Dormono, dormono al cimitero di Père-Lachaise

Cimitero di Père-Lachaise

Where are Ella, Kate, Mag, Lizzie and Edith,
The tender heart, the simple soul, the loud, the proud, the happy one? —
All, all are sleeping on the hill.

Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.

Ogni città piccola o grande, ogni remoto paesino tra le montagne o a picco sull’oceano ha la sua Spoon River. Basta varcare i cancelli di ferro battuto che separano la città dei vivi da quella dei morti per rendersene conto. Dietro a nomi sulle lapidi, agli angeli di marmo con le dita scheggiate dalle intemperie e ai busti in bronzi oramai colorati di azzurro c’è una storia che spera di essere ascoltata. E come nella raccolta di Edgar Lee Master, se si porge l’orecchio si possono ascoltare le voci dei suoi abitanti che, finalmente, si possono raccontare per come sono stati davvero, ora che non hanno più nulla da perdere o da guadagnare.

Una delle città dei morti più famose e frequentate al mondo è sicuramente il cimitero di Père-Lachaise, a Parigi, che ospita alcune delle tombe più conosciute e visitate. Ma tra queste, quasi ricoperte dal fragore dei loro vicini più celebri, ci sono anche alcune storie che giacciono sepolte in silenzio. Noi proveremo a raccontare alcune di queste.

Jeanne Hébuterne

Amedeo Modigliani, Jeanne Hebuterne con cappello e collana, olio su tela, 1917. Entrambi sono sepolti al cimitero di Père Lachaise a Parigi
Amedeo Modigliani, Jeanne Hebuterne con cappello e collana, olio su tela, 1917 (dettaglio).

One died in shameful child-birth
Una morì di un parto vergognoso

Jeanne Hébuterne.
Compagna devota fino all’estremo sacrifizio.

Jeanne ed è un’artista dal grande talento arrivata a Parigi perché attirata dalle avanguardie pittoriche e desiderosa di apprendere e studiare. Ha 19 anni quando comincia ad entrare nei circoli culturali dove viene notata da tutti, più per la sua bellezza che per il suo talento.

È qui che incontra Amedeo Modigliani, che è gia un pittore affermato. Modì, lo chiama, che tanto somiglia al francese maudit, maledetto. E Modigliani maledetto lo è. Talentuoso, affascinante, bello, ma anche squattrinato e alcolizzato.

Lì lo sceglie e lo vuole per sé, mentre la guardava e le parlava dei suoi volti strani e degli occhi a cui toglie l’età. La ritrae numerose volte e la trascina nel suo girovagare. Jeanne non abbandona la pittura, ma avvicina il moltissimo il suo stile a quello di Modigliani. Diventa la sua musa e la sua modella. La loro è una storia intensa e travolgente, ma che troppo spesso sfocia nella violenza e nei tradimenti da parte di lui. Jeanne sopporta tutto e rimane al suo fianco.

Il 24 gennaio 1920 Modigliani muore di tubercolosi, aggravata da una vita di eccessi e dall’estrema povertà in cui i due hanno vissuto negli ultimi anni. Ha ventun anni Jeanne, una bambina di tre anni ed è incinta di otto mesi. Ha un talento che non è mai riuscita ad esprimere perché messo in ombra da quello di Modigliani e dalla sua vita di sregolatezze. Si considera una donna finita. Non può sopportare una vita intera senza di lui. Jeanne compie l’estremo sacrifizio di gettarsi dalla finestra della casa che condividevano insieme.

Eloisa e Abelardo

Edmund Blair Leighton, Abelardo ed Eloisa, olio su tela
Edmund Blair Leighton, Abelardo ed Eloisa, olio su tela

One of a thwarted love
Una di amore contrastato

Parigi è città di cultura e di grandi amori e passione, e ha trovato un modo tutto suo di adottare questa storia che così bene la rappresenta.

Eloisa è poco più di una ragazza, curiosa e affascinata dallo studio quando nel 1117 viene affidata agli insegnamenti di Pietro Abelardo, scelto come maestro dal suo tutore per il suo metodo innovativo e il suo pensiero controcorrente rispetto alla tradizione europea dell’epoca. Eloisa, che già è conosciuta per la sua cultura letteraria senza pari, con Abelardo oltre alla logica conosce per la prima volta l’amore.

Si trovarono uniti, prima nella stessa casa, poi nello stesso cuore. Con il pretesto delle lezioni si abbandonano completamente l’uno all’altra. Se in amore si può inventare qualcosa, loro la inventano nel tempo che passano insieme.

