Martin Sharp Poster per Mister Tambourine man Dob Dylan

Eros Alesi, “Pasticca”: rileggere un’epoca

Avevo fame
nessuno mi ha sfamato
Avevo freddo
Nessuno mi ha coperto
Sono caduto per terra
Nessuno mi ha rialzato.
Quando sarai stanco di fare questa
vita
prendi una pistola e falla finita
saranno pochi attimi
e finirai di soffrire.
L’uomo è un essere fragile
e cade spesso vittima di esseri
più deboli di lui
Non basta avere un ideale
ma di averne uno giusto
e credere in qualcosa che dura
Quando sono in piena solitudine
mi sento perduto in un freddo
deserto.

Pasticca

da Urlo grido beat, n. unico, Milano dicembre 1967

È proprio di questi tempi il chiasso suscitato da un rave, organizzato nelle campagne del viterbese, dove migliaia di ragazzi di tutta Europa si sono dati appuntamento in barba ai divieti e ai green pass, spiazzando tutti. Ora, non è mia intenzione scendere nel merito di un dibattito piuttosto spinoso, che oltretutto ha ripetuto il triste cliché di abuso di alcool e sostanze varie, che sembra legarsi a questi eventi: semplicemente non dimentico le mie origini culturali.

Victor Moscoso, The Chambers Brothers, 1967
Victor Moscoso, The Chambers Brothers, 1967

Sono cresciuta col mito della Beat Generation e di Woodstock, il mitico festival che, dal 15 al 18 agosto del 1969 nell’America dei figli dei fiori, ha visto riunirsi una folla oceanica di giovani colorati, straccioni e scalmanati, che si ribellavano al consumismo, all’abuso smodato dell’ambiente, alla guerra, al nucleare, per stare insieme in pace e in allegria ad ascoltare musica… e che musica, ragazzi! Fior fiore di musicisti che hanno fatto la storia del rock e del blues mondiale.

La gioventù di ogni parte del mondo, in quei lontani anni Sessanta / Settanta del secolo scorso si stava svegliando dall’ubriacatura post bellica, mettendo in crisi il sistema capitalistico chiuso a riccio per effetto della Guerra fredda.

L’Italia non fu da meno. La repressione dei costumi, esercitata da un potere catto-fascista, racchiuso in una politica che aveva un unico partito di riferimento, soffiava sui tizzoni ardenti di una gioventù che si è trovata a vivere nel momento in cui la faglia tra Italia contadina e Italia post-industriale consumista ha mostrato la profondità del suo baratro.

Noi che oggi, “per privilegio d’anagrafe”, come direbbe il buon Pasolini, possiamo osservare, con la lente lucida della storia, quel periodo, spogliandolo da quella mitologia che lo lega alla droga e alla violenza. Possiamo affermare che le lotte intraprese in quegli anni dai capelloni, dai movimenti di donne, operai e intellettuali hanno portato profondi cambiamenti nelle società occidentali, tra cui la nostra tra le più arretrate e riottose.

Paradossalmente l’Italia in pochissimi anni è passata da società contadina a cittadina post-industriale, da rurale a consumista e questo ha rappresentato un salto nel vuoto.

Questo vuoto, questa perdita di radici ha prodotto uno smarrimento che nell’arte ha tagliato tele e tolto le righe ai quaderni, scomponendo figure, colori, parole e suoni.

Il panorama è dei più variegati: oggi voglio ricordare Pasticca, di cui ho posto in apertura una poesia, perché credo che con i suoi scritti ci abbia lasciato una testimonianza attraverso la quale possiamo leggere le contraddizioni più dolorose di quell’epoca e capire meglio il nostro presente.

