Attualità di Ragazzo negro, il romanzo di Richard Wright

charles white copertina

Con occhi sempre attenti, e con cicatrici visibili ed invisibili, mi diressi al Nord, pieno d’una oscura nozione che la vita poteva essere vissuta con dignità, che gli uomini debbono essere in grado di guardare in faccia gli altri uomini senza timore, e che se gli uomini son fortunati nella loro vita sulla terra possono trovare qualche riscattante significato per aver lottato e sofferto quaggiù, sotto le stelle.

Stavo leggendo Ragazzo Negro di Wright quando in America è stato assassinato George Floyd; il video della sua assurda morte, diventato virale, ha fatto scatenare la furia degli afroamericani e non solo, le cui morti assurde spesso riempiono le cronache.

Sono gli occhi attenti e le cicatrici visibili e invisibili, come dice Richard Wright, e la voglia di riscatto e di lotta, che hanno mosso le gambe alle folle indignate, non solo di neri ma anche di bianchi, che non si riconoscono nel potere razzista, omofobo e violento.

Scritto nel 1945, questo libro autobiografico si lascia divorare dal lettore, per la sua prosa priva di retorica ma profondamente poetica. È il coraggio e la determinazione di un ragazzino nero, curioso e disobbediente, che conosce l’asprezza della vita, senza piegarsi al giogo imposto a quelli come lui.

Sarà quella disobbedienza, che nel corso degli anni assumerà dimensioni sempre più ampie, sfociando nelle lotte non violente di Martin Luther King e più oltranziste di Malcom X e di Potere Nero.

È la disobbedienza di una Rosa Parks, attivista statunitense che nel 1955 si rifiutò di cedere il posto a un bianco su un autobus a Montgomery in Alabama, dando origine a un boicottaggio, cui seguiranno altre lotte, che porteranno grandi riforme e lo spargimento di fiumi di sangue. È la stessa irrequieta presa di coscienza, che anima il piccolo Richard nei lontani anni Venti del secolo scorso, quando nel Sud degli Stati Uniti imperversava il Ku Klux Klan e i bianchi avevano diritto di vita e di morte sui neri.

Quando avevo finito di strofinare i pavimenti rimanevo a guardare le interminabili partite ai dadi che si svolgevano nei guardaroba, ma senza mai prendervi interesse al punto da parteciparvi. Il giuoco non mi aveva mai attirato. […] Io me ne stavo seduto ad ascoltarli per ore, chiedendomi come mai potessero ridere così liberamente, cercando di spiegarmi il miracolo che dava alle loro vite degradate l’apparenza d’un’esistenza umana.

Il libro narra l’infanzia e l’adolescenza di Richard, un bambino vivace e disobbediente, il cui padre se ne va che è ancora molto piccolo, lasciando lui e il fratello con la madre, una donna laboriosa che con fatica cresce i due figli, cambiando diverse case e città. Nel libro si respira l’intolleranza, l’emarginazione e la frustrazione, un’aria greve che circola nei ghetti, nei bar per soli neri che Richard fatica a comprendere e soprattutto ad accettare. Non si sente inferiore a un bianco e i suoi occhi non potranno mai smentirlo, creandogli non pochi problemi nel lavoro.

John Biggers, Shotgun, Third Ward
John Biggers, Shotgun, Third Ward

È il pensiero dei giovani afroamericani che sta cambiando, che prende coscienza dei propri diritti. Il protagonista rappresenta una generazione intera, che si stupisce e s’indigna per la vita degradata dei neri e per la loro allegria, che Wright chiama Miracolo.

È il miracolo che è diventato musica dalle note stupefacenti del jazz o del blues, cui tutta la musica moderna attinge a piene mani. È il miracolo di una felicità tragica, che illumina lo smalto dei denti nei sorrisi impagabili della gente di colore.

Un miracolo che è regolarmente massacrato dalle ginocchia di uno Stato, che non riesce a estirpare il germe del razzismo, nonostante abbia avuto un presidente nero.

