Mononoke - Miyazaki

Miyazaki ambientalista: la questione ecologica nei film dello Studio Ghibli

La cultura giapponese propone una visione molto diversa rispetto a quella occidentale del rapporto tra essere umano e ciò che siamo abituati a definire “natura”. Questa differenza è data in particolare da due fattori:

1)

Da una parte dalla religione Shintoista, una forma di politeismo animista tipico dell’arcipelago nipponico, che riconosce la presenza di uno spirito (kami) in ogni essere. Il concetto stesso di natura sfuma fino a perdere di significato in un contesto culturale in cui “l’anima” non è considerato un attributo specifico degli esseri umani, ma è riconosciuto anche ad animali, piante, oggetti, luoghi e divinità. Se nella cultura occidentale l’ordine naturale è gerarchico e prende forma nella cosiddetta Scala Naturae, cioè un sistema piramidale che vede i gradini più bassi occupati dagli esseri più semplici (i minerali) e poi da creature sempre più complesse (vegetali, animali, essere umano, creature angeliche) fino all’essere supremo (Dio), il modello shintoista è orizzontale.

Per la filosofia dello Shinto una volpe, una quercia, una pietra, un essere umano, un fiume, un ombrello, un dio e persino una creatura artificiale come un robot fanno parte dello stesso ordine ontologico. È possibile che un individuo elevi se stesso ad un piano dell’essere superiore, ma la trascendenza riguarda sempre e comunque quell’individuo specifico. Secondo il folklore giapponese, una volpe che viva abbastanza a lungo può sviluppare poteri sovrannaturali e trasformarsi nello spirito-volpe kitsune, così come un ombrello, superati i cento anni di età, può animarsi e cominciare a saltellare sul proprio manico tramutato in uno yokai, ma il processo è identico a quello di un essere umano che allena per anni la sua mente per diventare un maestro zen o che affina la propria tecnica con la spada diventando un samurai.

2)

L’altro fattore da prendere in considerazione è la storia geopolitica del Paese del Sol Levante. Fin dall’antichità le isole dell’arcipelago giapponese sono state sconvolte da eventi naturali estremi: terremoti, tsunami, eruzioni vulcaniche. Lo stesso mare che dava sostentamento alle popolazioni della costa attraverso la pesca poteva trasformarsi da un momento all’altro in un nemico mortale e incontrollabile. Il monte Fuji, la montagna più sacra del Giappone, è in realtà un vulcano attivo che ha eruttato per l’ultima volta nel 1707. Come per molte altre culture nel mondo, col tempo questi eventi naturali vennero trasformati in divinità, fonte di terrore, gratitudine e rispetto.

Bisogna inoltre considerare che fino al 1853, anno in cui il commodoro Perry sbarcò nella città di Edo (oggi Tokyo) con le sue “navi nere”, il Giappone era stato un paese fortemente isolazionista, in cui gli scambi commerciali con l’esterno erano regolati rigidamente ed il modello sociopolitico e tecnologico era sostanzialmente fermo a ciò che in occidente definiremmo Medioevo. In meno di cento anni il paese si trasformò in una delle potenze tecnologiche e militari più avanzate del mondo, un balzo in avanti che ebbe un impatto fortissimo non solo sulla società, ma anche sull’ambiente.

Nel 1945 la Seconda Guerra Mondiale culminò con la detonazione delle bome atomiche su Hiroshima e Nagasaki, evento che segnò profondamente l’identità dei giapponesi e la loro visione sul tema del progresso tecnologico e della guerra. Nella nuova costituzione del paese che seguì alla resa dell’impero, il Giappone si dichiarava stato pacifista e si impegnava a non dotarsi di un esercito: una scelta controversa, in gran parte voluta dagli Stati Uniti e che già pochi anni dopo venne messa in discussione dalla Guerra di Korea, ma che rivelava una profonda riflessione sul tema.

Nausicaa miyazaki

La particolare visione del mondo della cultura nipponica emerge con forza nei prodotti culturali giapponesi, anche in quelli di maggiore successo all’estero. In passato abbiamo già parlato di come queste tematiche siano incorporate non solo nel world-building, ma nello stesso gameplay dell’universo Pokémon, oggi parleremo invece di come la questione ambientalista è affrontata all’interno dei film dello Studio Ghibli.

