Johann Schobert e i funghi

I funghi di Johann

Morti idiote di compositori più o meno famosi – III

Johann Shobert

 

Johann Schobert può forse essere annoverato nella schiera di quei poveretti che avrebbero potuto avere un po’ più di fortuna con il nome. Provate a dire a un vostro compagno di studi in conservatorio che vi siete messi a studiare una sonata di Schobert. Egli getterà su di voi uno sguardo a metà fra l’arrogante e il pietoso, poi farà calare la manina a farvi un compassionevole pat-pat sul testone correggendovi prontamente: «Schubert, caro. Si pronuncia Schubert». «Poveretto! – penserà forse – Vuol mettersi a studiare Schubert senza neanche saper leggere il suo nome».

Eppure, nonostante un cognome che si presti con agio a simili qui pro quo, ai suoi tempi nessuno avrebbe potuto far confusione. Le ragioni sono semplici, e sono due: la prima è che quando Johann Schobert morì, nel 1767, Franz Schubert non solo non era ancora nato, ma neanche se l’era ancora segnato sull’agenda; la seconda è che il nostro uomo aveva tutti i numeri per farsi benissimo ricordare per quel che era.

Il barone Von Grimm, che conobbe personalmente Schobert, ce lo dice originario della Slesia, e anche se non sappiamo con esattezza quale sia stata la sua data di nascita si tende a collocarla verso il 1735. Poco o nulla di certo sappiamo dei suoi primi anni, e tutto quel che di lui si può dire fa riferimento al periodo successivo al 1760, quando iniziò la propria scalata verso il successo nella città che ai suoi occhi pareva offrirgliene maggiori garanzie: Parigi. Il principe di Conti ne riconobbe il talento e lo prese al suo servizio, assicurandogli una posizione piuttosto stabile che gli consentì per i successivi sette anni di pubblicare a proprie spese tutto quel che scriveva. Poco dopo il suo arrivo nella capitale francese, inoltre, si trovò una bella francesina che sposò e che gli diede almeno due pargoli.

Ai Parigini, e non solo a loro, il nostro Johann piaceva. Bell’uomo, spiritoso, eccellente clavicembalista, faceva la sua discreta figura nei salotti. Nessun contemporaneo ci dà notizia di una frotta di damine che se lo contendessero avidamente facendogli sfilare davanti le generose scollature dei vestiti dell’epoca, ma a noi piace immaginarlo così. Chi lo conobbe ci assicura comunque che ebbe “modi tanto gentili e affabili quanto straordinari erano i suoi talenti.”

L’unica voce fuori dal coro era Leopold Mozart, il papà di Wolfgang, che in una lettera al figlio lasciava intendere di detestarlo cordialmente giudicandolo un falso leccapiedi. Qualunque sia stato l’effetto dei consigli del padre, Wolfgang seguitò comunque ad ammirare con fervore la musica di Schobert, facendo studiare ai propri allievi le sue sonate e citando nelle proprie composizioni temi e passaggi del collega.

Ora, poteva ad un preludio tanto lusinghiero non far seguito la notizia che anche il bel Giovannino se ne andò all’altro mondo in maniera quantomeno inconsueta? Forse sì. Anzi, per lui sarebbe stato decisamente meglio. Ma la Storia è cattiva, e spero di tutto cuore che il nostro eroe non se ne abbia a male se ci mettiamo a raccontarla come a noi l’ha raccontata, in una sua lettera, il barone Von Grimm.

Otto Marseus van Schrieck
Otto Marseus van Schrieck, Sottobosco con funghi, erpente e farfalla, 1657

Un bel mattino d’Agosto del 1767, un’allegra brigata lascia Parigi. La compongono Johann Schobert, sua moglie, uno dei suoi figli e altri quattro amici: è una bella giornata, e il gruppetto ha deciso di farsi una bella scampagnata. Giunti in un boschetto presso Marly, gli amici vedono che qua e là il terreno è punteggiato di funghi e Schobert, che per un piatto di funghi ben cucinati avrebbe anche venduto la casa, il clavicembalo e sua madre (sua di lui, non del clavicembalo), ha l’idea carina di raccoglierli, portarli in un’osteria e organizzare per sé e gli amici una piacevole cenetta. Giunta la sera, i magnifici sette delle campagne parigine trovano l’osteria che fa al caso loro e chiedono alla cuoca di cucinare i funghi. La brava donna però conosce il suo mestiere, e fa presente alle loro signorie che quei funghi sono cattivi.

Entra allora in scena il genio di turno, il medico amico di Schobert che invece rassicura tutti sulla qualità del prodotto e li trascina in un’altra osteria. Anche all’altra cuoca basta un’occhiata per capire che i funghi sono velenosi e fa rispettosamente notare ai rispettabili signori che se li mangiassero andrebbero incontro a un destino poco rispettabile. Il medico, però, non si perde d’animo: cosa vogliono mai capire di cibi raffinati quelle due sguattere? A questo punto, l’ideona: «Andiamocene tutti a casa di Johann, ci cuciniamo i funghi e ci facciamo la nostra seratina». Novantadue minuti di applausi. I funghi vengono cucinati dalla serva di Johann, che li porta poi in tavola avendo cura, da buona serva, di farne sparire una piccola porzione per sé. Tutti mangiano a volontà. Tutti apprezzano. Complimenti alla cuoca.

Quattro giorni dopo, il 28 Agosto 1767, Johann Schobert muore nel suo letto dopo un’atroce agonia fatta di spasmi e convulsioni. Il figlio, di sei anni, l’ha preceduto di qualche giorno, e di qualche giorno la moglie lo segue. La serva muore. Gli amici muoiono. Il medico, probabilmente, con il «Ma vaffanculo» di Johann che ancora gli risuona nelle orecchie.

 


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