Sarei mai riuscito ad apprendere qualcosa sulla vita e sulla gente? Per me, con la mia vasta ignoranza, e la mia condizione di negro, appariva una meta impossibile a raggiungersi. Lo sapevo ora, che cosa volesse dire esser negro. Potevo sopportare la fame, avevo appreso a vivere nell’odio, ma il sapere che v’eran sentimenti a me negati, che lo stesso alito della vita era fuori della mia portata, era questa, più di qualsiasi altra cosa, che mi offendeva, che mi feriva. Provavo una nuova fame ora.

Quella fame divora ora come allora molti ragazzi neri, sia che vivano nei ghetti americani o nelle banlieue di Parigi, nei caseggiati abbandonati di Roma o a Milano.

Perché se gli afroamericani furono strappati dalla loro terra con la violenza, nei bui secoli della schiavitù; oggi è la guerra, la fame e la violenza voluta dall’Occidente, per rapinare e alimentare le sue ricchezze, a costringere i poveri del mondo a fuggire in terre inospitali, opulente e razziste.

Sono i nuovi schiavi che vivono ai margini delle nostre società, sfruttati e poco apprezzati, popolando quartieri dormitorio, dove con l’aggravarsi della crisi sistemica del capitalismo, sono assoldati dalle mafie, dai caporali o peggio dal fanatismo religioso.

Io ero un non-uomo, un qualcosa che sapeva vagamente di essere umano, ma che sentiva di non esserlo.

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John Biggers, Contribution of Negro Women to American Life and Education, 1953, Murale, Houston

Nel 2020 queste parole dovrebbero essere state consegnate alla storia, invece assistiamo al dilagare dell’odio razziale, l’odio per il diverso, che sfocia in episodi di violenza, come quello accaduto a un venditore di fiori del Bangladesh, scaraventato nella Darsena a Milano da un branco di adolescenti, tanto per citare l’ultimo di cui ho avuto notizia. Quell’uomo agli occhi di questi ragazzi annoiati, viziati e pericolosi, non è un essere umano, non merita nessun rispetto, lo si può scaraventare nel fiume come un fantoccio, tanto è un nulla ai margini della strada.

Davanti a questi episodi che vanno dall’omicidio di Floyd alla violenza quotidiana anche verbale, siamo costretti ad ammettere che la società Occidentale è sempre all’anno zero.

Martin Luther King aveva un sogno. È ancora tale, nonostante tutto.

Ovunque, nella mia vita, io abbia incontrato la religione, ho trovato la discordia, il tentativo di un individuo o di un gruppo di dominare un altro in nome di Dio. La cruda volontà di potenza m’è sempre parsa marciare sulla scia di un inno.

Wright parla con la schiettezza e la semplicità di un bambino molto intelligente, esprimendo concetti profondi di una verità disarmante con parole chiare che, seppur con amarezza, non la può negare neppure un credente, purché sia di mente aperta al dialogo.

Quando arrivammo ad Eliane vidi che la zia Maggie viveva in un bungalow circondato da una palizzata. Somigliava a casa nostra ed io ne fui contento. Non sospettavo lontanamente che vi sarei rimasto solo per poco tempo, e che il modo della mia partenza avrebbe rappresentato la mia prima emozione razziale.

Sarebbe stato un bel posto la casa degli zii: non mancava il mangiare perché lo zio aveva un’attività ben avviata. Purtroppo la cosa non piacque ai bianchi, e lo assassinarono, costringendo Richard e la sua famiglia a fuggire per evitare rappresaglie.

John Biggers, Kumasi Market, 1962.
John Biggers, Kumasi Market, 1962.

Una vita avventurosa quella di Richard Wright, nato nel Mississippi nel 1908, con un’infanzia fatta di fughe e abbandoni, dove la forte volontà di riscatto dalla condizione d’inferiorità, la determinazione a inseguire il sogno di diventare uno scrittore, per denunciare, per informare, come poi farà in tutti i suoi libri, sono il fuoco che gli consentirà di realizzare il suo progetto, superando grandi difficoltà senza mai abbattersi.

