L’insolita rumba di Biagio Autieri: il corpo della periferia

Milano L'insolita Rumba di Biagio Autieri

Se proprio vi interessa mi chiamo Aniello, Salvatore Aniello e mi chiamano Totò.

Dicono che somiglio a quello dei film da ridere perché mi metto la pomata sui capelli, ho gli occhi nerineri e la parlata napoletana che con le ragazze non aiuta proprio. A me mi piace cantare e non so se lo so fare bene, dico bene da fare un disco, andare in televisione e tutte quelle cose che ti fanno cantante veramente. Tengo diciannove anni e non ho mai fatto niente però quando sto messo come una mappina qualche lavoro lo trovo: all’ortomercato scaricando i camion o barista da un amico di mia zia, ma sono cose tristi, faticose, ma invece voglio dirvi di quando nel mio quartiere abbiamo fatto il gruppo e poi volevamo suonare ai matrimoni e ai battesimi, e abbiamo fatto cose da pazzi con il repertorio neomelodico napoletano e tutto il resto.

(Biagio Autieri, L’insolita rumba, Il Saggiatore, ISBN edizioni, Milano, 2008, pp. 9-10)

Si presentano da soli, i ragazzi di Biagio Autieri, i ragazzi del Corvetto, delle periferie milanesi, di quelli che non hanno sogni, o che ne hanno troppi, o che non hanno mai saputo di poterne avere; ragazzi come noi, ragazzi come tutti; ma non di quelli che non vanno a fare serata in centro, perché quelli come loro, che ci vanno a fare in centro, che ci vanno a fare tra tutta quella gente che i soldi ce li ha, e te lo fa pure vedere? E poi, alla fine, è meglio rimanere lì, in periferia, che lì hai gli amici, succedono le cose, ci sono Fredo e Samir, e con un po’ di fortuna, si riesce anche a fare il complessino, e stavolta, gliela faranno sentire tutta un’altra musica: una bella rumba, sì, ma una rumba insolita, L’insolita rumba.

Milano, Via Farini (credits: Lorenzoclick; adapted)
Milano, Via Farini (credits: Lorenzoclick; adapted)

Parlano così, come viene; parlano con uno stile free-jazz, che se lo ascolti bene, senti che è un ricamo, che ha una musica tutta sua; Salinger l’aveva capito, e anche Biagio Autieri lo ricrea con una grande abilità, con la precisione di chi quei ragazzi li conosce bene, di chi li vede li vede in faccia tutti i giorni: di un educatore di strada, di un autore di strada che si guarda intorno, e sceglie le parole giuste per raccontare ciò che vede. Una lingua sceltissima, del tutto colloquiale e insieme estremamente autoriale: questo il basso continuo che accompagna L’insolita rumba. A fianco, una storia di quelle semplici semplici, ma che rimane dentro per molto tempo, perché fatta non di parole, ma di carne, di materia vera, pulsante.

È un librino sottile, che poteva anche essere un reportage giornalistico, e invece si è fatto  consapevolmente, coscienziosamente, eticamente romanzo: perché il punto focale non è il cosiddetto “disagio giovanile”: l’intento non è una ripresa dall’alto, fredda, distaccata, di questi ragazzi “senza futuro”. Senza futuro. Questa etichetta, calata dall’alto, come da un Olimpo senza nome.

Autieri, da educatore di strada, li guarda bene, e non ci crede: un futuro ci sarà pure. Non crede alle etichette, ai dogmi, agli inscatolamenti facili: li guarda in faccia, questi giovani, e li descrive: descrive i loro sogni, le loro aspirazioni, piccole e grandi. I loro amori, piccoli piccoli, ma che poi sono quelli che ti costruiscono, che ti fanno diventare grande. Li guarda nel loro muoversi in un mondo senza punti cardinali, ed è dalla loro parte. Li guarda talmente tanto che, alla fine, decide di fare suoi i loro occhi, e di parlare con la loro voce.

Mayastar, Maria, 2012 (credits: Mayastar)
Mayastar, Maria, 2012 (credits: Mayastar)

Ed è così che i suoi personaggi ci vengono incontro, si presentano e parlano di sé, della loro vita, della musica e che a loro non gliene frega niente di nulla, ma quella storia lì della musica li predeva un sacco, e che, quasi quasi, se quella cosa lì va bene (ma anche se va male), loro mica ci rimangono, lì a Milano.

Ma non li giusitifica, Biagio Autieri: ci mette davanti a tutti i loro errori, a tutte le loro debolezze, le loro sciocchezze, la droga, il loro essere piccoli, e anche, a volte, un po’ stupidi. Non si tira indietro: non vuole indorare la pillola, fare del “buonismo”, del pietismo. Li mette davanti ad uno specchio, e ci dice: guardate, loro sono così, né belli né brutti, o meglio, un po’ belli e un po’ brutti, un po’ grandi e un po’ piccoli, ma io non li giudico; posso giudicare le loro azioni, ma non scrivere una sentenza definitiva; sono un educatore, non un giudice. Perché giudicare, in letteratura, significa sempre fare la morale, dare una ricetta preconfezionata.

Ed è quanto di più lontano ci possa essere dalla letteratura. Biagio Autieri lo sa bene, ed è per questo che, alla fine, tra tutte le parole, tra tutti i registri e i modi possibili per raccontare una storia, ha scelto uno stile lieve lieve, una leggerezza invidiabile, come se la vita fosse uno scherzo, un gioco. Niente tragedia, niente melodramma (e sarebbe così facile). E, forse, ha ragione lui. Forse, tra tutte le parole possibili per questa storia, solo alcune erano quelle giuste, ed erano proprio le parole di quei personaggi, di quei ragazzi.

 

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Biagio Autieri, nato a Cosenza, lavora come educatore di strada presso una cooperativa sociale di Milano. Collaboratore di vari periodici, tra cui Diario di Enrico Deaglio, ha pubblicato nel 2008, presso ISBN edizioni, il suo romanzo L’insolita rumba. Oggi collabora con Re/search Milano, guida di una città fatta a pezzi, l’importante progetto di Agenzia X in uscita proprio in questi giorni, a cui, tra gli altri, hanno preso parte lo studioso di cultura underground Marco Philopat, gli scrittori Gianni Biondillo e Giorgio Fontana, il musicista Mauro Pagani, il collettivo di poesia Tempi DiVersi e il premio Nobel Dario Fo.

Gabriele Stilli
Gabriele Stilli

In tenera età sono stato stregato da quelle cose che si scrivono andando a capo spesso, e gli effetti si vedono ancora. Mi sono rassegnato, da diversi anni, a includere l’arte tra le discipline umanistiche e non nel rigoroso ambito delle scienze. Nutro ancora qualche dubbio, però.