La pioggia a Cracovia: questo non lo scriva

La pioggia a cracovia

La pioggia a Cracovia è la storia di una consunzione interiore. Il linguaggio è franto, secco, e si affida a due monologhi alternati, a due voci che scandiscono regolarmente il libretto: un fotografo innamorato e ferito, e un clochard, che ha così tante ferite da non sentirle più. Certe mattine succede, di svegliarsi con dentro qualcosa di rotto, di irrecuperabilmente frantumato, e di passare il resto dell’esistenza a provare ad aggiustarlo, a riannodare i fili, a contendere il proprio vivere con questa entità spezzata.

E’ un libretto ambizioso, che tenta in uno spazio brevissimo di ripercorrere questo franare e ricomporsi dell’esistenza di due uomini che, per caso, si sono riconosciuti. C’è da dare al vagabondo uno spessore di persona, che sia lontano sia da una realtà edulcorata, sia da un appiattimento moralistico; c’è da gestire il comportamento non sempre razionale del fotografo, la sua incapacità di gestire un amore finito, di accettare o anche solo considerare il rifiuto. Quella di Consorti è, per usare una bella espressione di Ginevra Bompiani, una lingua pensata, e questo è forse il pregio maggiore dell’opera. I personaggi parlano da sé, con la loro voce, il loro modo di essere.

Questo non lo scriva, ma ho pisciato sulla statua di Wojtila. Non una statua qualsiasi, proprio quella davanti al castello, in cima alla collina. Più che altro contro il basamento, ma quella notte mi sentivo un fiume in piena, trascinato dall’alcool, e, se ci fossi arrivato, avrei puntato molto più in alto. Giuro che potevo continuare a bere vodka e a innaffiare, se non fosse stato per il giardiniere.

Dalla copertina di La Pioggia di Cracovia
Dalla copertina di La Pioggia a Cracovia

È un incipit che lascia di stucco. Però, che incipit. Ancora in quest’epoca ci vuole del coraggio a cominciare un romanzo con un’irriverenza simile, al limite del blasfemo. E farlo senza davvero offendere. È anche in questo che si vede l’ambizione. Tanto più che la minzione umana è un leitmotiv che ricorre, è il simbolo dell’animalità, dell’urgenza, di tutto quello che abbiamo cercato nei secoli di addomesticare, di arginare, e che però non possiamo sopprimere. Con l’occhio rivolto a quanto di più vacuo e trito vi sia, il romanzo non si apre agli occhi del lettore come un flusso narrativo, bensì materializzando la stasi dei suoi protagonisti, la difficoltà a comprendere il perimetro delle cose e di se stessi.

Comunque, all’inizio, tre anni fa dico, volevano farmi pagare normale, perché sembravo un professore, con gli occhiali, oltre che un turista, per la mia macchina fotografica. Quella sono tre anni che l’ho persa o me l’anno rubata o fatta sparire per sfregio o forse l’ho venduta o data in pegno, insieme con le foto che ci ho lasciato dentro. Gli occhiali, invece, eccoli, non li ho persi, ma ho perso diversi gradi nel frattempo. Ora, anche quando mangio, vedo sempre un po’ sfocato. Come se si confondessero i contorni e ognuno sembrasse qualcun altro.

L’aridità che vivono i protagonisti sembra attanagliare lo stesso romanzo, e appiccicarsi su di esso, corrodendolo. È un libro che si fa corrodere, che non attraversa i suoi problemi creando un edificio che possa contenerli come esperimenti, ma al contrario partecipa di questi problemi, ne è indistricabile, e questo lo rende sempre incompiuto, imperfetto, di difficile assimilazione.

Rimane un senso di amaro e repulsione, come per tutte le cose che si faticano ad accettare fino in fondo, come quelle fotografie di un dettaglio così piccolo e confuso in cui sulle prime non riconosciamo nulla, e solo dopo mettiamo a fuoco, distinguiamo le forme, e nello stesso tempo ci rendiamo conto che quel particolare su cui il fotografo ha posato gli occhi non solo non ci è indifferente, ma ci turba, ci ha sempre turbato fin dall’inizio, e non sappiamo perché.

 

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Simone Consorti (Roma, 1973) ha pubblicato diversi libri: L’uomo che scrive sull’acqua “aiuto” (Premio Linus), Sterile come il tuo amore (adattato per il teatro), In fuga dalla scuola e verso il mondo, A tempo di sesso, Da questa parte della morte, Otello ti presento Ofelia. Il romanzo La pioggia a Cracovia è stato pubblicato nel 2018 per Edizioni Ensemble

Gabriele Stilli
Gabriele Stilli

In tenera età sono stato stregato da quelle cose che si scrivono andando a capo spesso, e gli effetti si vedono ancora. Mi sono rassegnato, da diversi anni, a includere l’arte tra le discipline umanistiche e non nel rigoroso ambito delle scienze. Nutro ancora qualche dubbio, però.