Scrisse numerosi libri, saggi e poesie. Ricordiamo oltre a Ragazzo Negro, il primo libro I nipoti dello Zio Tom, tradotto dalla grande Fernanda Pivano.

Fu un militante critico del Partito Comunista, non appoggiò mai l’oltranzismo staliniano e i suoi metodi violenti. Era un sorvegliato speciale per la Cia e un elemento scomodo per il partito. Una mente brillante e attenta che sublimò la sua lotta civile con la letteratura.

Alla fine degli anni Quaranta si trasferì a Parigi, dove conobbe e frequentò Sartre e Camus. Era sempre in viaggio: Africa, India, paesi arabi, avido di conoscenza e, nonostante le difficoltà economiche rimase sempre fedele ai suoi principi e alle sue battaglie.

Morì per un infarto nel 1960 a soli 52 anni. La figlia ha sempre sospettato che fosse stato ucciso, ma non riuscì a provarlo. Non ci stupiremmo, del resto è lunga la lista degli assassini impuniti e di quelli ben mascherati da morti naturali.

Lasciamoci con una bellissima poesia di Richard Wright e spero di avervi incuriositi, al punto da andare a leggere Ragazzo Negro.

Ho visto mani nere..

Sono negro e ho visto mani nere, milioni e milioni di esse…
Erano stanche e deformi e incallite e incrostate di sporcizia e coperte di pellacce indurite.
E venivano prese entro le cinghie vertiginose delle macchine e schiantate e schiacciate e maciullate,
e correvano agili su e giù per le macchine pulsanti ammassando mucchi d’oro sempre più alti nelle banche dei padroni,
e accumulavano sempre più alte cataste d’acciaio, ferro, legname, frumento, segala, avena, grano, cotone, lana, petrolio, carbone, carne, frutta, vetro e pietra finché ve ne fu più del bisogno, e afferrarono fucili e se li misero in spalla e marciarono e brancolarono in trincee e combatterono e uccisero e vinsero nazioni che comperarono le merci fabbricate da mani nere.
E ancora mani nere accatastarono merci in cumuli sempre più alti finché ve ne fu più del bisogno,
e allora le mani nere strinsero tremando davanti la porta della fabbrica il temuto foglio di licenziamento,
e le mani nere rimasero inerti e dondolarono vuote e si fecero molli e divennero fiacche e ossute in conseguenza della disoccupazione e della fame.
E si fecero nervose e sudaticce, e si aprirono e chiusero nell’angoscia e nel dubbio e nell’esitazione e nell’irresolutezza…

Sono negro, e ho visto mani nere, milioni e milioni di esse…
tendersi trepide da giorni di lenta morte verso le merci che avevano fabbricate, ma i padroni ammonirono che le merci erano private e non appartenevano a loro,
e le mani nere presero a picchiare disperatamente a difesa della loro vita e scorse il sangue, ma i padroni inferociti decretarono che anche questo era ingiusto,
e le mani nere toccarono le gelide sbarre d’acciaio della prigione, le sbarre che avevano fabbricato, disperate saggiarono la loro forza e trovarono che non potevano piegarle né romperle, e le mani nere combatterono e misero fuori gli artigli e cessarono dal lavoro, ma mille mani bianche le presero e le legarono, e le mani nere sollevarono le palme in muta e futile invocazione verso le facce umide della plebaglia invasata d’orge sadiche,
e le mani nere si protesero e adunghiarono e si sforzarono invano di sciogliere il laccio che si stringeva intorno alla gola nera, e le mani nere ondeggiarono e batterono orrendamente le alte fiamme che arrostivano e riducevano in carbone nero la carne nera .

Sono negro e ho visto mani nere
levate a pugno in segno di rivolta, accanto ai pugni bianchi dei lavoratori bianchi,
e un giorno — e solo questo m’incoraggia a vivere — un giorno ve ne saranno milioni e milioni,
un giorno scarlatto in uno scoppio di pugna serrate davanti a un orizzonte nuovo!

(Richard Wright, da Nuovissima poesia americana e poesia negra (1949-1953), a cura di Attilio Bertolucci, trad. di C. Izzo, Guanda, 1953.)

 


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Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.