“Abbiamo due album e nessun video” sarebbe stato un titolo accattivante, logico, per raccontare una tragica mancanza artistica. Eppure in questo caso non è così, o sarebbe meglio dire non lo è più. Nelle date del 17, 18 e 19 febbraio il vuoto musicale, lasciatoci dalla straziante impossibilità di poter assistere, si è colmato nelle sale cinematografiche.
Il soggetto è duplice, quindi, un Giano bifronte in cui il cantautorato di Fabrizio De André incrocia il Rock della Pfm. Il loro tour fino a questo momento impresso solo in due album dal vivo (1979, 1980) e nella memoria dei fortunati presenti, ora ci viene portato, parzialmente, agli occhi sotto la forma di un Docufilm per la regia di Walter Veltroni.
L’inciso circa la frammentarietà della pellicola è di non facile spiegazione. Ricollegandosi all’aggettivo utilizzato nel titolo – Ritrovato – si può esporre l’intera dinamica dietro la produzione del film, basata su del materiale raccolto in un singolo evento (secondo me questa frase può essere scritta in modo più semplice). Le uniche immagini della tournée, infatti, sono state recuperate dall’archivio (ospitante oltre 40mila cassette) di un ex cameraman, Piero Frattari, presente durante il concerto “De André&PFM” tenutosi a Genova il 3 gennaio del 1979.
Il perché sia pervenuta su nastro, unicamente, quella data come testimonianza della loro serie di concerti va rintracciato nella poca predisposizione di Faber verso l’utilizzo della tecnologia in quel contesto. Scelta stilistica che ha difatti portato Frattari a dover ricorrere ad una sola telecamera posizionata tra il pubblico in modo tale da celare, al meglio che si poteva, la sua presenza. Un compromesso che, dopo oltre tre decenni di “dimenticatoio”, ha dato la possibilità al pubblico, però, di godere della visione di un must, seppure frammentato, della collaborazione tra due grandi pilastri del variopinto universo musicale italiano degli anni ’70.
Va però sottolineato come l’insolita posizione della camera insieme all’usura naturale data dal tempo abbiano reso difficoltoso il lavoro di restauro del materiale audiovisivo, facendo di questo una notizia parimenti sorprendente quanto la riscoperta dello stesso materiale. «Il ritrovamento di quelle cassette – ha spiegato il regista – e la loro rigenerazione, specie nello spettacolare audio 5.1, consentono a tutti di fruire della testimonianza di uno dei tour più importanti della storia della canzone italiana di quegli anni». Perché la storia, a volte, ci viene raccontata attraverso piccoli spezzati di vita: una goccia e il suo mare, e come quell’unica, minuscola goccia preserva, indelebile nella propria essenza, la memoria delle onde attraversate, così una piccola “comparsata” su un palco, nel freddo di Gennaio, è potuta divenire il simbolo di un intera stagione musicale.
De André e Pfm: il contesto storico
L’importanza del tour tra i PFM e Fabrizio De André, così come viene anche raccontata nella pellicola dalla bocca di chi ha vissuto sulla propria pelle la rivoluzione artistica di quegli anni, si deve al fatto di essere stato un vero e proprio spartiacque all’interno di un settore abituato, ancora, a vedere i generi musicali come compartimenti stagni. Nonostante l’idea di un arrangiamento in chiave rock dei suoi brani risultò gradita alla critica molti detrattori del genere contestarono a Faber la scelta di aver abbandonato il proprio minimalismo musicale. Era, infatti, radicata nel pensiero di alcuni suoi sostenitori la concezione che chi intendesse portare avanti “correttamente” una proposta di musica cantautorale dovesse rimanere fedele ad una semplicità strumentale per favorire maggiore chiarezza ed impatto del testo.
A parti invertite, la stessa critica fu avanzata anche ai membri della Premiata Forneria Marconi. Un cliché, comune a molti all’epoca, vedeva infatti nel minimalismo dei cantautori un sinonimo di “trascuratezza” tecnica, un mero e convenzionale pregiudizio che associava l’essenzialità del loro stile all’idea di “suonar male”. Proprio per questo nello stesso giro di conoscenze del gruppo serpeggiava un certo scetticismo riguardo la collaborazione con Fabrizio De André. Scetticismo che, almeno all’inizio, condivideva lo stesso Faber, salvo poi riuscire superare la propria ritrosia ad andare sul palco. Furono, infatti, la stessa PFM a palesare per primi un interesse concreto nel collaborare, tentando di convincerlo.
«L’idea di un tour con un gruppo rock sulle prime mi spaventò – dichiarerà in seguito Fabrizio De André – ma il rischio ha sempre il suo fascino: forse in una vita precedente ero un pirata, e così una parte di me mi diceva di accettare. In più ero tormentato da interrogativi sul mio ruolo, sul mio lavoro, sull’assenza di nuove motivazioni. E la PFM mi risolse il problema, dandomi una formidabile spinta verso il futuro».
In verità, il rapporto tra il cantautore e la band non nasce ne si esaurisce nelle date della tournée, ma è frutto di una forte ammirazione ed amicizia che vide la luce a partire dagli anni sessanta. Risale, infatti, alla fine della decade l’uscita del concept album “la buona novella” in cui la PFM, all’epoca sotto il nome di “I Quelli”, diedero un loro contributo alla riuscita del lavoro.
