Smetto quando voglio è il primo capitolo di una trilogia, anche se il terzo film non è ancora uscito, tutta italiana. Il film ha una struttura classica e una storia leggera, quindi, attenzione: se volete qualcosa di impegnativo che ‘purghi’ le vostre passioni in senso strettamente aristotelico, questo film non è al caso vostro; se invece volete alleggerire qualche ora della vostra vita, questo film è l’ideale.
Innanzitutto è made in Italy, il che, diciamolo, non guasta per niente se consideriamo la qualità della maggior parte delle produzioni nostrane dopo il predominio televisivo di Berlusconi e, in secondo luogo, è un made in Italy ben studiato sia per quanto riguarda l’aspetto narrativo dato che Sidney Sibilia, il regista, nasce come sceneggiatore, sia per quando riguarda l’aspetto strettamente legato alla produzione.
La trama, tradizionale e lineare, si concentra su un gruppetto di promettenti ricercatori universitari i quali, dopo essersi visti chiudere le porte dall’Università e dai professori, decidono, guidati dal capobanda Pietro Zinni, interpretato da Francesco Leo, di coalizzarsi in una banda e di produrre e spacciare smart drugs. Questo solo nel primo capitolo, in quanto nel secondo, Smetto quando voglio – Masterclass ci saranno dei capovolgimenti che non sarebbe giusto svelare ma che ne costituiscono in qualche modo un’antitesi.
Il film è una commedia diversa, non prende infatti spunto dal nostro, come lo definisce in un saggio Alan O’Leary, Italian national cinema: The Cinepanettone, e non ha nemmeno il classico impianto narrativo statunitense ma è un ibrido, ben riuscito, tra una struttura produttiva e narrativa accattivante hollywoodiana e un contenuto tutto nostro che parla di precarietà, di raccomandazioni e di una serie di problemi che corrodono la nostra società e che non potrebbero essere altrimenti digeriti dal pubblico italiano, avvezzo com’è, quest’ultimo, a essere spettatore principalmente di commedie.
Sotto questo modo di comunicare colorato e leggero si nascondono comunque dei significati più profondi, constatazioni tragiche immerse in un mare di una commedia fatta bene e tenuta in piedi dall’inizio alla fine.
Smetto quando voglio ha alle spalle una buona produzione, gestita principalmente dal giovane Matteo Rovere che ha curato in ogni parte, soprattutto per quanto concerne il primo e il secondo capitolo, l’aspetto di marketing, dirigendo gli investimenti pubblicitari più verso i social che verso le piattaforme pubblicitarie tradizionali. Utilizzando i social network, questa strategia pubblicitaria ha permesso una crescita di interesse da parte del pubblico attraverso delle foto, create in stile ‘memes’, con battute accattivanti del film, e dei piccoli spezzoni a mo’ di trailer in pillole.
Molto interessante anche la scelta di farne una saga, forse dettata dal consumo massiccio di serialità televisiva che viene fruito in questi anni che ha costretto persino Hollywood a reagire spesso in questo modo nelle sue scelte produttive cinematografiche, oppure scelta semplicemente dettata dai buoni incassi del film che non si è voluto vedere spegnere, nella sua luce nascente, così in fretta.
A prescindere da come siano andate le cose, quest’onda di novità resta senza dubbio tra le migliori di questi anni. Attendiamo il capitolo successivo e speriamo che le produzioni italiane crescano sempre di più e in meglio.