La famiglia Aubrey, di Rebecca West

La famiglia Aubrey, di Rebecca West

La famiglia Aubrey é un romanzo che merita di stare lassù, nell’Olimpo dei Classici. Sì, esattamente lì: alla stessa altezza delle Piccole Donne di Louisa May Alcott. Si tratta di un romanzo familiare, che racconta le travagliate vicissitudini di una famiglia di musicisti. L’intreccio è piuttosto semplice, le svolte della narrazione racchiuse in una manciata di righe. Il resto è descrizione di attimi, impressioni e moti d’animo. Il fluido dell’amore scorre tra tutti i membri della famiglia: le figlie, Cordelia, Rose e Mary, e Richard Quin, il figlio più piccolo, una creatura di eccezionale dolcezza e fascino, e i genitori, che

erano in grado di esercitare una forma intelligente di fascino quasi irresistibile. Erano astuti come una coppia di volpi maliziose. Qualsiasi conversazione li vedesse impegnati nell’interesse delle persone che stavano proteggendo finiva sempre per alterare sensibilmente la situazione di partenza nella direzione da loro desiderata, mentre i loro interlocutori rimanevano completamente all’oscuro delle forze propulsive alle quali si trovavano esposti.

I due genitori sono entrambi fragili nella loro irrequietezza, ma è la madre il vero fulcro della famiglia, che trasmette ai figli un’educazione tramite la disciplina musicale e l’affetto incondizionato. Rebecca West eredita dall’epoca vittoriana e dai romantici la straordinaria abilità descrittiva che permette al lettore di figurarsi i luoghi raccontati in maniera così vivida che pare di averli visitati. In poco più di cinquecento pagine, con le sue lunghe frasi, l’autrice riesce a cambiare il modo in cui percepiamo il mondo. A romanzo concluso, ci si trova a soppesare le parole e gli sguardi in modo diverso, e i sensi paiono acuiti. Perché come si fa a guardare un fiore con gli stessi occhi dopo aver letto una descrizione come questa?

Le foglie non sono niente di che, assomigliano alle foglie della clematide, il che è ottimo, perché così ci si concentra sui fiori. Sono di un rosa vivo e potrebbero benissimo essere fatti di cera. Non sono molto grandi, sono lunghi più o meno quanto un dito mignolo. I boccioli sono ripiegati in forma oblunga come pacchettini natalizi accuratamente confezionati, e quando si schiudono sono come campanule; e non sono numerosi, sono ben distanziati gli uni dagli altri sui loro steli, cosicché si riesce a gustarseli uno per uno, ma nello stesso tempo non sono troppo distanti da dare l’impressione di una cosa striminzita. È una caratteristica delle piante rampicanti quella di fare tutto con gran senso della misura.

la famiglia aubrey

Così come Piccole Donne, La famiglia Aubrey è un romanzo semiautobiografico. Rebecca West è lo pseudonimo che Cicely Isabel Fairfield prese in prestito dall’eroina del Rosmersholm di Henrik Ibsen, il cui motto era “vivi, lavora, agisci”. Non amo soffermarmi sulle vita degli autori, ma stavolta farò un’eccezione, per questa donna a dir poco straordinaria ed indomabile, dalla vasta cultura e intelligenza, con un incredibile spirito di avventura.

Fu critica letteraria e prolifica novellista, viaggiatrice, giornalista e femminista; nonostante si sia meritata di essere definita dal Times “senza dubbio la miglior scrittrice donna del mondo”, è solitamente ricordata solo per “Il ritorno del soldato”, che narra un soldato che torna dalla Prima Guerra Mondiale colpito da uno shock post-traumatico, e per le sue storie con grandi personaggi, come H.G. Wells (che fu anche amante di Elizabeth Von Arnim: non è incredibile come tutto si colleghi?) o Charlie Chaplin.

Non possiamo dunque che ringraziare la Fazi per questa ripubblicazione, sperando che la West ottenga un po’ della fama che, stando lassù nell’Olimpo dei Classici, sicuramente merita.

 

Se l’articolo ti è piaciuto, abbiamo recensito anche gli altri romanzi della trilogia: Nel cuore della notte e Rosamund. Dacci un’occhiata!


Rebecca West, Nata Cicely Isabel Fairfield, prese il suo pseudonimo dall’omonimo personaggio di Ibsen. Nel corso della sua lunga vita travagliata e romanzesca è stata scrittrice, giornalista, critica letteraria, grande viaggiatrice e femminista. Fazi Editore sta pubblicando tutte le sue opere: abbiamo avuto l’occasione di intervistare la sua traduttrice, Francesca Frigerio.

Vittoria Pauri
Vittoria Pauri

Alla domanda “Qual è il tuo motto?" non avrei esitazione a citare una frase di Gandhi: il miglior modo per trovare se stessi é perdersi nel servizio degli altri. Le due cose di cui non posso fare a meno sono la curiosità di capire ciò che mi capita intorno e un quadernetto su cui scrivo tutto quello che mi passa per la testa e su cui colleziono frammenti di libri, poesie e conversazioni.