I film dello Studio Ghibli sono ormai classici dell’animazione, conosciuti ed apprezzati da critica e fan di tutto il mondo. Il tema dell’ambientalismo, benché presente in forme diverse in pressocché ogni titolo firmato Ghibli, rischia a volte di rimanere oscurato all’interno di opere tanto ricche di significati e raffinatezza estetica. Eppure Hayao Miyazaki, fondatore dello studio e regista di molti dei suoi capolavori, è un ambientalista convinto il cui impegno si estende ben oltre i film da lui diretti. In particolare dopo il disastro nucleare di Fukushima, Miyazaki non ha esitato a schierarsi contro le politiche ambientali del governo del primo ministro Shinzo Abe, con una forza tale da sorprendere i tanti che lo consideravano ormai un ambasciatore del Giappone nel mondo, un “tesoro nazionale”, che poi è un altro modo per definire un vecchio artista ormai prossimo alla pensione, buono solo per sorridere e stringere mani agli eventi ufficiali. Non solo Miyazaki continua a parlare apertamente di pacifismo e ambientalismo durante le sue interviste, con ancora più veemenza di quanto non facesse agli inizi della sua carriera, ma ha anche deciso di convertire l’intera filiera produttiva dello Studio Ghibli in modo da renderla ecologicamente sostenibile.

Benché il rapporto complesso tra uomo e natura sia un vero e proprio leitmotiv dello studio, nel corso delle prossime righe ci soffermeremo su quei film che problematizzano esplicitamente la questione dell’impegno ambientalista. I titoli sono disposti in una sorta di climax che parte da La città incantata, in cui questa tematica è centrale ma nella forma di sottotesto ricorrente, fino a titoli che affrontano la questione anche nei suoi risvolti più problematici, arrivando a parlare di lotta ambientalista, ecoterrorismo ed eco-fascismo.

La città incantata

La città incantata è certamente il film dello Studio Ghibli più celebre al di fuori del Giappone, è infatti l’unico film d’animazione giapponese ad avere vinto un Oscar. Racconta le avventure di Chihiro, una ragazzina che si ritrova improvvisamente catapultata nel mondo degli spiriti e che dovrà prestare servizio nel centro termale gestito dalla potente maga Yubaba per salvare i suoi genitori, trasformati in maiali.

Molte scene del film possono essere lette come una critica diretta al sistema capitalista e allo sfrenato consumo delle risorse da parte degli esseri umani. I genitori di Chihiro vengono trasformati in maiali perché decidono di mangiare il cibo preparato per gli spiriti, ingozzandosi senza vergogna. In un’altra scena, un misterioso visitatore senza volto giunge alla locanda e comincia ad elargire pepite d’oro a chiunque incontri in cambio di cibo e devozione. Mano a mano che la creatura viene nutrita, però, essa diventa sempre più grossa e spaventosa, fino a tramutarsi in un gigantesco mostro fatto di una sostanza nera simile al petrolio, che divora chiunque si trovi sul suo cammino. Chihiro risulta immune sia all’incantesimo che ha trasformato i genitori in maiali sia al fascino del mostro senza volto perché il suo animo di bambina è libero dalla logica estrattivista e dell’accumulo di capitale fine a se stesso che invece caratterizzano il mondo degli adulti.

All’interno dei film di Miyazaki l’innocenza dell’infanzia è spesso presentata come la chiave di accesso ad una verità più vera e più profonda. Questo appare chiaramente nel corso dell’incontro tra Chihiro e altri due personaggi del mondo degli spiriti. Il primo è quello con lo Spirito del Cattivo Odore: una creatura disgustosa, simile ad un blob di melma che si reca alla locanda di Yubaba diffondendo il panico tra clienti e personale. A Chihiro viene affidato il compito impossibile di lavare questo spirito fatto di sporco e, superato il ribrezzo, decide di rimboccarsi le maniche e dedicarsi all’operazione. Nel mezzo del lavaggio, la ragazzina si accorge di qualcosa di strano: il manubrio di una bicicletta sporge dal corpo della creatura. Chiamando a raccolta il resto del personale, Chihiro riesce finalmente ad estrarre il rottame dal corpo del mostro, insieme a molti altri rifiuti. La creatura rivela allora la sua vera identità: non si tratta infatti di uno Spirito del Cattivo Odore, ma del nobile spirito di un fiume inquinato dagli esseri umani. L’impegno e la cura di Chihiro è una metafora evidente del contributo che il singolo può apportare per rendere il mondo un posto migliore, a patto di superare pregiudizi ed incertezza.

