Qualche tempo fa l’attenzione degli abbonati Netflix (e di tutte quelle persone che scroccano Netflix ad amici e parenti, abbonati paganti) è stata catturata da una serie di preview raffiguranti una Natalie Portman in divisa militare e armata di fucile che si aggirava con sguardo corrucciato attraverso la vegetazione di una foresta rigogliosa.
Era un periodo di grande fermento cinematografico, quello che precede e segue immediatamente la Notte degli Oscar e, per questo motivo, tutti eravamo impegnati a correre nei cinema o sui più famosi siti di streaming per recuperare Chiamami col tuo nome, La forma dell’acqua, Get Out e Lady Bird. Come se non bastasse, l’offerta Sci-Fi di Netflix ha subito in quelle settimane un’improvvisa dilatazione con le serie Altered Carbon e successivamente Lost in Space. Quando poi è uscito La casa di carta, chi si è più ricordato di quell’Annihilation che forse ci aveva un poco incuriosito col suo titolo altisonante? Abbiamo abbandonato la povera Natalie a vagare per quelle giungle aliene all’infinito, in cerca di un mistero che non verrà mai svelato. Ed è un vero peccato perché Annientamento è in realtà uno dei prodotti più interessanti ed intellettualmente stimolanti di questa prima parte del 2018.
Un meteorite cade da qualche parte nel sud degli Stati Uniti (e dove sennò) e dal punto dell’impatto, comincia ad espandersi uno strano “Bagliore” che ingloba e nasconde tutto ciò che tocca. L’esercito americano decide di mandare una squadra all’interno di quella che viene definita Area X per fare chiarezza sulla reale natura del fenomeno, ma la missione fallisce in circostanze misteriose e tutti i soldati vengono dati per dispersi. Lena (Portman), biologa ed ex-soldato a sua volta, moglie di uno di questi uomini, decide di unirsi ad una nuova missione esplorativa per capire cosa è accaduto al marito, riapparso dopo un anno ma completamente trasformato.
Nonostante la trama non sia certo delle più originali (ma questo ha raramente a che fare con i reali contenuti di un film o di un libro), le premesse per questa pellicola erano molto buone: un cast d’eccezione, con Natalie Portman che già da sola riuscirebbe ad attirare una buona fetta di pubblico; un regista, Alex Garland, che dopo il successo della critica di Ex-Machina aveva creato grandi aspettative tra gli amanti della fantascienza; un precedente letterario, quello della Trilogia dell’Area X di Jeff VanderMeer, che è stato un vero fenomeno editoriale in tutto il mondo… E allora perché una pellicola che aveva tutte le carte in regola per diventare un blockbuster è stato proiettato solo in pochissime sale negli USA e, al di fuori di questi, è stato distribuito direttamente da Netflix senza nemmeno passare dal cinema? La risposta è scontata: perché, a prodotto finito e nonostante l’investimento di un discreto budget, i produttori si sono resi conto che le tematiche trattate non avrebbero interessato il grande pubblico. Inserite qui tutti gli improperi che volete riguardo ai mali del sistema capitalistico e alla decadenza del cinema di qualità.
Jeff VanderMeer, autore del romanzo da cui il film è tratto, è considerato uno dei più importanti esponenti della weird fiction contemporanea (e in questo genere facciamo rientrare anche alcune derive del fantasy e della fantascienza). Oltre ad essere un prolifico scrittore di narrativa, egli è anche saggista è ha scritto molto sui temi del postmodernismo, femminismo, ecofiction e numerosi altri generi letterari contemporanei. Il suo interesse teorico ed accademico si riflette profondamente nella trilogia dell’Area X, che si pone come massimo esempio della corrente letteraria che è stata definita postumanesimo.
Anche il regista Alex Garland si era già avvicinato a queste tematiche (lo stesso Ex-Machina è ricco di spunti femministi e postumanisti) e, per quanto nell’adattamento cinematografico si possa notare un certo sforzo di rendere più digeribili questi argomenti, essi permangono largamente anche nel film. Un esempio per tutti e senza spoiler: la lunga sequenza finale del film è molto poco cinematografica e ricorda più una performance di arte contemporanea o, in alternativa, il video di una canzone di Sia. Ci sono state numerose controversie tra produttori e regista su varie scene e su questa in particolare, dal momento che gli uni avrebbero voluto un’impostazione più “mainstream”, con esplosioni, spari e mostri alieni cattivissimi (che pure non mancano), mentre l’altro era più concentrato nel perseguire una sua personale visione estetica e simbolica.
Ma cos’è esattamente il postumanesimo? Come suggerisce il prefisso “post-”, che richiama peraltro alla mente i più conosciuti postmodernismo e postcolonialismo, il postumanesimo si tratta di un movimento che suggerisce un cambio di prospettiva nella nostra visione del mondo. Il postcolonialismo si pone come alternativa a un mondo eurocentrico, che pone USA e vecchio continente al centro dell’universo e riduce tutto il resto del pianeta e delle persone che lo abitano a periferia. Il femminismo (che in questa logica si sarebbe potuto chiamare postmaschilismo) fa lo stesso con il sistema del patriarcato, che pone come centro di riferimento l’uomo maschio eterosessuale e cisgender. Così il postumanesimo si oppone, per l’appunto, all’umanesimo, cioè a quel sistema di pensiero sviluppatosi nell’Europa di fine Trecento che, come abbiamo tutti studiato a scuola, “mette l’uomo al centro del mondo”.
