Ci sono libri che nascono per morire e poi essere sepolti, in qualche bancarella dell’usato, da altri libri. Le pagine ingialliscono, i caratteri diventano sempre più obsoleti, le copertine sempre più rovinate e le pila di libri che li seppellisce cresce sempre di più. Proprio in una di queste bancarelle siciliane, mentre la salsedine mi appiccicava i vestiti addosso ed erodeva le pagine dei volumi esposti, ho trovato un libro morto, sepolto da saggi invenduti o non più attuali e ricettari, con la sua copertina disegnata male, le sue pagine asimmetriche e il carattere troppo piccolo da poter leggere senza stropicciare gli occhi.
La nave morta è il racconto di un naufragio, non solo della vita del protagonista, un marinaio americano di nome Gerald Gale, lasciato a terra, nel porto di Anversa dalla sua nave, dove erano custoditi tutti i suoi documenti. Perdendo quei pezzi di carta, perde anche la sua identità, diventa morto per le istituzioni senza esserlo per la società.
Ma è anche il naufragio della burocrazia, che Traven, l’autore del libro, critica apertamente e aspramente. I consoli dell’epoca vengono descritti come uomini ottusi, corrotti e senza scrupoli. Se sei povero e perdi i documenti, diventi un clandestino, come dice anche uno dei consoli incontrati da Gale:
«Io dubiterò della vostra nascita fino a quando non avrete un atto di nascita. Il fatto che siate seduto di fronte a me non è una prova della vostra nascita. Ufficialmente, voglio dire».
Anche gli altri impiegati statali legati alle ambasciate vengono inquadrati sotto tutti i punti di vista negativi. Chi per negligenza chi per crudeltà, lasciano che Gale vaghi per l’Europa, prima in Olanda, poi in Francia e infine in Spagna, sfuggendo al carcere e alla morte più volte.
Ciò che Traven imprime a tutto il romanzo è un’atmosfera di solitudine e falsità, in cui il protagonista sembra affogare la rotta della sua vita, naufragando in mondi irreali. I consoli, le carceri e la mendicanza lo convinceranno di non essere più un marinaio americano salpato dal porto di St. Louis, ma un signor nessuno prima e un fuochista tedesco poi.
L’essere completamente isolato dall’ambiente intorno a lui lo porta a credere che il mondo di prima non esista più. Quindi prova a creare nuovi luoghi e vite in cui ritrovare sé stesso, per non convincersi che il dubbio del console fosse legittimo: si può essere convinti della propria nascita, se non vi è niente o nessuno intorno a noi che la attesti?
Il solo modo per cancellare questo dubbio è fare l’unica cosa che gli rimane della sua identità precedente, imbarcarsi come marinaio in una nave. Risulta però impossibile trovare una nave disposta ad accettare una persona nell’equipaggio senza documenti, almeno che questa nave non sia essa stessa senza identità, una nave morta appunto. Le navi morte sono infatti quelle navi che ufficialmente non esistono ma che gli armatori mandano in mare con i carichi peggiori, aspettando che naufraghino per ricevere i soldi dell’assicurazione, ben disposte ad accettare qualsivoglia malcapitato e reietto della società, così da farne piazza pulita.
Il naufragio dello Yorikke, la nave morta nella quale Gale si imbarca – una nave fatiscente, che vive di carichi sporchi e contrabbando, destinata al naufragio e a far guadagnare la compagnia di armatori grazie al premio assicurativo – è l’apice della solitudine umana, non solo del nostro marinaio, ma anche dell’umanità intera, che guarda consapevole e inerme la morte sociale di chi non può dimostrarsi vivo.
È qui che infatti sta la genialità dello scrittore, ovvero il rappresentare, negli anni venti del novecento, un qualcosa che seppur con modalità diverse accade ancora oggi. Capirete infatti che è ormai usanza comune isolare e lasciar naufragare persone provenienti dall’altra parte del mondo, che esenti da colpe si trovano senza identità, costringendole, con i nostri sguardi orbi e menefreghisti, ad affogare sotto onde alzate dalla nostra arroganza.
Il tema dell’identità è un tema che tocca particolarmente l’autore, che non rivelerà mai la sua. Bruno Traven è infatti uno pseudonimo, forse di un operaio anarchico tedesco scappato in Messico (recapito dal quale l’autore mandava i suoi manoscritti alla casa editrice). Ma non c’è nulla di certo. L’unica cosa certa sono i suoi libri, primo fra tutti Il tesoro della Sierra Madre, pubblicato nel 1927, dal quale nel 1948 sarà tratto anche un film di fama internazionale; ma anche appunto un capolavoro nascosto come La nave morta del 1926. Perché come affermava lui stesso, in una delle sue citazioni più note: «Le persone creative non dovrebbero avere altra biografia all’infuori dei loro lavori».
La nave morta è un libro dalla trama semplice ma mai noiosa, la prosa dello scrittore ti cattura, le descrizioni non sono mai banali e i personaggi sono strutturati in maniera impeccabile. Ti porta all’interno delle navi peggiori che abbiano mai solcato i mari e gli oceani e ti sembra che l’identità l’abbia persa tu e non solo Gale. Porta a immaginarti in una nuova vita, fatta di bugie che diventano realtà e che infine naufragano assieme a quelle dei tuoi compagni.
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B. Traven, o Bruno Traven è lo pseudonimo di uno scrittore, forse tedesco, attivo nella prima metà del Novecento. Non sappiamo quasi nulla di lui: si sa soltanto che ha vissuto in Messico per la maggior parte della sua vita, dove ha ambientato diverse sue opere. Ha scritto dodici romanzi, tra cui Il tesoro della Sierra Madre, La ribellione degli impiccati e La nave morta, recentemente pubblicato da Wom Edizioni.