«Chi l’avrebbe mai detto?» è la prima frase che mi venne in mente dopo aver guardato “Il vegetale”, un film di Gennaro Nunziante uscito ad inizio anno che vede come protagonista Fabio Rovazzi. Una considerazione venutami spontanea proprio perché non rientro tra le fan di Rovazzi e fino a pochi attimi prima di entrare nella trama del film nutrivo ancora forti pregiudizi nei suoi confronti. Minuto dopo minuto la vicenda assume connotazioni che non credevo di incontrare.
In una lussuosa Milano si svolge la storia di un ragazzo qualunque, Rovazzi Fabio per l’appunto (l’attore mantiene il suo nome d’arte), alla ricerca di un lavoro dopo aver conseguito la laurea in scienze della comunicazione. Il colloquio a cui partecipa si presenta ricco di aspettative, grazie all’abilità dei datori di lavoro di far luccicare quello che oro non è, come spesso avviene nella realtà quotidiana di molti giovani: un impiego nel mondo della pubblicità si trasforma in una consegna di volantini pubblicitari, corredato dagli insulti dei condomini a cui suona il citofono. Dopo un una prima mezz’ora tragicomica, dove Fabio viene lasciato dalla ragazza, suo padre Bruno Rovazzi (Ninni Bruschetta), un finto ingegnere autore di progetti edilizi illegali, ha un incidente che lo porta al coma e il ragazzo si trova con la ditta Rovazzi da gestire.
Soprattutto per il sostanzioso debito da affrontare, Fabio improvvisamente diventa adulto, assumendosi responsabilità impegnative. Giovane uomo di sani principi, denuncia suo padre, chiude la ditta e vende tutto ciò che poco prima componeva la ricca vita del genitore che non vedeva da quindici anni, nel frattempo risposatosi con una giovane donna straniera da cui ha una figlia sofisticata e abituata all’agio della borghesia milanese, di nome Nives (Rosy Franzese).
Nonostante le pretese della sorellina da poco conosciuta, Fabio le mostra la realtà dei fatti ospitandola a casa sua, un piccolo appartamento che condivide con l’amico Nicola (Alessio Giannone), fattorino per un ristorante.
L’agenzia di volantinaggio notando la perseveranza di Rovazzi, lo vorrebbe sfruttare maggiormente e quando Fabio si ripresenta dopo il periodo di pausa a causa degli imprevisti incorsi, ritrova il personale gentile e sorridente del primo colloquio. Tra elogi e riverenze, gli propongono uno stage fuori Milano che aprirà di certo grandi possibilità per il suo futuro: Fabio accetta senza esitare, tra ingenuità e speranze.
Arrivato insieme a Nives nel suo nuovo alloggio incastrato in suggestivi edifici di un paesino collinare colmo di natura, ha inizio il periodo di formazione. Vediamo Fabio salire su un furgone per andare a coltivare terreni insieme ad alcuni immigrati. Qui la semplice rozzezza di queste persone a cui inizialmente è ostile diventa il motore per farlo cresce ulteriormente. Fabio entra in sintonia con queste persone che neanche parlano la sua lingua, vediamo con quanto impegno voglia integrarsi nonostante gli altri lavoratori spesso guardino con sospetto. Pensano che quel gracile e pallido ragazzino abbottonato in un camicia ancora più bianca della sua pelle non abbia nulla a che fare con loro: sembra che i pregiudizi siano sentimento corrisposto.
Privo di speranze, Fabio una sera incontra Armando, interpretato da un Luca Zingaretti ornato di barba e coppola, dai modi schietti e decisi, che presto diventa il padre, la guida che Fabio avrebbe dovuto avere al suo fianco negli anni. Armando si rivela una figura importantissima per le dinamiche della trama: riesce a ricongiungere la rancorosa Nives e Fabio, reduci di litigi futili ma senza fine, a far riflettere Fabio sul suo futuro, esistenziale, professionale e sentimentale, riferendomi qui all’amicizia, che non subito sboccia in amore, tra Fabio e Caterina (Paola Calliari), maestra della nuova scuola che frequenta Nives.
Lo stage giunge al termine, prima di andarsene dal piccolo paese diventato una dolce famiglia, Fabio e Armando si salutano, e qui una frase, o per meglio dire un vero insegnamento, di quest’ultimo colpisce, spinge un passo più avanti la vicenda: “Nella vita c’è sempre una ricompensa, la gente pensa che non sia così, che bisogna fregarsene del prossimo, invece bisogna sempre dare tutto quello che uno ha dentro, poi le cose che devono arrivare arrivano”.
A Milano Fabio arriva in azienda, e per noi spettatori arriva anche il colpo di scena: qui l’uomo comune e semplice che era stato Armando si rivela essere uno dei capi ai vertici dell’azienda. Dato l’impegno visto personalmente, vuole dare a Fabio l’opportunità di firmare un contratto, ma il contratto è a tempo determinato. Fabio capisce che gli enormi sforzi fatti non sono ancora abbastanza, l’ennesima delusione lo colpisce nuovamente.
Fuggito da quell’ufficio, raggiunge il padre Bruno che si è risvegliato dal coma e qui sboccia una grande idea: quelle terre sfruttate abusivamente possono essere utilizzate per delle coltivazioni biologiche. Fabio fa tesoro delle delusioni ricevute in passato per trasformarle in conoscenza, in spinta per migliorare, e ci riesce: nasce l’organizzazione FaBIO, che presto raggiunge il successo nel mondo dei prodotti alimentari biologici.
Il critico cinematografico Francesco Alò parla di questo film per BadTaste in modo molto interessante, evidenziando il risvolto sociologico che vuole emergere da una trama qualunque. La Disney Company, che in questo caso è il produttore, con la consueta dolcezza e forzata bellezza, mostra la decadenza che l’Italia subisce da ormai quasi trent’anni: volendo tenere un arco temporale forse fin troppo ampio, dal 1990 a oggi e per il futuro.
I giovani non possono che assorbire questo clima, anche inconsciamente e contro la loro volontà. Clima in cui molti si sentono comodi oppure narcotizzati dall’agiatezza, tanto da non sentire né comodità né scomodità, mentre altri invece, come me o come il Fabio del film, non riescono a comprendere osservando quei comodi o narcotizzati. La pigrizia porta molti a vivere come vegetali, senza reagire o migliorare, ma quello che Fabio fa è tutt’altro che vegetare: lui si mette in gioco per produrre e cogliere i frutti del suo impegno, contro tutti quelli che hanno voluto metterlo in difficoltà.
Spesso è bene ascoltare ciò che le persone vogliono dirci, assorbendo l’insegnamento con senso critico, ragionando sulla discrepanza che può esserci tra le parole e i fatti, per poi applicare l’insegnamento nel modo più efficace. Il film ci dice questo, oltre al consiglio più importante: mai arrendersi alla vita.
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