Questa volta voglio parlarvi di Nella Nobili, una poetessa poco conosciuta fuori della ristretta cerchia degli addetti ai lavori. Infatti, ho avuto il piacere d’imbattermi nella sua poesia tanto aggraziata quanto dura e aspra, che mi ha ricordato le “rime aspre e chiocce“ del nostro grande Padre Dante, grazie a un articolo, apparso su Poesia n.327 del giugno 2017 di Crocetti, di Maria Grazia Calandrone, estimatrice oltre che divulgatrice dell’opera della Nobili, di cui ha curato la raccolta dal titolo Ho camminato nel mondo con l’anima aperta, uscito nel 2017.
Critico letterario e poetessa, Calandrone scrive su diverse testate letterarie tra cui la già, citata Poesia, cura per Radio Tre un programma di letteratura, convinta assertrice, così come lo sono io, dell’utilità pratica nella vita di tutti i giorni della Poesia, con la sua vitalità, il suo messaggio rinvigorente e rivelante, che ci aiuta a comprendere e ad affrontare con più coraggio la vita quotidiana spesso carica di disavventure.
Chi è Nella Nobili? È una donna del popolo, un’autodidatta fulminata dal genio poetico in quarta elementare dalla lettura ad alta voce di una poesia; un’omosessuale, che non avrà timore di esternarlo in bellissime liriche d’amore dedicate alle sue donne, come questi tratti dalla bellissima lirica Rossana segreta:
(…)
Ho passato la mia mano
sugli occhi dei tuoi ricordi,
sulla tua fronte, sulla tua bocca
sui tuoi bianchissimi seni.
(…)
La scuola ha avuto il pregio di gettare semi in un terreno fertile; purtroppo la povertà della sua famiglia non le ha consentito di proseguire gli studi e fin dalle scuole elementari andò come apprendista in varie fabbriche di ceramiche, astucci per orafi e infine, presso una vetreria, dove si specializzò come soffiatrice, per la preparazione delle boccette per i medicinali.
Nella era nata a Bologna nel 1926, immaginiamo per un attimo quale potesse essere la condizione degli operai nelle fabbriche del Nord degli anni Trenta, per le donne poi… orari di lavoro con turni di 12 fino a 15 ore al giorno, se non di più. Nella, di notte, dopo una giornata in fabbrica, leggeva, scriveva, nutriva la sua mente.
Chi di noi al giorno d’oggi avrebbe tale coraggio, tale passione per la letteratura?
La ballata
Madre – voglio ballare !
Dammi il vestito rosso.Voglio andare ballando
Sulle rotaie del tram
Per tutta la città.
Campanaro – suona un valzer
Dal campanile grande –
Venite tutti in piazza
A cantare e a ballare.
Piangeremo domani
“Voglio andare / ballando sulle rotaie del tram“, sembrano versi fuori dal loro tempo, sono perentori i toni di questi verbi, imperativi che non lasciano scampo. La vita è dura e la vive chi osa, chi va oltre i suoi limiti, chi ama ballare con il rischio di cadere. Rischia chi non ha scelta, così come ride per non inumidirsi con stupide lacrime, lusso per chi ha fazzoletti da inzuppare e tempo da passare ad asciugare mani e viso.
Fuggire e reimpostare la propria vita senza un piano, senza una meta, è facile da dire e meno da realizzare. La fabbrica Nella la vive come una costrizione, legge di notte, nonostante i turni massacranti e scrive: perle di sudore e d’amore incastonate nelle parole, nei versi asciutti e scarni ma densi e veri, senza veli.
Dopo guerra
Più non mi vengono incontro,
per la campagna i festosi
casolari gialli.
Scheletri neri di travi
irti sui rari viandanti
minacciosi rimangono.
Scoppia la seconda guerra mondiale e Nella con la sorella si offrono volontarie per il recupero delle salme dei bombardamenti, ma l’esperienza è scioccante, così sono trasferite all’accoglienza dei feriti.
