Ognuno di noi preserva nella sua storia di famiglia dei piccoli frammenti essenziali, tolti i quali le strade che abbiamo percorso e che tutt’ora, lungo la via dei giorni, stiamo percorrendo, potrebbero risultare stravolte. È il caso di Elena Tonra, voce della band indie rock britannica “Daughter”.
Nata a Northwood, un quartiere della grande e caotica Londra, la frontman viene battezzata nel mondo della musica da due grandi pilastri. Il primo, più intimista, viene rintracciato nella storia familiare della donna, andando a rappresentare quel bagaglio culturale (musicale, in questo caso) di famiglia citato in precedenza.
Sin da piccola, la giovane Elena è stata impregnata di una cultura folk che fa capo ai gusti musicali di suo nonno, irlandese di nascita e che fornirà una base per lo sviluppo stilistico della futura vocalist. Il secondo pilastro, musicale, si incarna nella poetica e nella figura di Jeff Buckley. Il cantautore, merito soprattutto del suo album d’esordio Grace (1994) rappresenterà un ponte che unirà in maniera indissolubile l’animo della ragazza alla musica.
Reduce di una vita sociale difficile, Elena Tonra sarà costretta a convivere col demone del bullismo per buona parte della sua infanzia, che la costringerà a dover cambiare scuola all’età di 12 anni. Come spesso accade in questi casi, l’esperienza negativa ha rappresentato solo una faccia della medaglia. Se da una parte, il dolore e la frustrazione non le hanno concesso la possibilità di vivere un infanzia serena, dall’altra l’emotività della ragazza, asfissiata, per reazione ha acceso una fiamma irrefrenabile, nata dalla necessità di uno sfogo.
Durante questa fase della sua vita infatti, Elena comincia a scrivere.
Scriveva di sé, dei suoi dolori e trovava nella penna quella serenità che le era stata tolta, fin troppo presto. Sarà appunto quella fiamma, nata dal dolore che darà impulso in futuro ai testi delle sue canzoni. I suoi primi spettacoli musicali, in cui si presentava al pubblico in acustico usando il proprio nome, si tenevano tra i locali londinesi di inizio millennio. La stessa dichiarerà in seguito che le sue esibizioni erano state pervase da un proprio imbarazzo di fondo.
Essendo una chitarrista autodidatta, durante gli spettacoli ha sempre percepito un certo disagio, temendo di risultare limitata nella tecnica al suo pubblico. Durante questa fase, per accrescere le sue capacità come musicista, si iscriverà ad un corso di songwriting presso l’Institute of Contemporary Music Performance, dove conoscerà Igor Haefaeli.
L’affinità musicale tra i due li porterà dapprima a formare una collaborazione, in cui haefali supporterà come chitarrista l’attività di cantautrice di Elena e in seguito, con l’aggiunta al duo del batterista Remi Aguilella, il sodalizio sfocera’ nella nascita di una vera e propria band, i Daughter.
Come spesso accade però, la musica crea un legame che va ben oltre la semplice condivisione di idee e parole. Durante il suo percorso artistico con il gruppo, la frontman inizierà una relazione con il chitarrista Haefaeli. Una relazione tormentata, ricca di alti, di bassi e soprattutto di dolore. L’amore sarà un concetto che supererà la semplice sfera emozionale della ragazza, divenendo un vero e proprio topic, un tema costante intorno al quale i testi del gruppo ruoteranno senza sosta. Ma questa è solo la punta dell’iceberg.
Siamo nel 2018 quando, l’iconica voce della band britannica, giunge alla fase conclusiva del suo percorso di catarsi, tentando di testimoniare tramite la musica la sua personale reazione alla fine di una sofferente storia d’amore. Così come il dolore risulta essere un sentimento strettamente soggettivo, allo stesso modo lo è la liberazione dalla sua presenza, rendendo impossibile l’impresa di trovare una medicina universale per debellarlo.
