Salvador Dalí: Reminiscenza archeologica dell'Angelo di Millet ca. 1934, olio su tavola, Museo Dalì, San Pietroburgo.
Salvador Dalí: Reminiscenza archeologica dell'Angelo di Millet ca. 1934, olio su tavola, Museo Dalì, San Pietroburgo.

L’Io surrealista e il dolore cubista

No, non potevi farlo anche tu – II

Quando gli intenti si incontrano con la tecnica perfetta

 

Qui trovi la prima puntata del ciclo

 

Più volte mi è capitato di trovarmi in un museo di arte contemporanea con qualcuno che non aveva propriamente idea di cosa saremmo andati a vedere, qualcuno che si schermava dietro alla convinzione che avrei dovuto fare da guida, visto che lui queste cose proprio non le capiva. Ma dietro questa frase o richiesta, che di per sé non ha assolutamente nulla di male, si nasconde molto spesso un sottinteso, un silenzioso «tanto queste opere non hanno senso».

Quando avviene questo siparietto non è mai piacevole per l’appasionat* di turno, perché sulle sue spalle si abbatte un macigno di dimensioni cosmiche e mille domande iniziano ad affollare la sua mente: sarò in grande di trasmettere un senso, un po’ di entusiasmo, un po’ di passione? Riuscirò a far apprezzare almeno un pochino quello che andremo a vedere, a sconfiggere gli sguardi di sfida e gli stereotipi?

Bisogna ammettere che non tutte le correnti sono approcciate con la stessa diffidenza da chi non apprezza l’arte post impressionista: se infatti i ready made raramente incontrano il favore del pubblico anti-contemporaneista, la storia si fa leggermente diversa con correnti come il Cubismo e il Surrealismo. Infatti, se con l’arte dei primissimi anni del Novecento quella che viene spesso messa in discussione è la validità del prodotto artistico, con queste correnti che si affacciano sulle balconate d’Europa degli anni ‘30 e ‘40 le critiche mosse sono prevalentemente di tipo estetico.

Joan Mirò, Donna che si incipria, 1949, olio, guazzo, inchiostro, pastello su tela, collezione privata
Joan Mirò, Donna che si incipria, 1949, olio, guazzo, inchiostro, pastello su tela, collezione privata.

Le opere sciolte e visionarie di Dalì o i segni apparentemente privi di senso di Mirò incontrano sicuramente i gusti di un pubblico più vasto, che se non altro riconosce nelle opere surrealiste un sapiente gioco di colori, forme e movimento. Ma è davvero tutto qui?

Vi stupirebbe se vi dicessi di si, e infatti non posso dirlo. Dietro ai soggetti e alle composizioni surrealiste vi è un intento molto profondo, ossia quello di dare finalmente voce all’interiorità dell’essere umano, facendo uscire e riversando su tela le sue paure e speranze, ma anche i moti dell’inconscio e del subconscio, la parte più difficilmente accessibile di ogni essere umano.

Non a caso il nome della corrente viene proprio scelto per indicare ciò che è va oltre la realtà. Temi come l’amore, la follia, il sogno vengono trattati senza barriere e in modo quasi esasperato, cercando di rompere una volta per tutte la gabbia d’oro delle buone maniere e delle convenzioni sociali in cui l’essere umano si trovava a vivere.

La riproduzione di un simile mondo interiore non può ovviamente essere lasciata al caso, e tanto meno alle tecniche pittoriche classiche. Per questo gli artisti surrealisti si dedicano per esempio al frottage e al grattage (strofinamento e raschiamento), al collage e all’assemblage (assemblaggio) , il dripping, ossia il famoso gocciolamento che verrà reso celebre anni dopo da Jackson Pollock e infine dalla particolare tecnica del cadavre exquis, o cadavere squisito: una tecnica che procede per sovrapposizioni pittoriche da parte di più artisti, che procedono alla cieca sull’operato dell’artista precedente.

Non tutti gli artisti surrealisti utilizzano però tecniche così invasive, ma lasciano che siano i soggetti, più che le modalità, a scuotere il pubblico. Ed è proprio questo il caso dei sopracitati Dalì e Mirò.