La meravigliosa poesia Dopo Guerra mi ha ricordato l’Ungaretti di S. Martino del Carso, nel Porto Sepolto e nello stesso tempo per il contrasto del colore, mi fa venire in mente Van Gogh e il suo quadro Campo di grano con volo di corvi. La Nobili utilizza il verso come linee e le parole diventano colori e l’ossimoro di quei: “festosi / casolari gialli“ in contrasto agli “Scheletri neri di travi“, è subito evidente e ci trasmette lo sgomento, la desolazione di quel che resta dopo qualsiasi guerra. Un monito che prosegue, sottile e arguto, oggettivato ne Le bandiere, dove sono chiare le immagini delle fosse comuni, degli scheletri ossuti seppelliti ovunque, che toccano tutti i punti cardinali della Terra, così come la guerra mondiale, da poco finita. Le bandiere sono deposte nelle fosse comuni, dopo la sbornia suicida dei grandi ideali, che come tali si sono rivelati letali, compreso lo stalinismo in Unione Sovietica, che Nella fin dagli anni Cinquanta cominciò a criticare, pur essendo di sinistra dichiaratamente.
Le bandiere
E portarono le bandiere,
tanto lontano in un luogo segreto
al quale nessuno potesse accedere.Nel vento
che sbatteva le tele erano pronti
per partire e per morire. E così avvenne
che portati dallo slancio comune
senza sapere dove correvano
uno dietro l’altro perirono
nella fossa comune e giacquero immobili
le braccia aperte verso i punti
cardinali. Crocifissioni
ideali.
Le sue poesie dense d’immagini colpiscono il pittore Giorgio Morandi, presentatole da Aldo Borgonzoni, e lei, appassionata d’arte, frequentando il suo studio conobbe Lipparini, un latinista, che le diede l’opportunità di leggere e studiare nella sua biblioteca.
Nel 1948 Nella si trasferisce a Roma e fu scoperta dal direttore del “Giornale della sera“ Giuseppe Galassi, che le diede l’opportunità di essere conosciuta e apprezzata dal mondo intellettuale, allora molto fervido nella capitale.
Nel 1949 esce la sua unica raccolta di poesie, edita in Italia a cura di Tosi e Dunzi dal semplice titolo Poesie, che fu accolta favorevolmente dalla critica e dagli intellettuali. Colpiva l’originalità dei suoi versi, completamente diversi dalla poesia femminile degli anni Cinquanta, e colpivano le sue origini, il suo lavoro e il suo fare dimesso e schivo.
Gli anni romani la vedono come un’attrazione dei salotti mondani e intellettuali: la poetessa operaia, che la Bellonci, la Spaziani e tanti altri vollero conoscere, abituati al loro vivere e coltivare la letteratura seduti nei loro molli divani al caldo di case confortevoli, incuriositi di come la poesia germogliasse in un ambiente tutt’altro che propizio.
I suoi versi trafiggono l’anima, la mente e il cuore del lettore, perché sembrano incisi nel foglio e non scritti. Nulla della leziosità e a volte dell’ipocrita tenerezza, tipica della poesia femminile del tempo, ritroviamo nei suoi versi d’amore. La durezza della vita ha ispessito il verso, mondandolo degli orpelli letterari inutili.
Città di carne
Ti amo città di carne
sofferenza e meraviglia
del mio sangue delle mie mani.
Vorrei essere cieco per
percorrerti con le mie dita
aperte – per entrare
in ogni crepa in ogni graffito
in ogni pietra consumata
da altre mani.
Nel 1955 Nella Nobili si trasferisce a Parigi, la Città di Carne, stufa di Roma e dei suoi salotti troppo borghesi e ipocriti. Inoltre il personaggio della “poetessa-operaia” è un’etichetta, pesante e opprimente, che la condiziona e la relega al ruolo di fenomeno da baraccone, in mezzo ai poeti acclarati e, diciamolo pure, un po’ parrucconi italiani.