Il secondo incontro è quello con Haku, il misterioso ragazzo-drago servitore di Yubaba. Chihiro prova da subito una misteriosa attrazione per questo personaggio, che presto si trasformerà in amicizia e in un sentimento molto simile all’amore. Più avanti si scoprirà che Haku e Chihiro si sono già incontrati: da bambina Chihiro cadde in un fiume e rischiò di morire annegata, ma le acque la condussero a riva sana e salva. Haku è lo spirito di quel fiume che, dopo essere stato interrato dagli esseri umani, ha perduto la sua identità e la sua memoria ed è stato soggiogato da Yubaba.

Ponyo sulla scogliera

Un rapporto per tanti aspetti simile a quello tra Chihiro e Haku è quello che lega Ponyo a Sosuke. Ponyo è la figlia di una dea del mare e di un mago-scienziato che vive sotto la superficie dell’acqua. Un giorno Ponyo si innamora di un bambino umano, Sosuke, e, trasformata in bambina a sua volta, decide di scappare sulla terra ferma per raggiungere il suo amato. A prima vista Ponyo sulla scogliera può apparire come una rivisitazione della celebre fiaba La Sirenetta di Andersen, ed in parte lo è, ma qui la tematica ambientalista diventa ancora più evidente.

Il padre di Ponyo, Fujimoto, un tempo era un essere umano che, disgustato dai suoi simili, decise di ritirarsi nelle profondità degli abissi per studiare con le tecniche della scienza e della magia i misteri del mare. Nel suo laboratorio subacqueo conduce esperimenti con l’obiettivo di purificare tutte le acque del pianeta, di rigenerare la vita marina ed innescare una nuova era geologica, opposta all’Antropocene, che spazzerà via la specie umana dalla Terra. Fujimoto è quello che si può definire un eco-fascista: un ambientalista che, in nome di un fine più alto, cioè della salvezza della Terra nel suo complesso, è disposto a sacrificare un’unica specie, quella umana. E non senza buone ragioni. La telecamera di Miyazaki si sofferma spesso ad inquadrare rifiuti di ogni tipo che galleggiano nel mare, il risultato dell’azione umana sull’oceano.

La posizione di Fujimoto verrebbe definita dal linguaggio filosofico contemporaneo “post-umanista”, proponendo una visione del mondo che non vede l’essere umano al centro dell’universo ma, al contrario, il pianeta Terra nel suo complesso (e l’ecosistema marino in particolare). È anche un “transumanista”, cioè un essere umano che attraverso la sua ricerca è riuscito a trascendere la condizione di homo sapiens avvicinandosi alle creature marine che tanto ammira, infatti può respirare sottacqua e può camminare sulla terra ferma solo aspergendo il suolo con acqua di mare.

La relazione tra Ponyo e Sosuke sconvolgerà l’ordine naturale, rischiando di generare una catastrofe senza precedenti. Eppure, proprio come era stato per Chihiro ne La città incantata, l’amore disinteressato tra i due bambini porterà lo stesso Fujimoto a pensare che forse l’umanità non è spacciata, che le nuove generazioni potrebbero davvero salvare il pianeta, se impareranno ad amare la natura in modo disinteressato.

Nausicaä della Valle del Vento

Meno semplicistica è la soluzione proposta in Nausicaä della Valle del Vento. Prodotto nel 1984 in piena guerra fredda e basato sull’omonimo manga disegnato da Miyazaki, il film nasce prima ancora della fondazione ufficiale dello Studio Ghibli, ma ne anticipa in larga parte lo stile e le tematiche. Nausicaä è la principessa di un regno degli uomini, uno dei pochissimi rimasti dopo che un misterioso disastro ha spazzato via gran parte della civiltà umana. I sopravvissuti vivono arroccati in piccoli villaggi, schiacciati dall’avanzata incontrollabile di una gigantesca foresta tossica.