Salvador Dalì, La tentazione di Sant'Antonio, 1946, olio su tela, Museo reale delle belle arti del Belgio, Bruxelles.
Salvador Dalì, La tentazione di Sant’Antonio, 1946, olio su tela, Museo reale delle belle arti del Belgio, Bruxelles.

Salvador Dalì raffigura scenari onirici che rappresentano i suoi incubi e i suoi sogni, replicando negli anni alcuni soggetti come gli orologi, metafora dell’ineluttabile avanzamento del tempo e della variabilità degli stati d’animo. Le bizzarre forme di Mirò invece richiamano l’infanzia dell’artista ormai lontana, un periodo caratterizzato dall’innocenza e soprattutto dall’armonia, sebbene inseriti in un caos giocoso e sui generis. Davanti a queste rappresentazioni vive e mutevoli risulta difficile rimanere impassibili e non trasferire le proprie emozioni all’interno dei turbinii colorati e scenografici, chiedendosi se queste figure non abbiano forse qualche volta popolato anche i nostri di sogni, anche se sicuramente ancora una volta non si parla del bello canonico. Ma è davvero il bello lo scopo primo dell’arte?

No, e lo dimostra anche il cubismo di Picasso.

La corrente cubista prende vita in realtà negli anni 10 del Novecento, facendosi baluardo di un nuovo tipo di raffigurazione, contraddistinta dalla scomposizione di figure armoniche in forme puramente geometriche, con la creazione di giochi di incastri e fusione dei piani che vogliono prendere le distanze dalle regole prospettiche rinascimentali e dai principi di equilibrio e simmetria, usati in passato come vademecum per ogni raffigurazione artistica. Con Picasso però questa tendenza viene estremizzata e portata su un altro livello analitico.

Picasso Guernica: l'arte e la guerra
Pablo Picasso, Guernica, 1 maggio – 4 giugno 1937, olio su tela, Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía, Madrid

Bisogna dire che il pittore spagnolo non rende sempre la vita facile al pubblico in termini di intelligibilità del soggetto rappresentato, ma non si possono certo mettere in discussione le sue doti artistiche, soprattutto se si conosce la sua celebre affermazione «Mi ci sono voluti quattro anni per dipingere come Raffaello, ma una vita intera per dipingere come un bambino», e se si conoscono alcuni schizzi dei suoi primi periodi pittorici.

Ma, soprattutto, mi viene difficile pensare come si possa rimanere indifferenti o addirittura delusi davanti alla potenza di alcune delle sue opere, prima tra tutte la famosissima Guernica, conservata al Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofía di Madrid. Non una semplice opera ma un manifesto politico e sociale, una critica aperta e diretta, nata per rappresentare il bombardamento della città basca di Guernica e diventata poi un generale simbolo di denuncia della guerra e delle terribili conseguenze della violenza che da essa inevitabilmente scaturisce,

Oltre al fine documentaristico e memoriale, l’opera porta in sé un innegabile valore simbolico, riuscendo attraverso la commistione di tutte le sue parti a narrare con forza e prepotenza il dolore e la sofferenza delle parti coinvolte: la donna che urla al cielo per la perdita del figlio, uomini avvolti dalle fiamme, un cavallo che nitrisce fieramente e un cavaliere caduto, che tiene nella mano destra l’unico simbolo di speranza per il futuro, un fiore. Da opera fieramente cubista, il dipinto nasce da figure spezzate e spigolose, che si adattano perfettamente al significante e al significato di questa composizione.

Ancora una volta viene da interrogarsi sulla potenza dell’arte contemporanea e dei suoi nuovi mezzi espressivi, ponendosi una domanda che necessità però di una risposta sincera: le forme armoniche e perfette del Rinascimento o del Neoclassicismo sarebbero davvero state le migliori per rappresentare in maniera netta e perfetta una ferita sociale così profonda e moderna, creata da una violenza terribile e tecnologicamente nuova rispetto al passato?

Vi stupirebbe se vi dicessi di si, e infatti – anche questa volta- non posso dirlo.

 

Leggi tutti i nostri articoli sull’arte contemporanea


In copertina: Salvador Dalí, Reminiscenza archeologica dell’Angelo di Millet, ca. 1934, olio su tavola, Museo Dalì, San Pietroburgo.

Leggi di più
Niccolò Minato e la chimera
Il cavalier Minato e la chimera