La rivolta dei demoni: nei bassifondi della letteratura cinese

Domare la rivolta dei demoni

“Eterna” Hu è una strana bambina, ma cosa la renda tanto speciale è un vero mistero. La sua bellezza? La sua furbizia, forse? Ah no, aspettate: forse è il fatto che, quando la piccola ha compiuto sei anni, il negozio di suo padre sia stato distrutto da un incendio divampato in circostanze non chiare, gettando la sua famiglia nella più nera miseria. Ma no, forse non è nemmeno quello, dopotutto. Forse è solo il fatto che Eterna Hu sia nata grazie al provvido intervento di un’eterea fanciulla, uscita da un quadro appeso alla parete dello studio del padre di Eterna per prendere un tè con lui.

No, non avete sbagliato a leggere. Benvenuti nella Cina dei Ming.

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Patrick Hanan, uno dei più grandi traduttori di romanzi cinesi del secolo scorso, ebbe modo di definire Domare la rivolta dei demoni[1] come uno dei parti letterari meno fortunati della storia della Cina (almeno in termini di interesse destato in ambito accademico)[2]. Critici e storici della letteratura se ne sono sempre occupati in modo marginale: deprecabile mancanza di cui, tuttavia, non è difficile intuire le ragioni, visto che sin dalla sua prima apparizione a stampa – avvenuta probabilmente nel XVI secolo – questo romanzo ha messo in difficoltà intere generazioni di lettori, studiosi ed editori.

Poco si sa del nome dell’autore: lo si attribuisce generalmente a Luo Guanzhong, il celebre ideatore del Romanzo dei tre regni[3], con l’abusata mossa del ricondurre a un qualche nome famoso la paternità di ogni opera difficile da contestualizzare in un determinato tempo e in un determinato luogo. Con lo storico Romanzo dei tre regni, tuttavia, i contenuti di questo libro hanno poco da spartire.

La Rivolta dei demoni appartiene al genere della cosiddetta shenmo xiaoshuo, la finzione romanzesca comprendente storie di dèi e di spiriti, che in Cina godette di un successo strepitoso fino alle soglie del ventesimo secolo. Allo stesso genere si possono avvicinare più noti capolavori della letteratura cinese come Il viaggio in Occidente o L’investitura degli dèi[4], testi dai quali il nostro libro si allontana però in modo eclatante per più di una ragione.

La trama dei primi capitoli, come abbiamo detto, vede come protagonista la piccola Eterna Hu[5], la cui famiglia è ridotta a far la fame in una capanna esposta ai rigori dell’inverno. Un giorno, improvvisamente, ecco il miracolo.

Utagawa Kuniyoshi, Il ragno del Mondo e i suoi demoni tormentano Raiko.
Utagawa Kuniyoshi, Il ragno del Mondo e i suoi demoni tormentano Raiko.

Nella vita di Eterna entra di prepotenza una misteriosa figura, quella della sacerdotessa Pia, che dona alla bambina un libro di magia nera[6]. Grazie al potere del libro, la fortuna degli Hu torna a fiorire: con una semplice parola magica, Eterna si ritrova in grado di moltiplicare ad libitum poche manciate di chicchi di riso e di trasformare pezzi di spago in filze di monete sonanti. In pochissimo tempo la famiglia riesce a riguadagnarsi un posto nelle alte sfere della borghesia di Bianzhou e a questo punto, se non intervenisse qualche problema a scombinare tutto, il romanzo potrebbe tranquillamente fermarsi al capitolo tre.

Il problema, in questo caso, ha le sembianze del padre di Eterna. Il signor Hu guarda alle prodezze della figlia con un misto di ammirazione, stupore e timore reverenziale: Eterna produce soldi con la stessa facilità con cui respira, e questo è bene; di notte però si chiude nello sgabuzzino di casa e trasforma manciate di fagioli in soldati, che poi manda a sgozzarsi l’un l’altro in grottesche battaglie da Grand Guignol. E questo è male.

Nella Cina dei Ming le terapie psicologiche per genitori e figli riscuotevano un successo limitato come mezzo di risoluzione dei problemi famigliari: il padre di Eterna non vede altra soluzione che quella di sbarazzarsi della figlia, che viene quindi data in moglie a un ragazzo brutto e rincoglionito. Brutto, affinché a Eterna non venga in mente di affezionarglisi, finendo per metterlo a parte dei suoi segreti magici; rincoglionito, affinché le magie della sposa novella possano destare nel suo smilzo cervello la stessa curiosità di una rassegna cinematografica sul cinema afghano dell’anteguerra. In lingua originale. Senza sottotitoli.