…Che spesso il doloroso e problematico dubbio, che il mio amore e sincerità e
buonafede non venga captata, o venga captata diversamente, che per questo
parlo, che per questo sporco di blu questo foglio. …

Eros Alesi
Eros Alesi

Eros Alesi nasce a Ciampino il 21 dicembre del 1951. Il quadro affettivo familiare dove cresce è di solitudine e degrado affettivo, con padre alcolizzato e violento e una madre esasperata e vittima di violenze domestiche ripetute, che lavora tutto il giorno e che scappa di casa per disperazione. Nessuno ha tempo per quel ragazzino, nessuno ama il piccolo Eros, che cresce in mezzo «a cocci aguzzi di bottiglia», per citare Montale. Non esistono servizi di tutela per l’infanzia ed Eros se ne andrà via da casa a soli 15 anni.

Che avevo 6-7 anni quando ti vedevo Bello – forte – orgoglioso – sicuro –
spavaldo rispettato e temuto dagli altri, che avevo 10-11 anni quando ti
vedevo violento, assente, cattivo, che ti vedevo come l’orco che ti giudicavo
un Bastardo perché picchiavi la mia mamma.
Che avevo 13-14 anni quando ti vedevo che vedevi di perdere il tuo ruolo.
Che vedevo che tu vedevi il sorgere del mio nuovo ruolo, del nuovo ruolo di
mia madre.
Che avevo 15 anni e mezzo, quando vedevo che tu vedevi i litri di vino e le
bottiglie di cognac aumentare spaventosamente.
Che vedevo che tu vedevi che i tuoi sguardi non erano più belli, forti,
orgogliosi, fieri, rispettati e temuti dagli altri.
Che vedevo che tu vedevi mia madre allontanarsi. Che vedevo che tu vedevi
l’inizio di un normale drammatico sfacelo.
Che vedevo che tu vedevi i litri di vino e le bottiglie di cognac aumentare
fortemente.
Che avevo 15 anni e mezzo che vedevo che tu vedevi che io scappavo di
casa, che mia madre scappava di casa.
Che tu hai voluto fare il Duro.

Alesi, soprannominato Pasticca, viene considerato uno dei poeti più interessanti della Beat Generation italiana da autori e critici, che lo conobbero all’epoca di Mondo Beat, una rivista milanese, il cui redattore era Melchiorre Gerbino.

Dobbiamo la fortuna di leggere questi scritti all’amico Remo Morcone, a cui Eros Alesi lasciò alcuni quaderni, prima di lanciarsi dal Muro Torto, un alto muro che affaccia su Villa Borghese a Roma, in un anonimo e freddo 31 gennaio 1971.

Non aveva neppure vent’anni.

O mamma che cosa ho tralasciato –
O mamma che cosa ho dimenticato – o
mamma addio con una lunga sciarpa nera
addio con il partito comunista e una calza rotta –
addio con i sei peli neri sul porro del tuo seno –
addio col tuo vecchio vestito e una lunga barba nera attorno alla vagina –
addio con la tua pancia afflosciata –
con la tua paura di Hitler –
con la tua bocca di brutti racconti –
con le tue dita di mandolini in rovina –
con le tue braccia di grasse verande di Paterson –
con la tua pancia di scioperi e ciminiere –
con il tuo mento di Trotzky.

eros alesi che puff copertina 1

Dopo la tragica fine di Pasticca, Giuseppe Pontiggia lesse quei quaderni  e nel 1973 furono pubblicati per la prima volta nell’Almanacco dello Specchio. In seguito furono pubblicati in varie antologie, relative alla poesia degli anni Settanta. L’opera completa di Eros Alesi è stata edita da Stampa Alternativa, la casa editrice di Marcello Baraghini, con il titolo: CHE PUFF! Il profumo del mondo, nella storica collana Millelire. Ora è possibile scaricarlo gratuitamente in rete, per chi volesse leggerlo tutto.

Non è un libro di poesie, non è un libro di racconti, è un flusso di coscienza che ha fuso prosa e poesia.

Il Puff! è emblema dello sballo, dell’insulsaggine del consumismo, del perbenismo borghese, del vuoto dei valori, spacciati per seri. Il Puff come caleidoscopio emotivo, illuminato improvvisamente da lampi di luce. Il Puff è per Alesi un cannocchiale che seziona il suo vuoto affettivo, senza un futuro, senza altra speranza di un Puff, perché la vita è Puff!