Parigi sarà la terra dove Nella si sentirà libera di esprimersi e a una mostra d’arte conoscerà la compagna che fino alla fine le starà accanto, Edith Zha, con la quale scrive un saggio Les femmes et l’amour homosexuel, uscito nel 1979. La professoressa Marie-Josè Tramuta con l’aiuto di Edith Zha ha fatto un’opera di recupero di tutti i testi inediti della Nobili, che presto troveranno posto in un’antologia francese, entrambe hanno collaborato con la Calandrone alla buona riuscita dell’antologia italiana uscita nel 2017.
Il figlio non nato
Ho avuto un figlio nato prima del tempo.
Forse su questa creta l’alito lieve
degli angeli non si posa. Aveva
una tristezza immensa nel viso, una pena
troppo forte, un dolore maturo
nel viso esperto e chiuso come adulto
segreto nella sua morte incompresa
nudo in una nascita inespressa
simbolo di sventura e di paura
nemico da schiacciare come una serpe.
Una donna ha la percezione della maternità, perché fa parte della sua natura, il corpo lo ricorda a ogni ciclo mestruale. La maternità: trionfo e tomba di una donna. Consideriamo sempre che la nostra Nella è una donna nata nel 1926, omosessuale per giunta e con dei rapporti difficili con la sua famiglia poverissima e incapace di capire la grandezza intellettuale di questa figlia. Sappiamo pure qual era l’educazione impartita alle bambine dalla retorica fascista, che le voleva spose e nutrici di tanti figlioli, per la grandezza della patria. Tutti concetti antitetici allo spirito indomito di questa timida e introversa ragazza, che rielaborerà nei suoi versi, in questo figlio non nato, schiacciato come una serpe, perché “simbolo di sventura e di paura“, tutta la sua ribellione, il suo tormento e la reale emancipazione e riscatto della sua condizione di donna e di omosessuale.
I miei parenti
Mio nonno riposa nel grande fiume.
Mio nonno faceva il carrettiere e aveva uno di quei carretti
rossi color pomodoro, stinto dal sole e dall’acqua.Mio nonno andava a raccogliere i sassi nel letto del fiume
e se ne scappava quando stava per arrivare la corrente.Un giorno la corrente arrivò più presto del solito e si
portò via mio nonno e il suo carretto rosso.
Questa lirica è tratta dal libro uscito in Francia nel 1979 Quaderni dalla Fabbrica (La jeune fille à l’usine), non ci sono scivoloni sentimentali, questo nonno che troviamo ripetuto per ben tre volte, un’anafora costruita perfettamente per dare a questa figura uno spessore e una profondità tale, da rappresentare simbolicamente il vecchio patriarca di una famiglia, unico collante, emblema di una vita semplice finita in fondo al fiume come questo nonno con il suo carretto rosso. Un rosso ingiallito dal tempo e dall’usura, che risalta e pone il lettore dentro la tragedia, la sua personale tragedia di una vita in disarmonia con la natura, in perenne solitudine, destinata pertanto a soccombere.
Sono affascinata dai versi di Nella, così spogli, così pittorici, brevi e asciutti lasciano alla mente la possibilità di vedere e di sentire la scena. Una poesia bellissima di questa raccolta è: La ragazza con gli occhi pieni di buio, di cui posto l’inizio e la fine, perché è piuttosto lunga ma molto bella. È impressionante la durezza e la dolcezza infinita di questi versi, dove la primavera, il risveglio della natura concede al poeta di scovare in occhi disumani un sorriso, ma è un frammento di tempo, un raggio di sole che illumina e poi sparisce. Così si richiudono gli occhi e si nega l’anima, cioè l’essenza stessa dell’essere umano. Si sente l’alienazione della fabbrica, la sua progressiva disumanizzazione, che sta togliendo il sorriso e spegnendo la luce, cioè la curiosità dagli occhi e dalla mente. Siamo in pieno ’68, ma in questi versi regna una calma irreale, una calma quasi plastica.