A modo suo, il mondo della musica ha sempre offerto un proprio, particolareggiato punto di vista sulla faccenda. Il tentativo di evasione dalla propria sofferenza, ha portato alla formazione di un filone di album uniti dalla tematica della “rottura”.
Un genere che, sotto il nome di “break up album”, raccoglie le parole di chi ha vissuto sulla propria pelle la fine di un amore. Nascono in questo modo piccole gemme musicali come “For Emma Forever Ago”(2007), che porta la firma del cantautore statunitense Justin Vernon, o come “Blood On The Tracks”(1975), un must della discografia dylaniana. All’interno di questo genere intimista si situa anche “Ex:Re”, il debutto da solista della Tonra.
Uscito a novembre per merito dell’etichetta 4AD, la stessa che ha dato i natali ai lavori più famosi del suo gruppo, l’album è una miscela emozionale che esplode sulle note di una musica malinconica. Ogni parola del disco sembra emergere da un pozzo oscuro, dal quale la stessa cantante ammette di essere uscita.
Il come è di facile spiegazione. Il titolo dell’album, che alla lettera va pronunciato “ex ray” per volere della cantante stessa, nasconde già al suo interno la chiave di lettura necessaria alla sua comprensione. Una metafora forte che rimanda ad un processo di introspezione radiologico, eseguito dalla frontman dei daughter sulla sua relazione terminata e su se stessa.
“Ex:Re” in quest’ottica, assume per lei i connotati di un alter ego appartenente ad una fase cupa della sua vita segnata dall’incertezza e dal dolore. La fase di scrittura dell’album, durata un anno, è stata una profonda analisi del processo di elaborazione della perdita, segnata dallo studio dell’assenza, dalla dimenticanza non come fatto momentaneo, dato da un’ipotetica distrazione, ma come stato duraturo.
Il vuoto, unico lascito di quella relazione, diventa il coprotagonista di un dialogo tra la ragazza e il suo amante all’interno del disco. Durante il tempo di scrittura la sua l’emotività ha visto il susseguirsi di varie fasi, frutto di quel costante lavoro su se stessa rispecchiatosi anche nei testi delle canzoni.
Se in “New York” viene espresso un senso di profondo smarrimento e di mancanza tramite l’onirico e surreale vagare, ubriaca, tra le strade della metropoli, in “Liar” emerge un lato diverso, più legato alla sfera emotiva della rabbia e del rancore. Ognuno dei dieci brani proposti presenta una propria struttura definita andando a pescare, nel variegato spettro emozionale della cantante, un preciso periodo della sua vita e riportandolo poi sotto forma di immagini, parole e suoni.
La musica, diversa nello stile dalla sua band “madre”, ne risulta però identica nell’essenza. le parole dell’album, malinconiche e strazianti, posano su sound dolce, posato, con molte ispirazioni ma poche veramente in risalto. Ogni traccia presenta una propria ossatura musicale che esula il quadro complessivo del disco da ogni genere musicale. L’unica certezza tangibile all’interno del lavoro è la forza espressa dal suo lato strumentale.
Come da ammissione della stessa Elena, Fabian Prynn e Josephine Stephenson sono risultate figure determinanti per il progetto “ex:re”. Il primo, ingegnere del suono sì è occupato degli arrangiamenti, lavorando soprattutto su loop e batterie. La seconda invece, compositrice, ha dato un contributo essenziale per le linee vocali e il violoncello, che primeggia in moltissime tracce dell’album (“Where the Time Went” e “The Dazzler” in testa).
Se da una parte quindi “Ex:Re” è stato un lavoro profondamente personale nato dal bisogno di catarsi, dall’altra l’apporto determinante di chi, insieme alla cantante, ha collaborato al progetto, ha permesso al disco di arrivare al risultato che la stessa sperava di ottenere: superare il proprio dolore; un dolore che per troppo tempo ha tenuto chiuso, segretamente, nell’angolo più lontano del suo cuore.