Fin da giovanissimo fa uso di sostanze stupefacenti come anfetamine, morfina e pasticche d’ogni sorta, entra ed esce dal riformatorio. Finisce pure in manicomio, dove a quel tempo spedivano i tossicodipendenti, nel quale non erano curati, come non si curavano i malati di mente: solo cancelli grigi e sbarre alle porte della vita.

Non ha certo grandi studi, se non la strada nei suoi ossimorici e crudeli volti, il nostro piccolo Eros.

Eppure, e qui vedo una differenza con i tempi di oggi, questo quindicenne fugge da casa per affrontare il mondo con un libro a me caro: Jukebox all’idrogeno di Allen Ginsberg., con il suo famoso poema Howl (Urlo), citato da Pasticca nei suoi versi psichedelici, che prendono le mosse proprio dalla poetica della Beat Generation americana.

Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche,
trascinarsi per strade di negri all’alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters dal capo d’angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata
nel macchinario della notte,
che in miseria e stracci e occhi infossati stavano su partiti a fumare nel buio soprannaturale di soffitte a acqua fredda fluttuando sulle cime delle città contemplando jazz.

(Incipit di Urlo di A. Ginsberg)

Allen Ginsberg
Allen Ginsberg

Nei versi di Eros, che nella visionarietà ricordano anche Campana, si rompono gli schemi a favore di un non schema e non limite dove il poeta, ancora poco attrezzato di conoscenze ma ricco di emozioni, si perde e le sue parole si fanno preghiera, i suoi “che“ perforano l’anima. La sua morte è la sostanza della sua metrica e paradossalmente ci guida verso la bellezza della vita.

È straziante l’amore per il padre e la madre, figure ormai mitizzate e poi sostituite dalle sostanze:

Caro Papà,
Tu che ora sei nei pascoli celesti, nei pascoli terreni, nei pascoli marini.
Tu che sei tra i pascoli umani. Tu che vibri nell’aria. Tu che ancora ami tuo
figlio Alesi Eros.
Tu che hai pianto per tuo figlio. Tu che segui la sua vita con le tue vibrazioni
passate e presenti.
Tu che sei amato da tuo figlio. Tu che solo eri in lui. Tu che sei chiamato
morto, cenere, mondezza.
Tu che per me sei la mia ombra protettrice.
Tu che in questo momento amo e sento vicino più di ogni cosa.
Tu che sei e sarai la fotocopia della mia vita.

Quel “Tu“ ripetuto, polifonico, che martella le tempie.

È un processo di de-strutturazione del discorso logico, per consentire alle parole di toccare le vette emotive già toccate dalle note musicali e dal colore, sperimentato dalla poesia d’avanguardia di quegli anni fervidi e febbrili.

LETTERA DI UN DATORE DI LAVORO AD UN SUO DIPENDENTE…

Carissimo operaio,
ti voglio tanto bene,
perché sei così fesso da farti
sfruttare da me (comm. Ambrogio)
ti sei ridotto un relitto umano,
un essere incapace di pensare,
un nevrotico, un complessato,
e tutto questo lo hai fatto
per permettermi:
una bellissima villa al mare,
una velocissima spider
tante donne,
e moltissima grana.
Ringrazio di tutto cuore
Il tuo PADRONE.
(continua così se no ti farò
crepare di fame)
Pasticca…

da Provo, Milano 1967

Scontri di Valle GIulia
Scontri di Valle GIulia, 1 marzo 1968

Questo datore di lavoro mi ricorda Gianni Agus con Fracchia, alias Paolo Villaggio, personaggi che sembrano appartenere al passato, eppure paradossalmente recenti. Questa lettera del datore di lavoro si snoda senza rime, tagliente, odiosa, sprezzante, mi ha fatto pensare alla mail di licenziamento, inviate agli operai di molte fabbriche, eccellenze italiane negli anni Sessanta, ora perdute, svendute a multinazionali senza scrupoli.