Nausicaä, mossa da un desiderio puro di conoscenza e armata di maschera antigas per proteggersi dalle spore velenose, è tra i pochissimi che osano avventurarsi all’interno della foresta per studiarne il complesso ecosistema. L’elemento che la caratterizza è lo stesso che caratterizzava i protagonisti dei due film precedenti: uno sguardo innocente e senza preconcetti, che le consente di entrare in risonanza con gli altri esseri viventi, tuttavia in questa pellicola la questione è più complessa per almeno per due motivi. Da una parte perchè, anche se Haku de La città incantata e Ponyo di Ponyo sulla scogliera rappresentavano emanazioni del “mondo naturale”, i loro personaggi erano comunque fortemente antropomorfizzati, facilitando di molto la possibilità di stabilire una connessione con i loro rispettivi personaggi umani e con il pubblico. Al contrario, l’ecosistema distopico della foresta tossica di Nausicaä e gli insetti giganti che la popolano non hanno nulla di umano nell’aspetto e negli intenti, non offrono nessun facile appiglio per innescare l’empatia. Dall’altra parte il legame emotivo che Nausicaä riesce ad instaurare con il mondo non-umano è solo la prima fase di un processo più lungo che la porterà a raggiungere quella “verità profonda” che illuminano Chihiro e Sosuke alla fine delle rispettive pellicole. L’empatia porta alla curiosità, la curiosità porta alla scienza: proprio come Fujimoto, Nausicaä dovrà studiare a lungo prima di riuscire a svelare i misteri del mondo che abita.

La ragazza scopre così che la catastrofe che ha portato l’umanità sull’orlo dell’estinzione è stata in realtà causata da armi terrificanti create dagli stessi esseri umani e che i funghi della foresta tossica non sono naturalmente velenosi, stanno in realtà purificando il terreno contaminato dalle scorie generate dal disastro, in un lento processo rigenerativo. Anche qui la protagonista riesce a salvare il mondo condividendo la sua verità e convincendo i suoi simili ad abbandonare la logica dello sfruttamento incontrollato delle risorse: mentre gli altri esseri umani lavorano nell’ombra per trasformare i mostruosi abitanti della foresta tossica in armi per prevalere sugli altri regni, Nausicaä intesse alleanze tra umani e non-umani per rigenerare l’ecosistema globale.

La principessa Mononoke

Molte tematiche presenti in Nausicaä verranno poi riprese ed elaborate ne La principessa Mononoke. Il mondo in cui la storia si svolge è una rivisitazione fantasy del periodo Muromachi giapponese. Il protagonista è Ashitaka, principe degli Emishi, un’antica popolazione realmente esistita in Giappone costretta a ritirarsi in zone remote a causa dell’avanzata degli imperatori giapponesi. Un giorno il villaggio degli Emishi viene attaccato da una creatura mostruosa, che Ashitaka riesce ad uccidere, rimanendo però ferito. Una volta sconfitto, il mostro si rivela essere un cinghiale tramutato in demone dall’odio nei confronti degli esseri umani. Il “rancore” che aveva posseduto la creatura infetta anche la ferita di Ashitaka, prendendo le sembianze di una piaga che dona poteri sovrannaturali al principe, ma allo stesso tempo corrompe il suo corpo uccidendolo lentamente. Ashitaka decide di lasciare il villaggio per scoprire da dove proveniva il cinghiale e per trovare una cura alla sua ferita.

Giunge così alla Città di Ferro, un accampamento fortificato guidato da lady Eboshi. Eboshi è una leader potente e carismatica: da un punto di vista umano sarebbe certamente un personaggio “buono” della storia, la vediamo infatti offrire ospitalità a donne, bambini e ai malati di lebbra, fortemente stigmatizzati dalla società giapponese del tempo. La visione su questo personaggio cambia completamente, però, assumendo un punto di vista non-umano: nell’impresa di espandere la Città di Ferro, Eboshi è impegnata in una lotta spietata contro gli spiriti della foresta. Nemesi di Eboshi è la principessa Mononoke (mononoke hime, letteralmente “la principessa spettro”), una ragazza umana allevata dai lupi della foresta e alleata degli spiriti.

