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Goliarda Sapienza, l’arte d’essere se stessi

Fra venti, trent’anni non accusate l’uomo quando vi troverete a piangere nei pochi metri di una stanzetta con le mani mangiate dalla varecchina. Non è l’uomo che vi ha tradite, ma queste donne ex schiave che hanno volutamente dimenticato la loro schiavitù e, rinnegandovi, si affiancano agli uomini nei vari poteri. […] attente, voi, privilegiate dalla cultura e dalla libertà a non seguire l’esempio di queste negre perfettamente allineate. […] per voi si preparano anni di cupo esercizio mascolino nel legare alla catena di montaggio le più povere, e l’atroce notte insonne dell’efficienza a tutti i costi. E tra venti anni di questo esercizio vi troverete chiuse in gesti e pensieri distorti […]

Quando un’amica mi fece leggere queste parole di Goliarda Sapienza, autrice che non conoscevo, sono rimasta sconvolta e da allora le leggo, le rileggo e mi risuonano nella testa: “Fra venti, trent’anni…” Era il 1976 quando la Sapienza finì di scrivere il suo capolavoro: L’arte della gioia. Siamo nel 2018, diciamo che di anni ne sono passati pure quaranta, eppure queste parole forse mai come oggi, nella nostra bella Italia sono tragicamente attuali: “l’atroce notte insonne dell’efficienza a tutti i costi“.

Non possiamo rimanere indifferenti a certe frasi rivelatrici, che ci costringono a guardare le catene taglienti che ci serrano i polsi; mentre noi, sferzati da invisibili fruste, come anime dannate ci accalchiamo verso un percorso precostituito, dove anche i sogni sono confezionati e nulla è lasciato al caso.

In merito alla questione femminile, possiamo dire che Goliarda Sapienza ne abbia avuta conoscenza fin dal grembo materno. Sua madre era, infatti, una sindacalista, giornalista, femminista socialista, Maria Giudice (1880/1953), cui siamo tutte debitrici per le lotte fatte da donne come lei che hanno scardinato il comodo mondo degli uomini, nel qualie eravamo considerate inferiori, pure nei sontuosi palazzi.

Proprio perché di questa lotta conosceva le fondamenta, Goliarda lesse, come anche Pasolini, nei movimenti degli anni sessanta/settanta, cui partecipò attivamente, una violenza sottile e viscida, che non avrebbe prodotto altro che l’orrore di cui siamo spettatori noi oggi: poveri resti d’illusioni e ideologie svuotate premeditatamente di contenuti, per renderle inoffensive e consentire all’oblio della memoria di insabbiarle. Ecco allora il valore inoppugnabile della letteratura e della poesia.

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E decisi che da quel giorno avrei sempre ricordato tutto del passato – le cose belle e le brutte – per averlo presente e per prevenire almeno gli errori già fatti.

Modesta, la creatura di Goliarda, è un personaggio, un archetipo di donna verso cui tutte dovremmo tendere. Spogliata dei suoi panni per vestirla nei nostri, pagina dopo pagina, capitolo dopo capitolo ci entra dentro e ci rinforza, neanche fosse un concentrato vitaminico di femminilità. Sfoglia, come un fiore dai mille petali, l’anima delle donne e la rigenera di consapevolezza e coraggio.

Modesta è una creatura del Novecento che vive nel Duemila, perché trasporta nel tempo infinito le contraddizioni, le violenze, la sublimazione dell’amore, proprie di tutte le donne.

Ecco come tornava il passato… non con gli stessi personaggi, come nei romanzi, ma con altri nuovi che ci portano il ricordo di paure non cancellate.

Goliarda Sapienza ha lavorato per quasi dieci anni a questo libro meraviglioso, più volte rifiutato dagli editori, perché scritto con una prosa che ricordava i grandi romanzi dell’Ottocento, da I Viceré a Madame Bovary, in un’epoca in cui la sperimentazione, che è sfociata nel Barocco neocapitalista (sempre per citare il buon Pasolini), era di gran moda.

L’arte della gioia è fuori da ogni schema, non è un esercizio di forma, non è una ricerca di stile, non vuole neppure stupire: è la storia di una donna, che con coraggio e determinazione ha reso prezioso ogni momento della sua esistenza, anche il più doloroso. Non starò qui a raccontarvi trama e quant’altro, ci sono bellissime pagine critiche in rete di questo capolavoro, mai sufficientemente apprezzato e pubblicizzato.

Doveva accettare quella paura, e pian piano abituarsi a quella solitudine che ormai, era chiaro, portava con sé la parola libertà.

Modesta cammina a fianco di Goliarda, ne incarna i pensieri e le fantasie, ma non è Lei, è noi tutte, che dobbiamo accettare la paura e la solitudine, che dobbiamo uccidere il padre, violentatore del nostro futuro, e la madre, che ha legato le nostre ali. Nel corso degli anni si seppelliscono carni ingombranti, che si sono portate come vestiti troppo stretti e dalla stoffa dura e pruriginosa, se vogliamo imparare ad approfittare dell’attimo fuggente che ci rende liberi.

Ma bisognava essere liberi, approfittare di ogni attimo, sperimentare ogni passo di quella passeggiata che chiamiamo vita. Liberi di osservare, di studiare, di guardare fuori dalla finestra, di spiare fra quel bosco di palazzi ogni luce che dal mare si insinua fra le imposte…

Goliarda Sapienza nel 1949
Goliarda Sapienza nel 1949

Trent’anni dovevano passare perché il capolavoro della Sapienza avesse giusto tributo, grazie alla dedizione del marito Angelo Pellegrino, di Giovanna Providenti e di altri critici. È, infatti, del 2006 la pubblicazione con Einaudi Editore. All’estero, che sono sempre attenti alla buona letteratura, questo libro era già molto conosciuto.

