2666 è un’opera molecolare. Non solo per l’enorme quantità di molecole, quelle piccole particelle composte da atomi che unite da un legame fraterno formano la materia, utilizzate per accorpare le quasi mille pagine che la compongono e che la fanno sembrare, a detta della persona che me lo ha regalato, un dizionario. La ritengo tale anche perché al suo interno vi è ogni atomo stilistico della letteratura del suo autore.
Oltre che sembrare, è effettivamente il dizionario della narrativa di Bolaño, se consideriamo che è qui che troviamo tutti i personaggi più iconici dei suoi romanzi: Il prof. Amalfitano, Rosa Amalfitano e il vero protagonista di questa lunga e spezzettata storia, Benno von Arcimboldi. Bolaño crea un mondo e un mito intorno alla figura di questo scrittore tedesco, che prende il suo pseudonimo da un’artista italiano cinquecentesco, l’Arcimboldi (quello che dipingeva le teste componendole con frutta, verdura e fiori per intenderci).
La storia dello scrittore si intreccia con quella di vari personaggi durante il romanzo: ognuno di essi racconta una parte importante sia passata che contemporanea della storia del mondo, nonostante Arcimboldi non tocchi mai effettivamente la vita di questi personaggi. Nelle cinque parti del libro, che Bolaño aveva pensato come cinque libri separati, da leggere nell’ordine che ognuno preferisce (chiaro riferimento a Rayuela di Cortazar), ma che dopo la sua morte gli editori hanno deciso di pubblicare in un blocco unico, si passa da storie di ricerche universitarie, di femminicidi, di delitti seriali (a un certo punto il romanzo sembra quasi diventare un giallo) fino a storie della Seconda Guerra Mondiale: tutto frutto dell’autobiografica immaginazione dell’autore, che sembra non trovare mai sfogo.
Il dizionario di Bolaño inizia dalla lettera “C” di critici. È infatti nella prima parte del libro dove quattro critici letterari e ricercatori universitari provenienti da paesi diversi, s’innamoreranno di Arcimboldi ancor prima di innamorarsi l’uno degli altri. Lo cercheranno: eccolo, il primo tema stilistico di Bolaño, la ricerca. Una ricerca di qualcosa di reale ma che non si concretizzerà mai, si sa cosa si cerca ma non dove si finirà cercando, che strada imboccheremo e che vite contamineremo, dimenticandoci dell’oggetto concreto il quale ci aveva fatto iniziare la ricerca e finendo ad inseguire altre persone, altre idee (vedasi Detective selvaggi, il libro che ha dato la fama internazionale a Bolaño) – e finiranno a Santa Teresa in Messico, seconda colonna portante della letteratura dell’autore.
Santa Teresa e il Messico torneranno sempre nelle pagine di diverse opere dell’autore, oltre che nella sua vita. È Santa Teresa la vera ambientazione del romanzo, è lì che tutto accade e tutto muore- dove le loro vite sfumeranno in quelle di altri personaggi che diventeranno protagonisti e poi comparse a loro volta.
La seconda lettera di questo dizionario pioneristico è la A del professor Amalfitano. Un professore universitario omosessuale, finito a Santa Teresa insieme alla figlia Rosa per uno scandalo avvenuto quando insegnava a Barcellona, che i quattro critici incontrano e al quale lasciano il palco. Amalfitano si perde quando la moglie si ammala e lo lascia per un poeta rinchiuso in un manicomio spagnolo. Si ritroverà solo a Santa Teresa dove tutti gli altri invece si perdono, come sua figlia Rosa. Lei si troverà a frequentare le figure più pericolose della città e non sarà mai una vera protagonista del romanzo, ma l’epiteto comparsa riduce molto il suo ruolo, che le permetterà di accompagnare più d’uno dei capitoli del libro.
La terza lettera scarlatta di Bolaño è la F di Fate. Fate è un giornalista americano di colore che si ritrova a Santa Teresa per scrivere il commento a un incontro di pugilato, quando scopre che in città sono state uccise più di duecento donne negli ultimi mesi e decide di prolungare il soggiorno messicano per indagare. L’indagine dura poco, la testata giornalistica per cui lavora non gli paga l’alloggio perché troppo costoso e dopo pochi giorni è costretto a rientrare in patria. In questi giorni conosce Rosa Amalfitano che lo porta prima a perdersi e poi scappa con lui negli Stati Uniti, sotto preghiera del padre, che ha il terrore che oltre a perdersi possa diventare la duecentounesima ragazza a scomparire per sempre. Così Fate e Rosa si dissolvono fra i granuli di sabbia del deserto che collega Santa Teresa agli States: altra ricerca del concreto (quella di Fate) finita con l’inseguire persone diverse, che quasi non esistono (prima gli o l’assassino e poi Rosa appunto).
La quarta lettera, è quella più reale, ma anche più dolorosa e cruda, è la D di delitti. Questa è la parte dove si racconta del ritrovamento incessante di cadaveri femminili a Santa Teresa. È la parte dove vengono introdotte ed interrotte più vite. Alcune sono descritte minuziosamente, altre sono solo accennate, come se l’autore volesse lasciare a noi lettori il compito di concluderle.
È qui che compare il possibile collegamento tra Arcimboldi e il Messico (e di conseguenza anche con i letterati che vanno a Santa Teresa proprio per intercettare lo scrittore), ovvero un tedesco di nome Klaus Haas, naturalizzato statunitense che viene incriminato dei delitti. Bolaño ne descrive il calvario nelle carceri messicane e il tentativo disperato della sua avvocatessa di sconfiggere la corruzione nella polizia/giustizia messicana. Una vita che tengo a citare è quella di Lalo Cura (gioco di parole spagnolo che significa letteralmente “la pazzia”), un sedicenne che viene assoldato come guardia del corpo della moglie di un narcotrafficante.
La quinta e ultima lettera maiuscola di questo libro è un’altra A, quella di Arcimboldi. Qui si racconta la vita di Hans Reiter (alias Benno von Arcimboldi), le sue esperienze traumatiche infantili, il suo periodo alle armi con la Germania nazista, la sua detenzione in un campo di prigionia americano (dove assassinerà un nazista che aveva “soppresso” più di quattrocento ebrei), la sua seconda vita a Colonia come buttafuori (dove incontrerà l’altra parte della mela, Ingeborg), il suo tentativo di diventare uno scrittore (andato a buon fine grazie a una piccola casa editrice di Amburgo, la Bubis, già citata nella prima parte del romanzo), il legame con sua sorella Lotte e infine la vita di sua sorella, che farà un figlio, Klaus, molto simile allo zio, il quale si trasferirà a New York prima e in Messico poi.
Consiglio questo romanzo a chi ama la scrittura fluida e le descrizioni accurate. Lo sconsiglio vivamente a chi odia il finire un libro con ancora più domande di quando l’ha iniziato e la divisione del testo attraverso l’a capo piuttosto che con i capitoli. Consiglio, così come voleva Bolaño, la lettura casuale delle varie parti, seguendo un ordine personale, proprio per capire quanto le diverse parti siano indipendenti ma a loro volta assemblabili fra loro. Personalmente credo che la sequenza di lettura migliore delle parti sia quella che segue l’ordine alfabetico: la parte di Amalfitano, la parte di Arcimboldi, la parte dei Critici, la parte dei Delitti e la parte di Fate.
In copertina: Gustave Moreau, Giove e Semele, olio su tela, 1895, Museo Nazionale di Gustave Moreau, Parigi.