Esistono personaggi dei romanzi che leggiamo con cui è difficile non entrare in empatia fin dalla prima riga, che accendono in noi la speranza di incontrare, prima o poi nella vita, una persona altrettanto arguta, sensibile o intelligente. Henry, il sessantenne colto e squattrinato protagonista del romanzo Perdersi di Elizabeth Jane Howard, è sicuramente uno di questi.
Con una narrazione appassionante ed introspettiva, Henry ci racconta della storia che vive, dapprima soltanto nella sua fantasia e poi anche nella realtà, con Daisy, una famosa drammaturga. Con il suo savoir-faire, forte delle esperienze passate e di una conoscenza profonda delle storie d’amore della letteratura, Henry riuscirà pian piano di sciogliere le remore e la diffidenza della donna, ormai assuefatta alla propria solitudine, che riscoprirà la forza dell’innamoramento.
Ritengo di aver sempre posseduto una comprensione intuitiva delle donne di cui mi sono innamorato. […] le ho conosciute meglio di quanto esse stesse si conoscessero. […] Dalle loro confidenze, a volte semplicemente da come reagiscono, ho capito già molti anni fa con quanta poca cura siano trattate. […] Nascono così le fanciulle di ghiaccio, le arpie, le ninfomani, i grigi angeli del focolare e le madri di famiglia isteriche e sentimentali. La responsabilità di tali tristi risultati è degli uomini, e per questo io li critico.
Man mano che la narrazione procede, però, Henry si trasforma, e, inaspettatamente, rivela un’essenza molto diversa da quella che avevamo intuito, decisamente più oscura… le idee che avevamo maturato fino a quel momento sul protagonista, sul suo animo empatico e sensibile e sulla sua capacità di toccare le corde più profonde delle donne, vengono bruscamente ridimensionate. Ecco così che un racconto che dall’esordio pareva essere l’essenza del romanticismo cambia direzione, si complica e smuove l’animo di chi legge.
Elizabeth Jane Howard si racconta nel personaggio di Daisy, con cui condivide la cocente delusione di una storia d’amore naufragata e il bisogno di affetto. Gli elementi autobiografici rendono la storia — già di per sé piacevole per la scorrevolezza e l’eleganza della prosa— ricca di sfaccettature e tratti delicatamente introspettivi. “Perdersi” può dunque a mio avviso essere considerato un romanzo all’altezza della saga dei Cazalet, la serie di romanzi familiari grazie a cui l’autrice ha ottenuto un grandissimo successo.
I bugiardi sottraggono valore alle parole, perché nel momento in cui sappiamo che hanno mentito su qualcosa, non è più possibile sapere se ci sia mai stata verità, e se c’è stata a che punto sia finita.
Il confine che separa il mentire agli altri e il mentire a sé stessi è assai labile, e spesso il bugiardo finisce per credere a ciò che dice, ad immedesimarsi negli scenari immaginifici e spudoratamente falsi che racconta. A quel punto per gli altri diventa immensamente complesso capire dove stia la verità, individuare il confine tra ciò che è accaduto realmente e ciò che è frutto della fantasia, discernere il vero dal falso.
Elizabeth Jane Howard ci catapulta nella mente di un bugiardo e ci dà la possibilità di osservarne gli ingranaggi, facendoci capire che, in fondo, la linea di demarcazione tra realtà e bugia non è che un miraggio.
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Elizabeth Jane Howard (Londra, 1923 – Bungay, 2014) è stata una scrittrice inglese, molto attiva nella vita cultuale londinese della seconda metà del Novecento e nota per La saga dei Cazalet. I suoi romanzi, da sempre di successo, hanno solo di recente ricevuto il plauso della critica. Fazi Editore ha pubblicato diversi suoi libri: Il lungo sguardo, All’ombra di Julius, Cambio di rotta, Le mezze verità e Perdersi.