La situazione di Eterna si fa ben presto insostenibile, sicché la disperata ragazza organizza un piano di fuga tanto rocambolesco quanto drastico. Talmente drastico che, nel momento in cui Eterna s’invola dalla casa del marito, sparisce anche dal romanzo, apparentemente portandosi dietro quel poco di senso ch’era rimasto alla sua trama. Leggendo i capitoli centrali di Domare la rivolta dei demoni, si ha spesso l’impressione di aver sbagliato libro. Più volte si è tentati di chiuderlo e di riesaminarne la copertina, giusto per essere proprio sicuri sicuri di non averne preso in mano un altro per errore. Non che sia brutto, intendiamoci: è solo che la storia, la storia come la conoscevamo fino a quel punto, s’interrompe di botto senza chiedere il permesso.

Eterna precipita in un pozzo, dal quale ogni persona che tenta di tirarla fuori torna su cadavere. Laggiù, per ragioni che non ci è dato di divinare, incontra di nuovo la sinistra sacerdotessa Pia, che da quel momento prende ad apparire in luoghi improbabili elargendo conoscenze occulte a carrettieri, artigiani e venditori di frittelle. Dovunque passi, curiosi personaggi cominciano a materializzarsi agli angoli delle strade. Un monaco e un evanescente sacerdote taoista seminano il panico tra gli ufficiali della prefettura, estorcendo danaro a ingenui eunuchi e giocando brutti tiri a guardie imperiali.

Utagawa Kuniyoshi, I dipinti fantastici di Ukiyo Matabei
Utagawa Kuniyoshi, I dipinti fantastici di Ukiyo Matabei.

Il prefetto sbarella e comincia a interrogare i pochi sospetti sui quali riesce a mettere le mani, salvo poi scoprire che i suoi uomini sprecano lena e sudore per torturare manici di scopa. I soldati del prefetto inseguono un losco figuro fin dentro il sancta sanctorum di un tempio buddista, finché costui non decapita la statua d’oro del povero Śakyamuni e vi s’introduce, trasformandone il volto in una maschera sanguinolenta. Nessuno ci capisce nulla, men che meno il povero lettore. Infine, dopo settanta pagine di delirio, riappare Eterna Hu. Fresca come un quarto di pollo, la ragazza si siede in mezzo a una piazza e comincia a raccogliere manciate di fango e a servirsene per plasmare candele inestinguibili da vendere ai passanti.

Se siete confusi, vi capisco.

Lo siamo un po’ tutti. Nessuno sa cos’abbia fatto Eterna fino ad allora, nessuno sa dove sia stata e – spoiler alert – a nessuno riuscirà di scoprirlo in tutto il resto del libro. Da questo momento in poi la ragazza riprenderà in mano i fili della vicenda, ma non saprà farne buon uso; dopo una prima parte sostenuta da una certa coerenza interna e una seconda improntata alla più selvaggia farragine, il romanzo proseguirà zoppicando lungo la sua imprevedibile strada, cercando una volta di troppo di vestire dei panni non suoi e che, a ben vedere, finiranno per attagliarglisi a gran fatica: quelli del romanzo storico.

La terza e ultima sezione della Rivolta dei demoni vede l’improvvisa entrata in scena di un nuovo personaggio, un giovane e ambizioso sottufficiale di nome Wang Ze. Il nome non è un’invenzione dell’autore, così come chi lo porta. Wang Ze si chiamava una strana e carismatica figura di agitatore di folle che, nei primi e tormentati anni dell’antica dinastia Song[7], era riuscito con bell’arte a mettersi a capo di una sorta di scalcagnata armata Brancaleone composta di pastori e contadini.

Questo esercito improvvisato aveva rovesciato il prefetto della provincia di Bei, spiccandone la testa dal busto e trasformando la prefettura in una pseudomonarchia retta, manco a dirlo, dallo stesso Wang Ze. La ribellione era stata stroncata dopo soli settanta giorni dal suo divampare, ma questo folgorante quanto temporaneo successo aveva impressionato a tal punto gli abitanti di Bei che una serie di voci aveva cominciato a diffondersi su colui che l’aveva guidata: Wang Ze aveva vinto perché il Cielo aveva voltato le spalle all’imperatore, Wang Ze aveva vinto perché la fine del mondo era vicina, Wang Ze aveva vinto perché un’armata di demoni aveva combattuto al suo fianco.

