Hanno chiuso la cella; hanno buttato la chiave. La penna è diventata un ago e la carta tante pezze da cucire. Questa è la pena assurda che sta scontando il poeta Lu Xiaobo, colpevole di aver aderito al movimento Charta 08, di cui è stato il primo firmatario e alla cui stesura aveva attivamente collaborato.
Professore, politico e poeta, Xiaobo, nato nel 1955, ha inteso l’impegno con l’umiltà e l’amore per il suo Paese, propria degli orientali, senza clamori o vanità. Quando nel 1989 ci furono le mobilitazioni che portarono agli scontri di Piazza Tienanmen, Xiaobo era in Occidente per alcune conferenze: le interruppe per tornare in Cina a dare il suo aiuto a quella lotta per un Paese più libero e giusto. La dura repressione, il sangue di quei morti non potranno cadere nell’oblio del silenzio. Scrive nella poesia Le anime dei morti in primavera: «Quella primavera, un’illusione divenne per le madri eterna pena».
È quella pena che ha spronato gli intellettuali cinesi, tra cui Liu, a redigere la Charta 08. Sono gli artisti e i pensatori cinesi che hanno pagato e pagano il prezzo più alto, per aver espresso pubblicamente il loro dissenso ad un governo corrotto e oligarchico. La poesia e l’arte non sono più semplice gusto per il bello, ma diventano uno strumento di lotta per una società più giusta e onesta.
Xiaobo è stato condannato da un processo farsa ad undici anni di reclusione e costretto all’isolamento e trattato peggio di un delinquente pericoloso. A nulla è valso il premio Nobel per la Pace attribuitogli l’8 ottobre 2010, se non ad inasprire gli animi tra il governo cinese e quello svedese. Inasprimento che sono costati alla moglie di Xiaobo e ai suoi familiari gli arresti domiciliari e la perdita di ogni forma di sostentamento.
Dopo il primo momento di clamore per la famosa sedia vuota a Oslo, i governi e l’Occidente tutto hanno dimenticato questo poeta, e insieme a lui tutti gli altri artisti, giornalisti, pittori e intellettuali perseguitati.
Il motivo di queste righe è ricordare questo povero poeta, che vive in completo isolamento, costretto a cucire divise per carcerieri, privato e avvilito perché colpevole di aver pensato, di aver insegnato a pensare (il grande compito degli insegnanti è anche la loro colpa – Socrate docet) di aver proclamato i suoi pensieri e di averli scritti.
Ho scoperto questo poeta grazie ad un articolo del quotidiano La Repubblica. Io di questo intellettuale cinese non ricordavo neppure l’esistenza. Nel mio piccolo proverò dunque a fare altrettanto, cercando di scoprire meglio il suo lato poetico. Ho scelto in particolare il componimento In una lettera mi basta, in quanto non si tratta di una poesia a sfondo politico, ma di una poesia d’amore, di un grande amore:
Una lettera mi basta
per andare oltre e
trovarmi a parlare con te
L’amore non è solo la passione della carne, l’amore è fatto di parole, di comunicazione tra esseri umani. Se si è compreso il concetto dell’amore, quello che, usando i versi del poeta «usa il suo sangue / per scrivere un verso segreto», si sono compresi l’infinito del pensiero e la sua libertà da difendere sempre, anche e soprattutto quando «negli occhi del carnefice / l’ira diventa pietra».
Se entriamo nella vita attraverso la porta dell’amore, che non è una filamentosa e stucchevole caramella, ma un sentimento che pervade ogni nostra azione, impariamo il gusto del libero pensiero.
Purtroppo i pensatori, gli artisti, le anime libere sono come «falene sbattono forte le ali verso / la luce della lampada / o poveri Albatri, goffi sulla terraferma per quanto aggraziati nel volo sconfinato / sempre affacciati a quel colle che il guardo esclude».
Leopardi, Baudelaire, Xiaobo: un filo teso sull’Infinito.
Queste menti sempre in anticipo sui loro tempi; li prevengono ma vengono affogate nei flutti rabbiosi delle tempestose Bocche di Bonifacio, limite mitologico del pensiero, oltre il quale il cor si spaura, come scrisse il sempiterno Giacomo.
Questi uomini ci dimostrano una cosa in cui credo: che la politica è un metodo di vita, è una scelta coraggiosa e morale, un impegno a cui attendere con serietà e spirito di sacrificio e non una via di fuga dalle responsabilità e trionfo dell’opportunismo becero, così come sembra diventata dalle nostre parti, dove assistiamo ogni giorno alla commedia avvilente di teatranti da strapazzo, millantatori e facinorosi a cui abbiamo dato le sorti della nostra vita.
