«I nerd hanno vinto», ha dichiarato Vanni Santoni in un’intervista a Fanpage in occasione della partecipazione del suo romanzo La stanza profonda al Premio Strega del 2017. E quanto i nerd abbiano effettivamente vinto ce lo ricorda chiaramente ogni annuncio di una nuova serie di supereroi targata Marvel, o dell’ennesimo prequel/sequel/spin-off di Star Wars, o del nuovo remake live action di un grande classico Disney (per il 2019 è previsto un Dumbo diretto da Tim Burton).
Nuova frontiera dell’estetica postmodernista o fuga dal presente verso il passato dell’età infantile, in cui tutto sembrava più vero e più facile? Ai posteri l’ardua sentenza. Fatto sta che tutto ciò che appare contornato da una patina anche solo vagamente anni ’80, ’90 e ormai anche primissimi anni 2000 oggi va alla grande. Va addirittura meglio di allora, considerando che trenta anni fa in pochi avrebbero avuto il coraggio di uscire di casa con i calzettoni di Star Wars che oggi vendono da H&M.
Era solo questione di tempo prima che l’industria culturale iniziasse a riproporci, oltre alle storie e ai personaggi che sono diventati iconici in quegli anni, anche particolari prodotti di narrativa che in quel periodo sono nati, si sono diffusi, hanno sviluppato un linguaggio proprio e, a seconda dei casi, si sono trasformati per sopravvivere fino ai giorni nostri oppure sono definitivamente scomparsi. Facciamo tre esempi:
1.
Benché l’ideazione del primo videogioco venga fatta risalire addirittura al 1947 con il Cathode-ray tube amusement device (il gioco consisteva nel regolare correttamente, attraverso una serie di manopole, la traiettoria di un missile per colpire un bersaglio fermo sullo schermo a tubo catodico), è negli anni ’80 che il fenomeno esplode. Potremmo scegliere come data di riferimento proprio il 1980, anno in cui la Namco distribuì il suo leggendario Pac-Man in tutte le sale-gioco del mondo. Tra i vari medium narrativi sviluppatisi in quegli anni, il videogioco è sicuramente quello che ha avuto maggiore fortuna.
Nel 2017 l’industria videoludica ha generato un fatturato di oltre 100 miliardi di dollari, dato destinato a crescere vertiginosamente nel corso del 2018 e per molti anni a venire. Se quasi la metà del mercato totale è generato da videogiochi pensati e sviluppati per dispositivi mobili (Candy Crush Saga, Hearthstone…), è certamente nei titoli per PC che questa forma di espressione raggiunge le sue vette più alte. Saghe come di The Elder Scrolls o The Witcher hanno raggiunto un tale livello di complessità narrativa e profondità delle tematiche trattate da non avere nulla da invidiare ai grandi poemi epici della tradizione (a cui, per altro, in larga parte si ispirano), arrivando a influenzare profondamente il nostro immaginario collettivo e a fondare nuove mitologie.
2.
Molto meno fortunato un altro medium, che pure con i videogiochi aveva tanto da spartire: il librogame. I “libro-giochi”, come a volte li si chiama, con questa italianizzazione che li fa suonare ancora più demodé, rappresentavano un interessante esempio di romanzo ipertestuale: prima di iniziare la lettura-avventura il giocatore-lettore doveva creare una scheda personaggio in tutto simile a quella usata per i giochi di ruolo, scegliendo oggetti iniziali, caratteristiche fisiche e abilità speciali da un set prestabilito. La narrazione, poi, non era suddivisa in capitoli, ma in brevi paragrafi numerati. Alla fine di ogni paragrafo veniva presentata una scelta che portava la storia a svilupparsi secondo ramificazioni parallele ma differenti. Esempio più banale: “Ti trovi davanti a due porte. Se vuoi aprire la porta di destra vai al paragrafo. 141; se vuoi aprire quella a sinistra vai al par. 52; se preferisci tornare indietro torna al par. 93; se sei dotato dell’abilità ‘sesto senso’ vai al par. 11”.
Benché la narrazione ipertestuale goda oggi di ottima salute (ne facciamo esperienza quotidiana ogni volta che navighiamo sul web), il librogame vero e proprio sembrava ormai definitivamente scomparso, rimpiazzato da prodotti narrativi più accattivanti come, appunto, i videogame. Almeno fino a qualche mese fa. Sulla scia di questo incredibile revival, infatti, Salani ha deciso di rilanciare sul nostro mercato la storica collana di librigame Fighting Fantasy, i cui titoli erano stati tradotti male e senza un vero piano editoriale unitario già negli anni Ottanta. Non solo. Anche la saga di Lupo Solitario ideata da Joe Dever, probabilmente la serie di librigame più famosa, verrà interamente riedita in italiano, con anche l’aggiunta degli ultimi titoli inediti, annunciati in occasione dell’ultimo Lucca Comics.
3.
Come i librogame, anche i giochi di ruolo hanno raggiunto il loro picco di popolarità negli anni Ottanta. I giochi di ruolo come oggi li conosciamo discendono dai wargame impiegati da secoli nelle accademie militari per simulare azioni di guerra ed elaborare strategie. Col passare del tempo, il sistema di gioco si arricchì di nuovi elementi e venne estrapolato dal contesto militare per passare a quello strettamente ricreativo: vennero introdotte le schede personaggio (che era possibile aggiornare con i punti esperienza, le nuove abilità e gli oggetti guadagnati di avventura in avventura), l’ambientazione fantasy, il concetto di dungeon e, soprattutto, quello di master, l’invisibile demiurgo-narratore che sviluppa la storia per gli altri giocatori.
