La storia di Aimée e Jaguar

Aimée e Jaguar

Questa è la storia di Lilly e Felice.

Questa è la storia di Aimée e Jaguar.

Elisabeth Wust era una casalinga berlinese insoddisfatta, che doveva badare da sola a quattro figli perché il marito, soldato e convinto nazista, preferiva la compagnia di altre donne piuttosto che quella della moglie. Elisabeth si vantava di saper riconoscere un ebreo “dall’odore”. Inge Wolf, che all’epoca lavorava come domestica a casa Wust, accettò la sfida e le presentò la sua amica Felice.

Felice Schragenheim solo qualche giorno prima aveva scritto una lettera di addio, bagnata con qualche goccia d’acqua per simulare lacrime di disperazione, aveva deciso di strappare la stella di David dal suo soprabito e di vivere in clandestinità. Era innamorata della vita come solo si può essere a vent’anni. Si conobbero in un bar, un pomeriggio di fine novembre del 1942, vicino allo zoo di Berlino. Prima s’ispirarono simpatia, poi amicizia, poi qualcosa in più.

Lilly Wust, Aimèe
Lilly Wust

Quando Elisabeth, anzi Lilly, sebbene avesse solo qualche anno in più di lei, fu ricoverata qualche giorno in ospedale, Felice di presentava tutti i giorni con un mazzo di rose rosse. “Il cavaliere delle rose”, la chiamavano scherzosamente i dottori.

Fu il 2 aprile del 1943 che Lilly divenne Aimée e Felice divenne Jaguar.

Aimée, come la protagonista della commedia teatrale che videro insieme (Aimée, o della coscienza umana) e che piacque tanto a entrambe.

Jaguar, giaguaro.

Per un anno ci furono le rose e non chiesero scusa a nessuno.

Lilly chiese la separazione al marito e Felice si trasferì da lei. Se non fosse stato per il lavoro nella resistenza di Felice e la paura costate di essere scoperta, si potrebbe dire che la loro fosse una storia d’amore comune, quasi banale. Una di quelle appena sbocciate, che spinge a nascondere poesie nella credenza, nell’attesa che l’altra le trovi.

Il 21 agosto del 1944 era una calda giornata di fine estate. Inforcarono le biciclette e pedalarono fino al fiume. Solo loro e il sole che bruciava la pelle. Niente bambini, niente amiche. Quel giorno furono scattate le uniche fotografie che le ritraggono insieme. Fu un pomeriggio perfetto.

Aimée e Jaguar

Quando tornarono a casa ad attenderle trovarono tre soldati della Gestapo. “È questa l’ebrea Schragenheim?” urlò uno di loro. Aveva in mano una foto di Felice. “È questa l’ebrea Schragenheim?” Felice provò a fuggire, ma invano. Fu portata in un centro di raccolta in una scuola dismessa, dove riuscì a vedere la sua Aimée ancora un paio di volte.

Poi a Theresienstadt.

Poi ad Auschwitz, quando però oramai i forni erano in via di smantellamento.

Poi a Groß-Rosen.

Da qui si persero le sue tracce. Sappiamo però che tra dicembre del 1944 e il febbraio del 1945 circa 700 donne furono costrette a marciare da li fino a Bergen-Belsen. Quasi nessuna sopravvisse. Felice potrebbe aver perso la vita in questa occasione.

Il giorno in cui Jaguar fu arrestata, Aimée cominciò a tenere un diario, da regalare all’amata in giorno in cui sarebbe tornata da lei. Lo costudì fino alla morte, insieme alle lettere e alle poesie che si scambiarono nel breve arco di tempo che passarono insieme.

Felice Schragenheim
Felice Schragenheim

Nessuno sa come la foto di Felice sia finita nelle mani delle SS.

Lilly mantenne segreta la loro storia per quarant’anni. Non si sa esattamente cosa la spinse, un giorno del 1985, a raccontare a un giornalista americano che “Felice non era solo un’amica. Lei era tutta la mia vita”. Mi piace pensare che sapesse che era arrivato il momento. Con un po’ di quella tristezza che inevitabilmente coglie quando si lascia andare una storia che è stata soltanto tua per così tanto tempo.

Lilly Wust è morta nel 2006, a 92 anni. Al dito portava ancora una fedina, con inciso “F.S. 2-4-43” e l’anello che regalò a Felice il giorno in cui divennero Aimée e Jaguar e che Felice riuscì a restituirle il giorno in cui fu catturata.

Un altro signore un giorno decise di raccontare la storia di Aimée e Jaguar. Cambiò i nomi. Cambiò la città. Questo signore risponde al nome di Alan Moore. Scrisse, in una delle graphic novel più famose di sempre, una lunga lettera che nascose in una cella.

Era firmata Valerie.

Maria Elena Villa
Maria Elena Villa

Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un posto un po' magico vicino a Milano, dove i compleanni si festeggiano su montagne di granturco, si gioca a fare teatro e i racconti dei nonni si tramandano intorno ad un camino acceso. Amo le belle storie, in qualsiasi modo vengano raccontate.