Per quanto noi siamo i padroni, siamo loro schiavi
E dobbiamo stare a sentirli, anche se sono muti.(Sofocle, I Pastori)
La battaglia di Sellasia del 222 a.C., in cui gli spartani di Cleomene III lottarono contro i macedoni di Antigono e gli achei di Arato di Sicione[1], segna la fine di una pagina molto tumultuosa e violenta della storia della polis lacedemone[2], costretta a fare i conti con una realtà interna decadente, divorata dal vizio e dalla crisi, da una staticità sociale opprimente e paralizzante.
L’intento riformatore che accomuna la figura di Agide IV, re dal 244 al 241 a.C., a quella di Cleomene III, re dal 235 al 222 a.C., scaturisce da motivi profondamente diversi, seppure stimolati dalla medesima situazione: Sparta, una volta egemone nel Peloponneso, è costretta a un ruolo politico marginale, spettro dell’antica potenza, poiché non è più in grado di mantenere il ruolo tradizionale di guida.
In verità, una crisi del modello spartano, rigido nelle sue regole come statico nella divisione sociale, si era avuta all’indomani della Guerra del Peloponneso[3] (431-404 a.C.), quando, vinti gli ateniesi, gli spartani non riuscirono a mantenere il ruolo di guida nell’Ellade. Ciò scaturiva dalla rigidità della società spartana che aveva minato sin dalle origini qualunque sviluppo di natura politica, culturale e persino antropologica al suo interno, rendendo la città schiava delle sue regole.
Agide, però, agisce senza ricorrere alla violenza ed è ricordato da Plutarco come un eroe tragico, senza alcun vizione colpa, se non quella di essersi fidato di terzi. Cleomene invece, assume sin da subito una politica autoritaria che sfocia nella violenza (la distruzione di Megalopoli[4])e in un progetto molto ambizioso: porre Sparta di nuovo come guida della Grecia (o almeno del Peloponneso). Entrambi periranno nel tentativo di ripristinare ciò che per loro era giusto e grande: la Sparta eroica e gloriosa di un tempo, forte della sua immobilità e (perché no?) della sua eguaglianza sociale.
Ma procediamo con ordine: Plutarco, autore di epoca romana, presenta le figure dei due re riformatori come simili e dissimili allo stesso tempo: entrambi vogliono risollevare la propria patria dallo stato turpe in cui versa; vogliono liberarla dalla mollezza, dal vizio, dalla cupidigia che aveva dato luogo ad un enorme squilibrio sociale tra i troppo ricchi e i nullatenenti. Per fare ciò scelgono di riportare in auge l’antica e mitica costituzione di Licurgo[5], abolire i debiti e redistribuire la terra (provvedimento di grande valore per un greco, perché solo con il possesso della terra diveniva cittadino di pieno diritto).
Il termine riforma (come quello di eguaglianza sociale) assume in questo contesto un valore assai ambiguo e fuorviante: le riforme per Agide e Cleomene consistono nel tentativo di ripristinare uno stato egualitario che era stato per molti secoli la forza della città.
Uno stato in cui gli spartiati, la classe dominante, godeva degli stessi diritti e delle stesse proprietà, senza che al suo interno ci fosse disparità economica (e di conseguenza sociale). Ma il suddetto stato egualitario non ha nulla in comune con quello prospettato da Marx, né con il concetto di eguaglianza moderno: gli spartiati non mettevano in comune la terra (o molto altro), né condividevano i loro diritti con gli strati inferiori della società costituita da perieci (schiavi semi-indipendenti) e iloti (schiavi messeni[6]).
Agide e Cleomene sono per noi dei riformatori perché sono figure di rottura, che lottano contro la marea che li sommerge e tentano di porre fine ad una situazione per loro sempre più misera e ingiusta. Non sono riformatori come i moderni politici, né rivoluzionari, perché il loro intento non è mai stato quello di creare un ordine nuovo, ma di ritornare all’antico.
Le riforme dei governi novecenteschi e dell’attuale governo italiano hanno natura e vita molto differente rispetto ai provvedimenti dei due re spartani: sono atti di miglioria e adeguamento alla mutevole realtà del presente, una possibile soluzione al degrado e allo squilibrio sociale interno alla nostra società. Questa è infinitamente stratificata, immensamente variegata e sfaccettata: un organismo titanico rispetto alla piccolissima Sparta. Porre un parallelo tra i due sistemi politici sarebbe sconveniente ed inappropriato.
Probabilmente molti altri personaggi si sono ispirati alla figura descritta da Plutarco: ad Agide per il temperamento mite e a Cleomene per il coraggio.
Altri punti di contatto? Il popolo. I due re spartani si piegarono ad esso; in modo particolare ai ricchi e ai potenti (dai quali furono addirittura ostacolati). Non poterono farne a meno e in questo sbagliarono. Divennero speranza per molti (anche al di fuori dei confini di Sparta) ed infine fallirono. Oggi i governi nazionali, per quanto la situazione sia diversa, prestano attenzione all’intera popolazione? I loro progetti di riforma si rivolgono realmente a tutti?
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