Il gioco di ruolo più conosciuto è senza dubbio il celebre Dungeons & Dragons, creato da Gary Gygax e Dave Arneson nel 1974 ma, nella sua forma più vera, il gioco di ruolo è un esercizio di fantasia pura, che non necessita di nulla se non di un foglio e una penna. Dadi, set per principianti ed esperti, miniature, mappe e manuali sono tutti elementi accessori, che servono a dare maggiore consistenza e coerenza al mondo immaginato.
È proprio alla sottocultura dei giocatori di ruolo che Vanni Santoni dedica il romanzo La stanza profonda. Nel libro sono identificabili almeno tre piani narrativi, strettamente intersecati e talvolta indistinguibili gli uni dagli altri. Il primo è quello del romanzo di formazione: il protagonista passa attraverso infanzia, adolescenza ed età adulta, cresce e modifica il suo modo di vedere il mondo e di relazionarsi con le altre persone e l’ambiente circostante. L’autore dà forma a questo livello del racconto miscelando reminiscenze autobiografiche con elementi di pura fiction, fino al realismo magico (come nell’episodio in cui il protagonista e i suoi amici giocano una partita di Dangeons & Dragons con il fantasma del defunto creatore del gioco). Come sempre accade nel genere del romanzo di formazione, aneddoti e riflessioni individuali assumono valore universale.
Il secondo piano è quello dell’analisi socioculturale della realtà della provincia italiana (toscana) e, per estensione, dell’intero Paese. Attraverso gli occhi del protagonista, assistiamo all’abbandono dei paesi un tempo pieni di bambini che correvano per le strade e al loro lento ripopolarsi da parte di nuove genti, venute da lontano. Osserviamo le storie (drammi, tragedie o commedie) della Generazione X, quella dei ragazzi nati tra 1960 e 1980. I molti che partono per non tornare mai più, i pochi che restano per idealismo, per amore della loro terra o per inerzia, i pochissimi che riescono a trovare un’occupazione che rispecchi le loro aspettative.
Il terzo piano è quello della saggistica: Vanni Santoni ripercorre l’intera storia del genere dei giochi di ruolo con dovizia di particolari, dalle sue i prime manifestazioni (i già citati wargame o le rievocazioni storiche), fino a alle sue più recenti derive (i giochi di carte collezionabili come Magic the Gathering, i librogame, i videogiochi), passando attraverso la moltitudine di titoli che hanno fatto la storia del genere: i più primitivi e i più complessi, quelli di ambientazione storica, cyberpunk o fantasy all’italiana. Questa terza narrazione, strettamente intrecciata alle altre due e, anzi, loro filo conduttore, è inserita nel libro direttamente nel corpo del testo, ma anche attraverso citazioni e note a piè di pagina. Al termine del volume è possibile trovare una breve bibliografia di riferimento.
Risulta dunque evidente come quello che Santoni autodefinisce “romanzo” contenga in realtà elementi propri di altri generi letterari, non solo nei contenuti, ma anche nella forma. Interessante, ad esempio, il fatto che per la narrazione sia stata scelta la seconda persona singolare, piuttosto inconsueta nella storia della letteratura, ma tipica della forma di racconto impiegata dai master dei giochi di ruolo. Quello che potrebbe apparire come un vezzo stilistico, ha poi l’effetto di rendere la narrazione de La stanza profonda estremamente immersiva. Ma anche gli aspetti più “saggistici” del libro trovano un loro corrispettivo nel mondo dei giochi di ruolo: un bravo master deve essere in grado di costruire un ambientazione di gioco credibile e per questo sul suo comodino possiamo trovare, oltre ai manuali delle regole, anche testi di storia, trattati sugli usi e i costumi del Medioevo e, immancabile, un mattone illustrato di mille pagine sulle armi e le tattiche di guerra medievali.
La crossmedialità è il grande tema ricorrente all’interno dei romanzi di Santoni che, infatti, ricorre anche nell’ultimo romanzo dell’autore: L’impero dei sogni, ambientato a cavallo tra il mondo reale e quello dei videogiochi. Il secondo grande tema è l’interesse per le sottoculture: quella dei nerd, degli sfigati, dei gamer ne La stanza profonda L’impero del sogno e quella dei raver nel precedente Muro di casse. Ma l’interesse per l’intreccio di linguaggi differenti emerge anche dalla carriera professionale di Vanni Santoni, editor per la casa editrice specializzata in fumetti e graphic novel (parole e immagini) Tunué. Per Tunuè Santoni dirige una collana di romanzi in senso stretto (libri di sole parole), ma il cui trait d’union è proprio il tema dello “‘sconfinamento’, che può essere di genere ma anche di taglio, tono o lingua”.
Con La stanza profonda, gli anni Ottanta si confermano ancora una volta come un’inesauribile fonte di ispirazione per gli autori contemporanei, questa volta non solo per la costruzione di un’estetica retrò o per suscitare facili sentimenti di nostalgia nel lettore della Generazione X, ma anche per il recupero di originali forme narrative. Dopo i librogame, i giochi di ruolo, le luci al neon e Stanger Things, non ci resta che stare a vedere quali “nuove” sorprese i nostri artisti tireranno fuori dal cappello.
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