La poesia è donna che abbiamo in noi
Durante nove lunghi mesi, lunghi come nove secoli,
è una gravidanza senza parto ed è bene così.
Altrimenti la matrice sarebbe sterile, e il neonato morto.
I suoi nove secoli non passano mai.(Oliver Friggieri)
Quando ho letto questa poesia ho esclamato: Finalmente qualcuno che la pensa come me!
La poesia è donna, perché in ognuno alberga quel femminino che l’arte tutta risveglia. È la donna selvaggia di Clarissa Pinkóla Estés, quella che non possiamo far morire, altrimenti per noi esseri umani la vita si svuoterebbe di significati, di colori, di amore.
La poesia è una donna mitologica in perenne gestazione del prossimo nascituro. Il seme è sempre lo stesso: «[…]cambiano i cuochi e le cotture», diceva Montale nella sua poesia La morte di Dio (da Satura, 1971), ma non le pietanze, ossia le motivazioni che spingono l’essere umano a creare.
La poesia è una donna selvaggia che vive in noi e ci scuote e ci percuote e «i suoi nove secoli non passano mai».
La poesia è una donna che abbraccia l’universo lacerato. Raccoglie le lacrime nell’urna trasparente di parole sapienti, donandoci l’emozione forte della verità nella sua erotica e feroce nudità.
Oliver Friggieri, classe 1947, nato a Malta è il maggiore poeta maltese contemporaneo. Ha pubblicato numerosi libri di poesia, narrativa e critica letteraria. È docente di Letteratura presso l’Università di Malta. Le composizioni di questo poeta hanno il pregio della sintesi. Piccole perle di concetti sui quali perdersi in meditazioni semplici, quelle che poi servono per il vivere quotidiano.
L’essere umano davanti alla vita si trova sempre nudo emotivamente. Il tempo lascia i suoi segni che sono più profondi delle nostre rughe, che la pelle impietosa non ci risparmia. Le esperienze dolorose, i frammenti aguzzi delle bottiglie frantumate dei nostri sogni ci lacerano i piedi ed è qui che si inserisce la grandezza della poesia, che riesce a trasformare le urla scomposte del dolore in un melodioso canto.
Facciamo cantare il nostro Oliver Friggieri allora: «Il desiderio è l’ancora che con sé ci mena al fondo», ultimo verso tratto dalla poesia Noi siamo desiderio.
Questa poesia ha l’amarezza della consapevolezza di cosa sia la vita di un essere umano.
che riunisce e scompiglia gli anni per confonderli.
Siamo il nulla che urla, che vive senza tempo correndo dietro ai minuti di un orologio inventato. «[…]Il tic tac d’un pendolo accelerato[…]». Noi siamo quelli che corriamo Alla banca della fortuna. Titolo di un’altra bellissima lirica, che troverete sempre in calce, di cui vi condivido subito due versi che ritengo a dir poco stupendi e istruttivi per la nostra esistenza:
La gioia si paga sempre a caro prezzo
Niente è gratuito in questo gioco di perdenti […]
È un monito triste, un richiamo che ci viene dalla terra, quella il cui odore investe il nostro olfatto quando la calpestiamo dopo una nottata di pioggia.
La gioia che vorremmo relegata in un paradiso dove la tristezza è bandita, dove solo il sorriso è ammesso come espressione suprema di pace, non può celare il dolore o comunque non può avere un prezzo. Questo non lo possiamo accettare e questo fa di noi dei perdenti.
Tutti gli uomini sono clienti della banca della fortuna
Avventurieri nel casinò del loro cuore […]
La vita è un gioco in cui si rischia sempre. La Speranza, quella vecchia e oscura trappola che ci fa illudere di raggiungere l’infinita felicità è quello che ci trasforma in Cacciatori spietati di emozioni, molte delle quali si riveleranno fallaci e distruttive per noi e per gli altri: Accecati dalla bramosia, gli esseri umani sprecano i loro talenti per inseguire desideri di carta.
Oliver Friggieri vola come l’Albatros di Baudelaire nel cielo emotivo e cammina lento e goffo su questa terra. Il gobbo o il goffo, il pazzo o il pensatore: il poeta è sempre lui che sente il sibilo della vita e a questo rumore scomposto dà voce.
L’amore occupa nella nostra esistenza un posto fondamentale. Siamo fatti per entrare uno dentro l’altro, solo così raggiungiamo l’estasi o la stasi del pensiero. Solo dentro il grandissimo cuore troverà l’anima il giusto riposo. Ne La porta chiusa l’amore viene cantato come carne e spirito, un’erotica danza piena di sentimento:
Se la sera aprirai il tuo grandissimo cuore
Entrerò spesso in te per trascorrervi la notte.
