiale persiano.

Se non fosse stato per la grandezza di Alessandro il Macedone, probabilmente Cambise II verrebbe ricordato come il più grande condottiero dei tempi antichi. Questo era il suo dominio:

Mappa dell'impero persiano al tempo di Cambise II Armata perduta re cambise
Mappa dell’impero persiano al tempo di Cambise II

La Battaglia di Pelusio, nel 525 a.C., ne deciderà le sorti. Agli 80.000 uomini persiani, elamiti, greci, fenici, Psammetico III – l’ultimo faraone autoctono – ne può opporre 65.000. Di questi, solo 15.000 sopravviveranno alla battaglia, mentre i caduti di Cambise non supereranno i 7.000 uomini.

La disfatta del “figlio di Ra” è totale. Gli egiziani riparano a Menfi, che di lì a poco si arrenderà. Solo un piccolo contingente di egizi resiste nell’oasi di Siwa, al confine tra l’Egitto e la Libia.

Ora, Siwa non era tanto importante in quanto oasi, ma perché luogo strategico per il commercio di una pianta ormai estinta: il silfio, una specie di finocchio gigante che pare avesse proprietà mediche. Di sicuro aveva la proprietà di ingrossare le finanze di chi lo possedeva: vista la sua rarità (l’unica zona di coltivazione era una stretta striscia di terra nella Cirenaica), veniva venduta letteralmente a peso d’oro. Assicurarsi il controllo di Siwa era pertanto fondamentale.

Gli 80.000 armati di Cambise vengono allora divisi. 30.000, alla cui testa si pone lo stesso Re dei Re, devono marciare verso sud per conquistare l’Etiopia. La restante parte si deve invece dirigere verso Siwa, «ridurre in schiavitù gli Ammoni [gli egizi] e […] incendiare l’oracolo di Zeus[4]».

Fregio palaziale achemenide - Armata perduta re cambise
Fregio palaziale achemenide

Per cogliere di sorpresa gli Egizi, Cambise ordinò di muovere il contingente dalla capitale, Tebe, all’oasi di El Kharga (erroneamente riportata da Erodoto con il nome di “Oasi”, come fosse un nome proprio) e da lì verso nord, a Siwa. Una lunga marcia attraverso il deserto, che aveva il vantaggio di non passare dalla via principale che costeggiava il mar Mediterraneo ma che aveva l’enorme svantaggio di obbligare uomini e animali ad affrontare le

spire del mare di sabbia fine
Le colline che si aprivano creando slavine improvvise fra le file
Le lande di rena sottile che inghiottivano vite a decine

I soldati si misero in marcia – «erano veterani del deserto esperti, abituati ad afa ed arsura» – e dopo sette giorni di marcia da Tebe giunsero a El Kharga.

Nel frattempo i 30.000 guidati da Cambise, mal preparati per una spedizione tanto lunga, avevano terminato le scorte di cibo. Prima fu il turno delle bestie da soma. Poi della vegetazione che incontravano lungo il cammino. Fintanto che di vegetazione ce n’era, perché – ci racconta Erodoto –:

Quando giunsero tra le sabbie del deserto, alcuni di essi fecero una cosa tremenda: tratto a sorte, fra di loro, un uomo su dieci, lo mangiarono.

(Erodoto, Storie III, 26.)

La situazione era diventata ormai disperata, al punto che Cambise dovette rinunciare all’impresa e ripiegare in Egitto.

Le notizie sul percorso effettivamente seguito si fanno a questo punto incerte, al punto da giustificare il sospetto che nel corso del tempo vennero ammantate da un’aura leggendaria. Forse i soldati transitarono per la zona rocciosa del deserto, per poi incamminarsi tra le dune.

Fregio palaziale a Persepoli
Fregio palaziale a Persepoli

Forse, come ci racconta Erodoto,

Arrivati press’a poco a metà strada tra il loro paese e Oasi, mentre stavano prendendo il rancio di mezzogiorno, cominciò a soffiare da sud un vento insolitamente tremendo che, trasportando cumuli di sabbia, li seppellì e in questa maniera essi scomparvero.

(Erodoto, Storie III, 26)

Il khamsin come lo chiamano gli arabi, il vento del Sahara che secondo la tradizione soffia ininterrottamente da sud-est per cinquanta giorni di fila (da cui il nome), potrebbe aver inghiottito in poco tempo tutto ciò che restava del grandioso esercito persiano. Ciò che si sa di per certo è che dei 50.000 uomini si persero le tracce.

Nel silenzio, che rincanta, una voce canta stanca
Segue il senso, della sabbia, giunse lento e scaldò l’aria
No, non lo videro
No, non lo udirono
Lui li raggiunse in un soffio ogni corpo svanì…

I sogni di gloria di Cambise II non morirono però con i suoi uomini. Tre anni dopo la conquista dell’Egitto morì consegnando il suo vasto impero a Dario I, i cui discendenti lo conservarono fino all’arrivo di Alessandro Magno.

Ma, come si suol dire, questa è un’altra storia, e chissà che prima o poi proprio il professore di Reggio Emilia non deciderà di tradurla in versi… Fino a quel momento, lasciamoci trasportare dal flusso che sommerse e sconfisse l’armata perduta di Re Cambise.

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