Liu Xiaobo ha coraggiosamente affrontato il Dragone cinese con la sua penna e il suo libro.
La penna è stata ridotta in briciole, l’inchiostro bevuto fino all’ultima goccia e il libro bruciato dal fuoco della repressione, ma Liu è lì, gettato in una cella, che ripete a memoria più volte al giorno il documento Charta08 e scrive le poesie con l’acqua sul pavimento di pietra.
Nessuno di noi avrà mai la fortuna di leggere quei versi. Il corpo straziato si ribella e afferma di vivere in quei versi non versi, in quel nulla che gli permette di esistere, di affermare a se stesso che, se hanno rinchiuso un corpo e lo hanno condannato a cucire, quel corpo ha un cervello, un animo poetico che nessun carcere, nessun isolamento, nessuna privazione riusciranno a tacitare.
Noi che siamo soliti vivere di stoltezze, totalmente inquinati dalle banalità, pusillanimi e bambocci, che pestiamo i piedi per ragioni sicuramente meno importanti, dovremmo trarre insegnamento da questi maestri del dolore. Invece, nella nostra bella società di marionette dipinte, l’importante è apparire. Per l’Essere c’è sempre tempo.
La poesia si chiude con cinque versi, che si riveleranno profetici per la vicenda umana e familiare di Xiaobo:
(…) due file di sbarre di ferro
inaspettatamente si sovrappongono
falene sbattono forte le ali verso
la luce della lampada, segno incessante
che disegna la tua ombra
Alla moglie è stata praticata una tortura psicologica fatta di isolamento e privazioni economiche: attualmente è rinchiusa in un ospedale psichiatrico. Una spessa coltre di silenzio è calata su questa gente.
Purtroppo il potere, soprattutto dittatoriale (senza distinzioni di colori e tendenze; dittatura è privazione della libertà, e non si può accettare mai) ha come presupposto di ridurre in briciole il pensiero speculare e critico.
Oggi in Cina si sta assistendo ad un progresso economico di tipo consumistico. Si è liberi di acquistare ma non di pensare. Del resto a chi detiene il potere economico non servono pensieri ma soldi. Assistiamo ogni giorno, privi di parole e scandalizzati, alla perdita di qualsiasi valore morale di fronte al crescente bisogno di avere, di acquistare, di affermare di essere attraverso il possesso di oggetti.
Le nostre celle hanno sbarre d’aria, ma ci sono. Il nostro inchiostro, al pari dell’acqua di Liu, evapora al contatto con la menzogna e l’amoralità. Ma abbiamo la fortuna dell’illusione della libertà e abbiamo l’obbligo di dare voce a questo poeta, che oggi è dimenticato dallo stesso Occidente, che con la Cina fa grossi affari.
Le dittature sussurrano parole dolci alle orecchie del Dio Quattrino, ai piedi del quale giacciono ammassati corpi, versi, spartiti, quadri, libri e la croce di un tizio che disse di scegliere tra Dio e il Potere (che illuso). Non si sono vergognati di usare pure quella croce per fare soldi. Così come i versi, e le scoperte, e i quadri, e la musica. Tutto viene riciclato dal potere del dio Denaro; tutti siamo costretti ad ossequiarlo e pochi sono coloro che possono affermare di non averlo pregato: Liu Xiaobo è uno di questi.
Chiudo con alcuni versi tratti dalla poesia struggente e lunghissima Le anime dei morti in primavera e compresa nella raccolta Elegie del Quattro Giugno, scritta da Xiaobo a diciotto anni dalla strage di Piazza Tienanmen del 4 giugno 1989.
Quella primavera, si gettò sotto i cingoli dei carri armati
Pur donando ogni saggezza pur offrendo la mia nuda anima
non sono assurto alle altezze della tombaQuella primavera, un illusione divenne per le madri eterna pena
da allora ogni primavera
è legata con ceppi e catenaMa io so
essa è prova e lascito delle anime dei defuntiQuella primavera, il crollo delle mie speranze
Il mio esile corpo la mia debole anima
se ne andarono prima del primo fascio di luce
Temo ogni prodezza da eroe
e non ho la forza d’infierire su me stesso
Una vita rinchiusa
lotta nel vuoto
Posso solo accendere una sigaretta
afferrare saldamente ogni attimo della caduta
sopravvivere è una prova
nessuno sa
se crollerò in meno di un’ora
Ho verniciato di nero uno specchio
lo lecco finché sia lucido da riflettere di nuovo
(…)
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