La storia narrata dagli ultimi capitoli del romanzo è la storia di questo Wang Ze alternativo: di un modesto sottufficiale che, completamente privo di esperienza in campo militare, viene scelto dai demoni per guidare in battaglia le truppe del Male al fine di sconvolgere l’ordine dell’Impero. Al suo fianco troviamo Eterna Hu, che lo sposa e si assume l’ingrato compito di fargli da guida nell’ardua impresa. Non penso di rovinarvi alcuna sorpresa rivelandovi che, alla fine, la rivolta dei demoni sarà stroncata, Wang Ze andrà incontro a una morte atroce e la pace tornerà a inghirlandare le gaie e bucoliche contrade di Beizhou.

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È da almeno cinque secoli che il grande pubblico seguita a chiedersi cosa si debba fare con questa storia. Lo stesso parlare di “storia” al singolare, a dire il vero, risulta già di per sé fuorviante, perché è ormai opinione largamente condivisa che il romanzo così come lo conosciamo sia in realtà il prodotto di una non troppo attenta operazione di adattamento, condotta su almeno tre storie diverse in modo da farle collimare tra loro. È un’ipotesi assai plausibile.

Domare la rivolta dei demoni

La prima sezione, quella che racconta la storia di Eterna Hu, dopo un inizio promettente si risolve in un nulla di fatto, con la scomparsa della protagonista nel pozzo; la seconda sezione sembra un rabberciato compendio di storie di fantasmi[8]. Quando poi Eterna riappare, nella terza sezione, il suo carattere ha ben poco in comune con quello della sua forma iniziale: la piccola e tutto sommato innocente fanciulla ha ceduto il passo a un’agguerrita demonessa, che ammalia il codardo Wang Ze per muoverlo alla conquista del potere.

Preso così com’è, Domare la rivolta dei demoni è un libro straniante. Nei primi anni del ‘600, valutando con attenzione tutti i pregi e i difetti di una storia che continuava comunque ad appassionare i suoi lettori, l’abile letterato Feng Menglong[9] decise di approntarne una versione “riveduta e corretta”, raddoppiando il numero dei capitoli e introducendo una sorta di lungo prequel alle vicende di Eterna Hu e dei suoi amici fantasmi. Questa seconda versione ebbe una sua fortuna, ma offuscò quelli che ai nostri occhi di lettori moderni sono invece i punti di forza della prima stesura.

La Rivolta dei demoni è un romanzo debole, manca quasi del tutto di profondità psicologica e ha una trama che sta insieme con lo sputo. Ma non è solo questo. È anche una storia magica, inquietante a tratti e a tratti divertente, piena d’immaginazione e di colpi di scena. È molto breve, e in questo si distanzia in modo marcato dal canone dei grandi romanzi cinesi, le cui pagine si contano in genere nell’ordine delle migliaia: quest’asciuttezza non deve essere annoverata tra i difetti del libro, perché consente al lettore di cogliere la sua ruvida bellezza senza lasciargli il tempo di essere annoiato dalla sua inconsistenza.

Domare la rivolta dei demoni è una di quelle opere che ci consentono di muoverci indisturbati nei bassifondi della letteratura, popolati di titoli mai sentiti che non hanno trovato spazio nei libri di Storia. A differenza del Viaggio in Occidente o delle altre storie cinesi zeppe di draghi e di dèi, il nostro romanzo attinge il proprio fascino dal lato più oscuro del mondo ultraterreno, quello in cui mostri, demoni e fantasmi giocano le loro partite per il possesso del cuore degli uomini. Non è un libro che prometta lezioni di raffinatezza o di moralità, immerso com’è nel macabro carosello di tutto ciò di cui Confucio non amava parlare[10]. È una storia rozza, fatta di grida e di risate. Una storia di fantasmi che, in fondo, non può fare a meno di sembrarci profondamente umana.

Federico Franchin
Federico Franchin

Sono nato a Monza nel 1991 e vivo a Milano. Ho una spiccata tendenza a occuparmi di scrittori e musicisti giudicati minori o semisconosciuti, perché seriamente convinto che anche a loro faccia piacere sentir pronunciare il proprio nome, ogni tanto.