Quando il tutore di Eloisa scopre la loro relazione si vendica con Abelardo facendolo evirare da dei sicari ed entrambi sono costretti a ritirarsi a vita di clausura per evitare ulteriori scandali. Non si rivedranno mai più.

Eloisa diventa una monaca e un’intellettuale attiva e successivamente badessa del convento. Lei e Abelardo non rinunceranno mai di vivere il loro amore, anche se a distanza, attraverso pagine e pagine di straordinarie lettere d’amore e di filosofia che sono arrivate fino ai giorni nostri. Qui Eloisa riflette sul senso della sua vita monastica, sulla morale in voga all’epoca senza rimpiangere mai il suo amore. Nelle sue lettere propone un punto di vista che va completamente contro la dottrina cattolica dell’epoca. Perché il peccato sessuale, che viene considerato impuro, si dissolve di fronte alla verità dell’amore disinteressato che non ha mai smesso di provare per Abelardo.

La storia dell’amore infelice dei due amanti assume presto una sfumatura di leggenda, tanto che alcuni studiosi dubitano della veridicità delle lettere. Ma ai parigini questa cosa non importa, tanto che hanno voluto traslare le salme dei Eloisa e Abelardo nel cimitero più importante della città, per poter continuare a tramandare la loro storia.

Jane Avril

Henri de Toulouse Lautrec, olio su cartone, 1892
Henri de Toulouse Lautrec, olio su cartone, 1892 (dettaglio)

One from the hands of a brute in a brothel,
Una dalle mani di un bruto in un bordello,

Devo prendermi un po’ di libertà dai versi di Edgar Lee Master per raccontare questa storia. È la storia di Jane Beaudon, che fuggendo da violenze e maltrattamenti riesce a trovare il suo riscatto in un bordello.

Jane nasce nel 1868 ed è figlia di una prostituta e un aristocratico italiano, che sebbene non la riconosce mai ufficialmente, le permette di vivere per i primi anni della sua vita nella casa dei nonni paterni. A nove anni viene affidata alla madre che non la accetta mai e i cui continui maltrattamenti e le violenze la portano a fuggire di casa e a venire rinchiusa in un collegio. Qui cominciano a manifestarsi le prime crisi nervose che si aggravano sempre di più fino a portarla a venire ricoverata all’ospedale psichiatrico di Salpetriere, a Parigi.

Gli ospedali psichiatrici di fine ‘800 sono spesso luoghi senza via di uscita, più simili ad un carcere che ad un ospedale. Jane però riesce a trovare una cura e una vocazione nella musica, grazie al ballo del martedì grasso, che l’ospedale organizza annualmente per le pazienti epilettiche. Ironia del destino, lei che era entrata con la diagnosi di “Corea di Sydenham”, all’epoca conosciuta come “Ballo di San Vito”.

Ed è proprio grazie al ballo che trova il suo riscatto. Viene riaffidata alle cure della madre, da cui scappa di nuovo. Trova una famiglia tra le cortigiane e le frequentatrici dei locali notturni parigini, in un’epoca in cui la differenza tra ballerina e prostituta è assai sottile. Viene presto notata da Harold Zidler, celebre impresario e fondatore del Moulin Rouge che la scrittura per il suo locale.

Il suo ballare si differenzia da quello di tutte le altre ballerine, per la combinazione di liricità e sensualità che non sfocia mai nel volgare. Questa caratteristica sarà quella che le permetterà, una volta raggiunta la fama, di portare il cancan nei teatri europei, sempre con grandissimo successo. Jane adotta lo pseudonimo di Jane Avril, come secondo la leggenda le fu suggerito da uno dei suoi amanti, di origine inglese.

A rendere immortale l’immagine di Jane è l’incontro con uno dei più celebri e celebrati frequentatore del Moulin Rouge, Henry Toulouse-Lautrec, che la ritrae in quello che è probabilmente la più famosa delle sue opere, ma che in quel periodo è solo un cartellone pubblicitario. Jane Avril diventa amica e musa ispiratrice del pittore francese, fino al giorno della morte di lui.

Jane continuerà ad esibirsi sia nei locali parigini, dal Decadents fino alle Folies Bergère, che in tutta Europa, prima di ritirarsi a vita privata nel 1911 dopo il matrimonio con il pittore Maurice Bias. Muore nel 1943.