Gli autori postumanisti sono convinti che il concetto di essere umano, che siamo abituati a considerare come un fatto naturale, iscritto nei nostri geni, sia in realtà in larga parte un costrutto artificiale, tanto quanto il concetto di genere per gli autori femministi o quello di razza per quelli postcolonialisti. In effetti, analizzando il concetto di uomo storicamente, ci accorgiamo come nel corso della storia soggetti diversi siano stati inclusi o esclusi in questa categoria. Ancora secoli dopo la fine del medioevo, diversi autori si sono interrogati sulla vera natura della donna che, a causa di un’irrazionalità che la avvicinava più al mondo degli animali che a quello degli uomini, era considerata una creatura non degna degli stessi diritti (in Svizzera le donne possono votare dal 1971).
Ma subumane sono state considerate anche persone affette da disabilità (eugenetica nazista) o appartenenti alle “razze inferiori” (colonialismo). Ma spesso è avvenuto anche il contrario, cioè esseri che siamo abituati a considerare senza dubbio animali hanno assunto, in particolari circostanze, connotazioni e diritti umani. Le donne di alcune popolazioni della Papua Nuova Guinea allattano i maialini al seno e nella loro lingua esiste un’unica parola per identificare i cuccioli di maiale e quelli umani. Nel medioevo era riconosciuto il delitto di bestialità: se un animale arrecava danno a un uomo, esso veniva processato in tribunale, difeso dagli avvocati e opportunamente giustiziato. Ma, senza andare troppo lontano nel tempo e nello spazio, pensiamo agli attuali movimenti di liberazione animale, a quello anti-specista o al veganismo, che puntano ad estendere diritti umani anche agli animali.
La categoria di uomo è quindi molto più elastica di quanto siamo abituati a pensare e ha margini sfumati. Questo ha portato la riflessione postumanista a concentrarsi in particolare sull’emergere di tre nuovi soggetti: la macchina, l’animale, l’ambiente.
Per quanto riguarda il soggetto-macchina, la fantascienza ci ha già abbondantemente abituati ad interrogarci su cosa distingua un essere umano da un robot: da Blade Runner a Ghost in the Shell, dall’Uomo bicentenario allo stesso Ex-Machina. La letteratura postumanista segue in questo senso due filoni principali: quello degli uomini che, avvicinandosi alle macchine, perdono in parte la loro umanità e si trasformano in qualcos’altro (corrente che in campo accademico viene definita transumanesimo) e, al contrario, quello delle macchine che si avvicinano agli esseri umani tanto da poter essere considerati tali. E non stiamo parlando solo di fiction: pensiamo a quanto le intelligenze artificiali stiano diventando sempre più abili nell’imitare meccanismi di pensiero umani e a quanto siano ormai indispensabili per la nostra vita di tutti i giorni. Il postumanesimo unisce discipline umanistiche e scientifiche per studiare le trasformazioni dell’essere umano a 360 gradi.
L’analisi postumanista dell’animale e dell’ambiente come soggetto è invece meno praticata nell’ambito della narrativa “pop”, ma è proprio su questi temi che si concentra Annientamento, ed è anche ciò che che rende il film particolarmente interessante. Il misterioso Bagliore che si irradia dal punto di impatto del meteorite ha la proprietà di sconvolgere completamente l’ecosistema, rendendo l’Area X un laboratorio di perenne trasformazione. La luce agisce infatti sul DNA di tutti gli organismi viventi, causando un’evoluzione accelerata ed imprevedibile. Fiori di specie diverse paiono generarsi dalla stessa pianta, un coccodrillo sviluppa dimensioni abnormi e denti simili ad un pescecane, un orso impara addirittura ad imitare la voce umana tramite un inedito sistema fonatorio… E mano a mano che la protagonista e le sue compagne, tutte donne, si avvicinano al centro dell’Area X appare chiaro che le radiazioni hanno effetto anche sugli esseri umani, influenzandone non solo il corpo, ma la psiche.
L’umanità, incarnata nell’esercito degli Stati Uniti d’America, percepisce quanto sta avvenendo all’interno del Bagliore come un pericolo, ed effettivamente è certo che se l’Area X si estenderà fino ad avvolgere l’intero pianeta il mondo come lo conosciamo non esisterà più. Ma a questo punto sorge la domanda: sarebbe questo un male? Se il conflitto uomo/natura è un costrutto artificiale, forse la fine dell’umanità così come la conosciamo non significherebbe la nostra estinzione, ma solo l’inizio di una nuova epoca, in cui l’essere umano è stato sostituito da qualcosa di diverso… che non avrebbe nemmeno senso definire migliore o peggiore dato che anche quelle di “bene” e “male” sono due categorie prettamente umane. Tra i personaggi che accompagnano Lena alcuni combattono con tutte le loro forze per opporsi al cambiamento, altri invece lo accettano e trovano nella trasformazione postumanista e nel ricongiungimento con la sfera immanente propria del mondo animale e vegetale una pace sconosciuta agli uomini.
Annientamento può essere considerato un film più o meno riuscito, sia a causa di difetti intrinseci (un mix di intellettualismo e fantascienza di avanguardia travestito da blockbuster, che però a volte si lascia scivolare la sua maschera con esiti opinabili) sia esterni (la questione della distribuzione che è tutt’altro che ininfluente: le bellissime ambientazioni e la colonna sonora avrebbero sicuramente reso di più sul grande schermo che su quello minuscolo di un tablet). Ciononostante, resta un’opera ricca di spunti significativi e a cui va riconosciuto quantomeno il merito di avere cercato di portare una serie di tematiche attualissime, ma che fino ad oggi erano rimaste confinate nei dipartimenti di studi umanistici delle università, al grande pubblico.