Anche in questo caso, come per Ponyo sulla scogliera con La sirenetta, il film può essere associato ad un’altra storia, quella della Pocahontas della Disney, ripresa poi anche dall’Avatar di Cameron. Emergono tuttavia numerose differenze che rendono La principessa Mononoke un’opera più matura. Se il Governatore Ratcliffe di Pocahontas e la corporate militarizzata terrestre di Avatar vengono immediatamente caratterizzati come i cattivi della storia, mossi da un’avidità ed una crudeltà senza senso e contrapposti ai sentimenti puri dei nativi, i personaggi di Miyazaki non sono mai dipinti in bianco e nero. Eboshi è allo stesso tempo un’eroina dal punto di vista umano e un villain spietato dalla prospettiva non-umana, e lo stesso avviene specularmente per i leader delle forze della foresta.

Non solo. Se i protagonisti (maschili) di Pocahontas ed Avatar riescono ad accedere alla “verità profonda” dei nativi grazie al sentimento irrazionale dell’amore, che li porta ad interessarsi dei loro usi e costumi, Ashitaka inizia il suo viaggio solo nel momento in cui il rancore nei confronti degli esseri umani infetta il suo corpo. Il “sistema tossico” capitalista, infatti, danneggia tanto gli esseri umani che ne fanno parte quanto gli ecosistemi e gli esseri non-umani. La storia del popolo degli Emishi, di cui Ashitaka è principe, ne è un esempio evidente: queste tribù native del Giappone vennero ridotte all’estinzione dall’espansione degli imperatori, proprio come accaduto a tante popolazioni del mondo in epoca coloniale e come continua ad accadere anche oggi in epoca postcoloniale. Ma più avanti nel film scopriremo che la logica estrattivista danneggia anche i suoi stessi fautori. Quando finalmente gli umani riescono ad impossessarsi del potere della natura tagliando la testa al dio della foresta, nel momento in cui la vittoria sembra definitiva, il corpo decapitato della divinità si trasforma in un demone cieco che distrugge ogni forma di vita, umana e non. La metafora è evidente: la lotta dell’uomo contro la natura è una lotta contro se stessi, che può risultare solo nell’autodistruzione. Può sembrare una conclusione ovvia, ma solo se si cambia punto di vista passando da una visione umana ad una post-umana, come quella di una ragazza allevata nella selva dai lupi o di un ragazzo infettato dall’odio per l’umanità.

Pom Poko

Tra i film dello Studio Ghibli analizzati qui, Pom Poko è l’unico ad essere stato diretto da Isao Takahata, co-fondatore dello studio, mentre Miyazaki figura come produttore esecutivo. Eppure questa è anche la pellicola in cui il tema della lotta ambientalista, già centrale in Nausicaä e Mononoke, emerge con più forza. L’intero film può essere infatti letto come un’analisi del tema della lotta per l’ambiente, all’interno della quale diverse linee di pensiero e approcci vengono presi in considerazione e confrontati.

Il film, il cui titolo originale è Heisei tanuki gassen Ponpoko, ovvero “Ponpoko, le battaglie dei nittereuti dell’era Heisei”, racconta le vicende di una popolazione di tanuki che, minacciata dall’espansionismo sfrenato della città di Tokyo, ingaggia una lotta furiosa contro gli esseri umani. I tanuki, in italiano “nittereuti” o “cani-procione” sono animali molto importanti per il folklore giapponese, si ritiene infatti che siano dotati di grande intelligenza, che sfruttano principalmente per giocare brutti tiri agli esseri umani, e di poteri sovrannaturali come l’arte della trasformazione.

La scena di apertura della pellicola vede due popolazioni rivali di tanuki scontrarsi tra di loro, mettendo in atto una battaglia assurda fino al comico, una pratica ritualizzata nel corso dei millenni. La narrazione si mette in moto quando un fattore esterno irrompe nell’habitat dei tanuki, rompendo quell’equilibrio che sembrava eterno. Un gruppo di operai umani armati di ruspe si mette al lavoro per trasformare il bosco e l’aperta campagna in un nuovo quartiere residenziale della città di Tokyo.

I tanuki decidono immediatamente di attivarsi per salvare la loro casa. Mettono da parte le futili discordie tra gruppi diversi e si alleano per combattere il nemico comune. Si riuniscono per elaborare un piano d’azione: decidono innanzitutto di proibire l’accoppiamento per controllare le nascite e limitare il numero di bocche da sfamare, cominciano a studiare di nascosto gli usi e i costumi degli esseri umani e, guidati dagli anziani, i giovani cominciano a reimparare l’antica arte della trasformazione, quasi dimenticata durante il periodo di pace. Quindi passano all’azione. Bande di tanuki cominciano ad infiltrarsi nei cantieri umani per sabotare i lavori, manomettere i macchinari e creare piccoli incidenti con lo scopo di rallentare l’opera.