Gerda Taro

Gerda Taro fotografata da Fred Stein
Gerda Taro fotografata da Fred Stein

One of a broken pride, in the search for heart’s desire,
One after life in far-away London and Paris
Was brought to her little space

Una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi,
ma fu riportata nel suo piccolo spazio

Non ci sono foto sulla tomba di Gerda Taro, che si trova quasi dimenticata in una sezione del cimitero poco frequentata vicino al Mur des Feders, dedicata ai combattenti della resistenza. Solo un cippo che ricorda la pietra militare spagnola degli anni ‘30 su cui è inciso il suo nome, le due date troppo ravvicinate e un epitaffio reso illeggibile oramai da tempo. A vegliare sulla tomba una Maiastre, un uccello simile ad una colomba delle fiabe popolari rumene che ha il compito di proteggere gli eroi. Qualche sasso, lasciato da un passante rispettoso delle tradizioni ebraiche.

Gerda prima di essere Gerda Taro e di raccontare la resistenza attraverso la sua macchina fotografica, fu Gerda Pohorylle, una ragazza ebrea tedesca di origine polacca e dalle idee molto chiare. Socialista, antifascista e libera.

Con la salita al potere del regime nazista, la sua militanza nel Partito Comunista Tedesco e le sue origini ebraiche e si fanno presto notare e dopo un arresto con l’accusa di attività sovversive e propaganda antinazista, si trova costretta a fuggire a Parigi. Qui conosce Endre Friedman, fotografo squattrinato che come lei é dovuto fuggire dalla germania nazista perché ebreo e come lei ha conosciuto il carcere.

L’intesa è immediata e i due diventano compagni di vita e lavoro. Lui le mette in mano una leica, una macchina fotografica compatta molto in voga all’epoca e Gerda scopre il suo modo per raccontare il mondo, contaminando quello di Endre con il suo entusiasmo e i suoi ideali. Insieme, un po’ per gioco, un po’ per opportunità, inventano il personaggio di Robert Capa, fotografo americano attraverso il quale insieme firmeranno le prime foto.

Fred Stein, Gerda Taro a Parigi, 1935. Gerda Taro è sepolta al cimitero di Père Lachaise a Parigi
Fred Stein, Gerda Taro a Parigi, 1935 (dettaglio).

Nel 1936 scoppia la guerra civile spagnola e i due accorrono al fianco dei repubblicani. Insieme diventano testimoni, attraverso le loro macchine fotografiche della guerra in corso.  in questo periodo che Endre Friedman assume lo pseudonimo di Robert Capa e Gerda Pohorylle quello di Gerda Taro. Per lo stesso motivo per cui non vuole sposarlo mai. È una donna libera. La sua compagna, al suo fianco, al pari di Endre, nel lavoro e nella vita. Non può e non vuole sottomettersi a nessuno, che sia un marito o uno pseudonimo comune.

Talentuosa, spigliata, sempre in prima linea, di grande coraggio Gerda Taro si fa presto conoscere e amare da tutti. Diventa la prima reporter di guerra donna, ma anche la prima a morire sul campo.

Nel 1937 era di ritorno da Brunette, città a una ventina di km da Madrid, insieme alle truppe repubblicane. Aveva immortalato la città distrutta i bombardamenti dell’aviazione nazista al termine della battaglia appena conclusa, quando un aereoplano tedesco volò a bassaquota aprendo il fuoco. Un carro armato repubblicano urta la macchina a cui era aggrappata e Gerda cade, rimanendo schiacciata dai cingoli dalla vita in giù. È chiaro a tutti subito che non c’è più nulla da fare, ma lei rimane lucida e cosciente, tamponandosi le ferite e preoccupandosi di mettere in salvo la macchina fotografica. Muore durante la notte.

Quelle foto sarebbero diventate il suo reportage più conosciuto e importante, ma lei non lo seppe mai.

Al suo funerale parteciparono più di 200.000 persone e il nome di Gerda Taro viene ricordato e preso ad esempio da tutti i militanti della resistenza, tanto che la sua è l’unica tomba di tutto il cimitero a venire sfregiata dal regime collaborazionista, che ne cancella l’epitaffio. Finita la guerra viene però presto messo in ombra da quello di Robert Capa, che non ha smesso di lavorare come fotoreporter fino alla sua morte.

All, all are sleeping, sleeping, sleeping on the hill.
Tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.

 


Leggi anche: Dormono, dormono al cimitero monumentale di Milano

In copertina: Christophe Becker, Père-Lachaise, 11 novembre 2017.

Maria Elena Villa
Maria Elena Villa

Ho avuto la fortuna di nascere e crescere in un posto un po' magico vicino a Milano, dove i compleanni si festeggiano su montagne di granturco, si gioca a fare teatro e i racconti dei nonni si tramandano intorno ad un camino acceso. Amo le belle storie, in qualsiasi modo vengano raccontate.