Dove lavoro io, proprio di fronte al mio banco, c’è una
ragazza bruna che non parla mai. E non ride mai.
I brevi faticati sorrisi li fa per convenienza e quando noi ridiamo forte.
Sembra una ragazza tagliata a metà, in lei c’è solo la parte buia.
Ho cercato, abbiamo cercato di indurla un po’ ad aprirsi,
per suo sollievo, ma ormai vi abbiamo rinunciato.(…)
Così piano piano ogni giorno
un po’ di più si chiudono gli occhi
di bambina fiduciosa e curiosa
che avete aperto alla vita
brutalmente svezzata dalla vostra pedagogia
Maestri incapaci poveri genitori patria cattiva
Infanzia tradita. Sarebbe meglio
dare ai figli dei proletari
un’educazione particolare.
Lapidario il finale e amaro, i figli dei proletari saranno sempre diversi e gli verranno chiesti tributi e doveri diversi, pertanto, accusa Nella, rimasta affascinata dalla poesia ma costretta a lavorare e non a studiare, gli adulti di tradire i fanciulli con le illusioni mai realizzabili?
Che cosa direbbe oggi la nostra poeta, in quest’epoca di finzioni e ignoranza dove le illusioni sono pane quotidiano e la loro frustrazione, oltre a spegnere la fantasia e la luce della curiosità, acceca con la rabbia e la violenza gratuita questi proletari, ormai non più tali, mutati da decenni e senza alcuna identità di classe e men che meno di cultura?
A Parigi la Nobili lavora e per vivere realizza oggettistica d’artigianato con la colatura degli smalti a freddo, una sua invenzione, che pagherà caro. Gli acidi dei colori le provocano, infatti, persistenti mal di testa che la nostra autrice cura con l’Optalidon, un farmaco che, si scoprì nel tempo, induceva alla depressione autolesionista a chi ne faceva largo uso.
Non si spiega in altro modo il suicidio nel 1985 di Nella Nobili, giacché stava attraversando un periodo sereno sia economicamente sia sentimentalmente, nonostante scrivesse negli ultimi due versi della poesia dal titolo Commiato del 1979:
[…]
Cerco aiuto per fare mille e più chilometridi strada, cerco qualcunoche m’accompagni per tornare a casa.
Alla sua morte cala un imbarazzante silenzio sulla sua opera poetica e in Italia dobbiamo ringraziare l’infaticabile e già citata Maria Grazia Calandrone, per aver riscoperto questa poetessa veramente singolare, sicuramente non apprezzata e stimata a causa delle sue umili origini e della sua cultura vastissima ma irregolare.
Vi lascio con la quinta delle Dodici poesie di lutto, ma vorrei trascriverle tutte e v’invito a cercare questo libro: Ho camminato nel mondo con l’anima aperta, dove sono raccolte le più belle poesie di Nella Nobili, alcune tradotte dal francese, lingua d’adozione nella quale scrisse le sue ultime liriche.
V.
Chi riunirà gli amanti
morti abbracciati se non
l’alchimia della materia
lo sgocciolare del tempo
il segreto delle correnti
sotterranee?
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Per approfondire:
Poesia n.327- La riscoperta di Nella Nobili di Maria Grazia Calandrone
Andrea Federica de Cesco, Nella Nobili come Saffo, una raccolta celebra la poetessa morta suicida, su Il Corriere, 20 giugno 2018
Articolo di presentazione del libro, con una lunga intervista alla Calandrone
Jessi Simonini, Nella Nobili, riscoperta di una poeta di frontiera, su La Macchina Sognante
Maria Grazia Calandrone, Nella Nobili e la poesia vista dai filosofi: Platone, Sartre, Adorno,su mariagraziacaladrone.it
Nella Nobili, su Rai.it (video)
Ringraziamo Edith Zha per le fotografie.