In questa fase del film possiamo riconoscere le dinamiche di tanti gruppi di lotta ambientale, dai nativi americani schierati contro l’amministrazione Trump e la costruzione di un oleodotto sulla loro terra sacra, fino ai nostri No Tav, che da trent’anni si battono per impedire la costruzione della linea veloce Torino-Lione in Val di Susa (con scontri anche molto duri che si sono riaccesi proprio nell’ultimo periodo).

Pom Poko ambientalismoI lavori subiscono ritardi importanti e alcuni operai si licenziano per paura degli “spettri” che perseguitano il cantiere. Tuttavia l’opera non si ferma e così i tanuki sono obbligati a ricorrere a strategie più creative. Convocano i patriarchi di altri gruppi di tanuki dispersi nel Giappone per mettere le esperienze di ciascuno a fattore comune. Elaborano così un nuovo piano: utilizzeranno tutti i loro poteri per manifestare una gigantesca parata di spiriti per le vie della città, con lo scopo di spaventare gli abitanti.

Anche questa strategia ha molto in comune con alcuni movimenti ambientalisti, in particolare con le “azioni” del movimento Extinction Rebellion che, mettendo in atto performance artistiche, occupa le strade delle città rallentando le logiche del business e del profitto per attirare l’attenzione sul tema della crisi climatica. La sfilata degli spiriti dei tanuki ricorda la “Civil Dis(c)obedience” di Extinctinction Rebellion, in cui gruppi di ballerini festanti invadono le strade sulle note di Stayin’ Alive, o i performer delle Red Brigade, che sfilano silenziosi tra i manifestanti dei movimenti per il clima impersonando, con le loro vesti rosse e le facce bianche, le vittime del cambiamento climatico. Purtroppo, la manifestazione degli spiriti fallisce miseramente quando un imprenditore locale decide di rivendicare l’azione facendola passare per una campagna pubblicitaria per la sponsorizzazione di un nuovo parco di divertimenti.

Al culmine della frustrazione, un gruppo di tanuki giovani e forti inizia a dedicarsi ad azioni di ecoterrorismo. Utilizzando i propri poteri, il leader fonde il suo corpo con quello dei compagni prendendo le sembianze di un demone che comincia a distruggere i macchinari, uccidendo anche diversi esseri umani nell’operazione. Anche questo gesto estremo si rivela però vano, tutti i tanuki della banda rimangono uccisi ed i loro corpi giacciono ammassati sulla strada, come le carcasse di normali cani-procione. L’ecoterrorismo è una risposta violenta alla crisi climatica, un fenomeno destinato a diventare sempre più frequente nei prossimi anni con l’inasprirsi delle lotte ambientaliste, come racconta bene anche il film del 2018 La donna elettrica.

A questo punto, stremati da anni di lotte, i tanuki non possono che dichiararsi sconfitti. Utilizzano le ultime briciole dei loro poteri per mostrare agli esseri umani come erano le colline prima del loro arrivo, una visione che dura solo pochi minuti e da cui gli umani restano incantati. Mossi da tanta bellezza, gli umani decidono di impegnarsi per preservare le poche aree di natura rimaste e dedicarle alla conservazione dei tanuki, ma ormai è troppo tardi. I pochi esemplari rimasti si scindono in due gruppi: quelli in grado di trasformarsi assumono le sembianze degli esseri umani e cominciano a vivere in mezzo a loro, quelli invece che non sono dotati di questa capacità proseguono la loro vita ai margini della comunità umana, nutrendosi di rifiuti e abitando i parchi cittadini.

Un finale estremamente pessimista, quindi, che lascia intravedere solo un vaghissimo barlume di speranza. Nell’ultima scena, uno dei tanuki sfonda la quarta parete e si rivolge direttamente allo spettatore con un accorato appello, supplicando gli esseri umani di provare maggiore empatia per il mondo dei non-umani. Il destino del pianeta è nelle nostre mani.

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