Quello che ieri sembrava un paradosso poetico e satirico, oggi è tragica realtà quotidiana in ogni ambiente di lavoro, per lo più precario e sottopagato.

Per questo ritengo sia necessario rileggere quegli anni attraverso gli scritti, le musiche, i quadri, per trovare un senso a quello che succede oggi, per capire che era stato tutto previsto.

Eros Alesi, così come tanti altri, si è perso ma ha segnato con inchiostro blu, come dice lui, delle poesie e dei pensieri toccanti, che dovrebbero essere lette e discusse. Perché l’uso di sostanze chimiche continua a mietere vittime a tutt’oggi e la letteratura con la sua magia potrebbe insegnare molto più che la paura.

Cara, dolce, buona, umana, sociale mamma morfina. Che tu solo tu dolcissima mamma morfina mi hai voluto bene come volevo. Mi hai amato tutto. Io sono frutto del tuo sangue. Che tu solo tu sei riuscita a farmi sentire sicuro. Che tu sei riuscita a darmi il quantitativo di felicità indispensabile per sopravvivere. Che tu mi hai dato una casa, un hotel, un ponte, un treno, un portone, io li ho accettati, che tu mi hai dato tutto l’universo amico.

Che io a 15 anni ho accettato di vivere come essere umano “ uomo “ solo perché c’eri tu, che ti sei offerta a ricrearmi una seconda volta. …

Victor Moscoso, The Doors, 1967
Victor Moscoso, The Doors, 1967

Leggere Alesi vuol dire capire con i suoni delle parole, che esiste prima il disagio, l’insicurezza, la solitudine, la paura e poi la dipendenza. La morfina diventa madre nei versi di Pasticca e sorella nella canzone dei Rolling Stones. È la dolce morte, l’isola sperduta dei sogni, il rifugio e l’amore, il canto soave delle terribili sirene.

Sono parole forti, quasi incomprensibili alle nostre orecchie. Lasciano in bocca uno strano sapore acidulo di medicina, di dolore, di solitudine affettiva, di mancanza di aiuti sanitari e sociali, d’incomunicabilità che ora più che allora aggredisce giovani e giovanissimi e di quel vuoto che non abbiamo saputo colmare, ci dobbiamo seriamente interrogare sui danni prodotti dai tagli al welfare e alla sanità.

Nell’anno in cui morì Eros Alesi Pasticca, i Rolling Stones incisero Sister Morphine. Loro, così come Ulisse, riuscirono a superare le lusinghe delle sirene e oggi ancora calcano le scene mondiali. È di questi giorni la scomparsa del loro mitico batterista Charlie Watts, che si è spento serenamente nella sua casa a 80 anni.

Ci salutiamo con la prima strofa di questa canzone terribile, bellissima e paradossalmente istruttiva, che vi invito ad ascoltare.

Here I lie in my hospital bed
tell me, Sister Morphine
when are you coming round again
oh, I don’t think I can wait that long
oh, you see I’m not that strong.

Sono qui steso nel mio letto d’ospedale
dimmi, Sorella Morfina
quando tornerai a trovarmi?
Oh, non penso che dovrò aspettare molto
Oh, lo vedi che non sono abbastanza forte…

In copertina: Martin Sharp, Poster per Mr Tambourine Man di Bob Dylan, 1967


Per approfondire: 
Eros Alesi, su Poesia ribelle.it
Giuseppe Catani, Che Puff, su Mescalina. it
Andrea Acqualagna, The Howl, il disperato grido di Allen Ginsberg, su Il Chiasmo, Treccani,it
Eros Alesi, Che Puff, Millelire, Stampa Alternativa
Enea Roversi, Eros Alesi: la luminosa meteora della beat generation italiana, su Tragico Alverman
I testi della canzone sono stati estratti da musicaememoria.com

 

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