Una collaborazione, quindi, forse già scritta e che parte da molto lontano fino ad arrivare al momento dei loro live. Visti da molti all’epoca come la manifestazione fisica di un paradosso, la serie di concerti furono al contrario un’esperienza irripetibile sia per chi presenziò attivamente, suonando, riprendendo, ecc, sia per buona parte del pubblico, la cui titubanza riguardo il sodalizio non sopravvisse oltre la prima canzone. Due mondi ritenuti opposti si ritrovarono così, contro ogni pronostico, ad applaudire all’unisono sostenendo le note e la voce di un esperimento musicale riuscito in pieno: De André ed la PFM erano in quel momento un’unica realtà tangibile e un futuro grande lascito alla musica italiana.
La narrativa del ricordo
Nelle rinnovate vesti di regista, l’ex vicepremier Veltroni dimostra quanto nel raccontare dei fatti di cronaca non ci si possa esimere a volte dall’addurre una firma personale, includendo la volontà del soggetto lì dove si esige un rigoroso e marcato oggettivismo. La sua carriera dietro la macchina da presa ha, infatti, visto il susseguirsi di storie raccontate attraverso il filtro della soggettività di chi, portando una propria testimonianza, ha contribuito a dargli forma. Lo stampo “documentarista” di Veltroni si può rintracciare in pellicole come Quando c’era Berlinguer (2014) in cui la figura politica del segretario del PCI si sviluppa attraverso le parole delle persone che l’hanno conosciuto. Su una logica equiparabile prende le mosse anche Fabrizio De André & PFM – il concerto ritrovato.
In questo caso, però, l’intento è duplice, non trattandosi semplicemente di esporre la vita di un unico uomo. Se da una parte quindi la necessità di omaggiare un personaggio iconico, De André, ponendolo al centro della pellicola, è fin troppo evidente per essere frutto di una contingenza, dall’altra sì cerca di dare una posizione comprimaria a coloro che insieme a lui hanno contribuito alla riuscita di quel concerto: la PFM. La prima parte della pellicola pertanto, di stampo narrativo, vedrà l’esposizione, attraverso i ricordi e i racconti, sia delle sensazioni, delle emozioni e dei retroscena legati alla tournée, sia di informazioni e aneddoti atti a tracciare la figura emblematica di Faber.
L’incipit alla narrazione è dato proprio da un aneddoto di Dori Ghezzi (compagna di vita di Fabrizio), che farà emergere il difficile rapporto di Fabrizio De André con le nuove tecnologie: un cellulare, strumento la cui presenza al tempo era poco scontata, costatogli senza volerlo diciannove milioni di lire per colpa di un caso di “SIM Swap Scam” e finito perciò sepolto e abbandonato. La stessa Ghezzi sarà poi presente durante la fase cardine di questa prima parte, in cui assieme a Franz di Cioccio (PFM) sì ritroveranno a ricordare e rivivere quegli anni in un inscenato salotto a bordo di un treno d’epoca.
Chiudono la lista delle comparse (ognuna con una storia da raccontare) Guido Harari, fotografo i cui scatti mostrati daranno la possibilità di immergersi, ancora più nel profondo, nella mente e nella personalità di De André; gli altri membri del gruppo (Mussida, Djivas e Premoli); David Riondino, addetto ad aprire i concerti durante la tournée nonché lo stesso Piero Frattari. In un mix di emozioni collettive e memorie personali, si giunge quindi alla seconda parte della pellicola che vedrà esposto al pubblico il materiale audiovisivo recuperato del concerto. Fin dalle prime sequenze si può intuire che esse provengano da un altro tempo. L’imponente lavoro di restauro, infatti, non ha intaccato lo stampo retrìvo di quelle immagini grezze e tipiche di uno strumento di ripresa, quale il “Sony Trinicon DXC 1600” , le cui radici affondano nel pieno degli anni ottanta.
Emerge però, dalla rudimentale conformazione visiva del materiale, un senso di incurabile nostalgia che viene soltanto alimentata dalla parole e dalle note del concerto. La voce, particolare, di De André, il suo linguaggio instabile, in perenne oscillazione fra il dissacrante e il poetico, ci riportano a un’epoca antica in cui soltanto la musica riusciva a rompere la corazza di un uomo sensibile. Una musica che, ora, veniva innalzata a partire dagli strumenti di altri e che proprio per questo trovava un nuovo vigore espressivo. Canzoni come Il Pescatore, amico fragile – tra le varie – riarrangiate dalla PFM acquistano una valenza differente, riuscendo ad arrivare ad un pubblico al quale De André, nella naturalezza disinvolta del proprio cantato, non sarebbe giunto da solo. Nel Docufilm troveranno quindi spazio, oltre le sopracitate canzoni, anche:
La canzone di Marinella
Andrea
Il testamento di Tito
Un giudice
Giugno ’73
La guerra di Piero
Zirichiltaggia
Rimini
Via del campo
Avventura a Durango (Romance in Durango)
Bocca di Rosa
Volta la carta
Il pescatore
I testi originali scritti a mano da De André verranno mostrati nella pellicola scorrere, a tratti, sullo schermo mentre le immagini si dipanano, aggiungendo un gradevole tocco estetico sovrapposto all’emotività data dal materiale audiovisivo. Fabrizio De André e PFM – il concerto ritrovato nel suo complesso risulta quindi essere un’inconsapevole necessità, quella di una pellicola che trae la propria forza espressiva dalla musica e dalla tenerezza del ricordo.