L’amore è aprirsi, è donarsi all’altro, è perdersi per poi ritrovarsi, rigenerati e non più spaventati dai fantasmi dell’ignoto:
Troverai chiusa la porta del mistero.
E da essa più nessuno passerà
Tu ricorda la strada per tornarvi
Quel che distingue un grande amore, dice il poeta, è capire: «che i nostri cuori battono all’unisono». È quel ticchettio assordante che chiude la porta al mistero, lasciando alla follia dell’amore di sentirsi libera, sgombra come il cielo terso in un giorno di sole.
Altro tema trattato dal poeta è quello relativo al fenomeno degli stranieri extracomunitari, tanti o forse troppi che arrivano in cerca di fortuna. La poesia Lo straniero tratta con eleganza questo tema.
Lo straniero porta in valigia la solitudine.
Questo verso lo scriverei a lettere cubitali un po’ ovunque. Sarebbe un monito per i tanti razzisti idioti che popolano il mondo.
In ogni aeroporto, il rigattiere della solitudine
Aumenta il suo patrimonio esentasse […]
Il poeta chiude la poesia con una denuncia tagliente in merito allo sporco giro d’affari, che si perpetra ai danni di questi poveri disgraziati.
La solitudine dello straniero è anche un modo diverso per parlare della nostra solitudine. Nessuno può sentirsi realmente in patria, perché in questo mondo governato dall’economia, dalla menzogna, dalla sopraffazione non c’è spazio per le anime semplici. Per questo mondo siamo e saremo sempre il nulla da dichiarare, l’importante è non generare sospetti, come recita il verso:
Non ha nulla da dichiarare scendendo dall’aereo:
ulla di sospetto
Numerose sono le poesie di Friggieri che mi piacerebbe condividere con voi, ma lo spazio e il tempo sono ingrati compagni, ci tirano per la giacchetta e dobbiamo chiudere a tutti i costi.
Voglio comunque segnalarvi altre due poesie molto importanti, a mio modesto parere, per i temi trattati. Una si intitola Europa, argomento quanto mai attuale.
«Europa, anche questo sogno è antico […]»: quanti sogni e quante guerre hanno attraversato queste terre. Un sogno antico riconoscersi tutti come un popolo solamente, un sogno difficile da realizzare. L’Europa, il vecchio continente follia e ragione confusi insieme o come dice il poeta:
La vecchia Europa ha mischiato senno e follia,
pagando spesso trenta pezzi d’argento
Per comprarsi carne e sangue, ha giocato ai dadi
Il vestito del Crocifisso, ha demolito il mondo
Per poi ricostruirlo […]
Il richiamo alla cristianità ci fa da monito. Abbiamo barattato la nostra conoscenza in cambio di poche monete di illusione. Abbiamo fatto rivoluzioni, per poi tornare sotto lo stesso oppressore.
La chiusa però è ricca di speranza:
Su questa distruzione si edifichi la casa comune
E si avveri il nuovo comandamento. Mai più
Dal grembo di questa vecchia sono uscite morte e vita
L’altra poesia (l’ultima, giuro) è Anche il saluto, tenerissima descrizione di quel che io definisco: la magia del saluto; quell’aprirsi del volto in un sorriso, l’ultima immagine che ci resta impressa di una persona dopo la sua partenza.
Mi resta soltanto qualche sorriso, e forse uno sguardo,
e forse un desiderio, forse un saluto
Un saluto da elargire a tutti gli esseri del creato, che ci vivono accanto e con i quali piangiamo e gioiamo. Salutare con le mani alzate, come ad abbracciare la vita intera.
Se passerà più tempo, anche il saluto
Non conterà niente, e dovrò abbassare le mani
In tutte le poesie che ho letto di Oliver Friggieri non ci sono speranze, non ci sono tramonti indimenticabili. C’è la vita con le sue contraddizioni; c’è l’esortazione continua a non dimenticare le proprie responsabilità; c’è l’affermazione quasi beffarda della nostra caducità, c’è l’amore intenso, in pratica: una vita.
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Tutte le poesie e i relativi brani citati di Oliver Friggieri sono tratti dalla rivista Poesia n. 292 dell’aprile 2014 di Crocetti Editore; traduzione a cura di Bruno Rombi.
In copertina: Winslow Homer, Il nuovo romanzo, 1877