Chi era Goliarda Sapienza?

Nata a Catania nel 1924 da Maria Giudici e dall’avvocato rispettato e stimato, antifascista e anticlericale Giuseppe Sapienza, la giovane Goliarda cresce in una casa sempre piena di libri, di musica, di lotte politiche e di poveri postulanti aiuto da suo padre.

La madre ha già sette figli avuti dal primo marito: Carlo Civardi, di cui era rimasta vedova. Nel 1920 è inviata dalla direzione nazionale del Partito Socialista, in Sicilia, unica donna al primo congresso regionale. Donna coraggiosa e sempre in prima fila nell’organizzazione di scioperi e lotte per i diritti delle donne, dei lavoratori e contro tutte le ingiustizie sociali, la Giudici, nei primi anni di vita della nostra autrice, entra ed esce di prigione. Il padre sempre alle prese con le cause che lo vedevano a fianco dei più deboli, in lotta contro la mafia già radicata e infiltrata nella politica.

Sarà una formazione autodidatta molto eterogenea, che nel corso della vita troverà modo di radicarsi, facendo della Sapienza un’intellettuale complessa e completa: attrice, scrittrice e poeta.

A sedici anni si trasferisce a Roma con la madre, ormai stanca e provata, per iscriversi all’Accademia d’Arte Drammatica.

Racconterà nei suoi numerosi libri autobiografici l’esperienza del teatro, nella quale è cresciuta, ha sofferto e ha conosciuto l’amore grazie al primo compagno, il regista Citto Maselli. Svelerà a tutti noi la sua insonnia e la stanchezza, la depressione, la paura e il cammino terapeutico con la sua prosa delicata e vagamente scherzosa, di chi non ama prendersi troppo sul serio o che forse è stata abituata a essere una di mille e mille in una.

Sul finire degli anni sessanta abbandona il cinema e si dedica alla scrittura. Il suo primo romanzo è del 1967 Lettera Aperta, seguirà Il Filo di Mezzogiorno del 1969. Dopo segue un lungo silenzio nel quale Goliarda si dedica al romanzo della sua vita, riducendosi in miseria, presa da un fuoco creativo, pari all’ormonico desiderio di maternità che spesso attanaglia le donne dopo i trent’anni.

Modesta è la figlia che non è riuscita a partorire; è l’ideale che prende carne e sangue dall’invisibile cordone ombelicale della sua autrice e, come tutti i figli, è una freccia lanciata nel futuro.

Goliarda Sapienza

La vita di Goliarda Sapienza è, come i suoi libri, delicata e pungente, ricca di episodi dai tratti drammatici, che non hanno spento mai il suo sorriso e l’amore per la vita.

Goliarda è sempre stata memore del fatto che la madre le diceva sempre che, per conoscere davvero le condizioni del popolo e il suo effettivo progresso, bisogna aver frequentato da dentro: ospedali, manicomi e prigioni. Goliarda, che era stata in manicomio più volte, (prima della legge 180, voluta da Basaglia, si finiva in manicomio per una banale depressione o per un tentato suicidio), s’improvvisò ladra, rubando una collana a casa di un’amica; venne arrestata e di quell’esperienza ne è nato un libro molto bello, ricco d’umanità, dove emerge il rapporto con le detenute, filtrato dall’occhio acuto e amorevole di Sapienza, che, sempre discente e mai sapiente, ha raccontato nel libro L’Università di Rebibbia.

Nel 1987 pubblica Le certezze del dubbio, sempre un lavoro autobiografico.

Postumi sono usciti: Io, Jean Gabin nel 2010; Il vizio di parlare di me stessa (Taccuini 1976/1989). I racconti: Destino Coatto, nel 2002; Elogio del bar del 2014, sempre grazie all’interessamento del marito e di Giovanna Providenti, che sulla Sapienza ha scritto una biografia davvero eccellente: La porta è aperta.

Il male sta nelle parole che la tradizione ha voluto assolute, nei significati snaturati che le parole continuano a rivestire. Mentiva la parola morte, esattamente come mentiva la parola amore. Mentivano molte parole, mentivano quasi tutte. Ecco cosa dovevo fare: studiare le parole esattamente come si studiano le piante, gli animali… E poi ripulirle dalla muffa, liberandole dalle incrostazioni di secoli di tradizione, inventarne delle nuove, e soprattutto scartare per non servirsi più di quelle che l’uso quotidiano adopera con maggior frequenza, le più marce, come: sublime, dovere, tradizione, abnegazione, umiltà, anima, pudore, cuore, eroismo, sentimento, pietà, sacrificio, rassegnazione.

Goliarda Sapienza ha operato esattamente come la sua protagonista/figlia, ha ripulito le parole dalla muffa, le ha fatte brillare. Noi, nonostante tutto, facciamo fatica a leggerle, perché siamo il prodotto di quella violenza che le menti intellettuali più raffinate hanno saputo vedere, interpretare, raccontare. Sapienza, per noi donne, è andata oltre, come una madre ci ha dato un pane duraturo, che dobbiamo cullare nelle nostre mani; è la memoria; è la determinazione; è l’insegnamento a vivere ogni attimo della propria vita da protagoniste, perché del tempo perduto o sprecato nessuno ci consolerà, come dice Goliarda in una delle poesie dell’unica raccolta di poesie pubblicate, dal titolo Ancestrale.

Goliarda Sapienza muore a Gaeta il 30 agosto del 1996.

Nessuno mi consolerà
per tutte le parti già morte
che porto in me
con rassegnata impotenza
Nessuno mi consolerà
per quegli attimi perduti
per quei suoni scordati
che da tempo
viaggiano al mio fianco e fanno denso
il respiro, melmosa la lingua.

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