Westworld

Westworld: la serie tv più vicina al mondo dei videogame

Un paio di doverose premesse: come chiunque dotato di occhi per vedere la dashboard avrà forse constatato, è da mesi che non scrivo una beata cicca.

E questa è fatta.

In secondo luogo, per quanto concerne Westworld, sono da annoverare in quella smilza schiera[1] il cui entusiasmo per la serie è andato scemando con decisione durante la seconda metà del ciclo di episodi (dalla sesta puntata in poi, probabilmente), per essere rinvenuto soltanto in occasione del maestoso, allucinante finale. Non fosse stato per l’ultimo episodio, probabilmente, non starei scrivendo queste righe.

O perlomeno, starei scrivendo queste righe diversamente.

Cominciamo.

Prodotta (tra gli altri)[2] da Jonathan Nolan, fratello “meno noto” del grande regista e suo co-sceneggiatore di fiducia, Westworld (2016) è ispirata all’omonimo film del 1973, diretto da Michael Crichton e dominato dalla presenza di Yul Brynner[3].

L’assunto di base di entrambe le produzioni?

C’è un parco a tema Western abitato da robot antropomorfi (o androidi, o esseri umani artificiali o, come da serie, Hosts) in cui ospiti facoltosi e spesso disinibiti (Guests, idem) possono giocare a fare i cowboy.

Già.

Anthony Hopkins
In questa serie c’è Anthony Hopkins. Già, proprio lui. Devo davvero invitarvi nuovamente a vederla?

Per gli aficionados della serie simili premesse sono una bestemmia; per i neofiti una presa in giro. Inviterei entrambe le categorie a continuare la lettura.

Buona parte di Westworld (serie) è giocata in sapiente opposizione al prodotto originale:[4] gli stilemi presentati nella pellicola sono citati, riutilizzati, stravolti e manipolati secondo nuove prospettive, dando vita a orizzonti differenti in cui strepitose preoccupazioni estetiche ed erudite teorizzazioni asimoviane si fondono per delineare qualcosa di totalmente nuovo, di totalmente coerente a una contemporaneità mutevole e televisivamente pregiata.

Westworld è una grande serie?

Nonostante le mie personali riserve sulla sua seconda metà, .

Estetica, personaggi, dialoghi, temi, ambientazioni: tutto si assesta ad altissimi livelli. Una miriade di storylines diverse scorre e si intreccia su due principali sistemi di panorami (quello brullo e selvaggio del parco e quello plumbeo e tecnologico delle sue “divinità”), conducendo a esiti maestosi e talvolta scioccanti[5].

E su queste caratteristiche già mezzo mondo ha provveduto a esprimersi, probabilmente meglio di quanto non riuscirei a fare io.

L’argomento focale dell’articolo odierno sarà un altro; un aspetto a sua volta già menzionato ed esplorato a cui mi limiterò a fornire un umile contributo, con tutta probabilità scarsamente rivoluzionario.

Westworld

Westworld ha l’indubbio onore di essere la serie televisiva che più si è accostata al mondo dei videogiochi, rivelando sul grande schermo[6] le meccaniche interne a tutto quel filone[7] videoludico che suole definirsi open world: un mondo vivo e vegeto (nei limiti della programmazione) da esplorare e scoprire grazie a un alter-ego virtuale.

I creatori della serie[8] hanno apertamente dichiarato le loro fonti di ispirazione videoludica: tra le più emblematiche Red Dead Redemption, “il GTA nel West”, rivoluzionario gioco open world targato 2010 di cui Westworld rielabora molte caratteristiche.[9]

Tutto, nella serie, rimanda al genere open world. Prima di dar via alla loro avventura, i Guests sono invitati a scegliere il proprio vestiario e armamentario, riproducendo la fase di creazione del personaggio comune a quasi tutti i giochi d’avventura. Nessuna statistica e nessun cambio di fisionomia, certo: i vestiti, però, si adattano alla perfezione alla loro figura, come fossero fatti apposta[10].

Generica dotazione standard e arma iniziale di ciascuno, la sei-colpi ad azione singola (prevalentemente una Single Action Army del 1873, con le dovute eccezioni), disponibile in tutta una serie di versioni, colloca ogni Guest allo stesso livello di partenza, munendolo di eguale potenza di fuoco. Sono l’esplorazione e l’iniziativa a permettere al giocatore[11] l’acquisizione di armi “più forti”, a doppia azione (e quindi più veloci) o dotate di più colpi: lo spietato Uomo in Nero (Ed Harris),[12] veterano di lunga data del parco, maneggia con destrezza degna del miglior Spaghetti Western un revolver LeMat, arma ai cui nove colpi nel tamburo si affianca una cartuccia di fucile a dispersione[13].

Ed Harris Westworld

Il personaggio di Harris è anche l’esempio migliore di una figura videoludica, quella del cheater: il baro che, manipolando la programmazione del gioco tramite trucchi (cheats), attiva la God Mode, l’invulnerabilità; rendendo l’esperienza una passeggiata nel parco (ba dum tss)[14].

A sua difesa, è il gioco stesso a essere truccato. In Westworld, ogni singolo Guest è automaticamente invulnerabile ai colpi degli Hosts, dei “robot”,[15] che al contrario può crivellare a morte col proprio revolver. Una tappa nel reparto riparazione e via, l’automa torna alla sua routine videoludica; magari per farsi sparare di nuovo.

L’interazione con gli Hosts è forse l’aspetto di maggior vicinanza all’open world. I giocatori sono invitati a confrontarsi con le Attractions che abitano il parco nella più totale libertà: possono osservare le loro routine di programmazione, conversare con loro, ascoltare le loro storie. Determinati Hosts, poi, sono veri e propri quest givers videoludici: essi offrono ai Guests la possibilità di prendere parte a varie avventure, intrecciate in una miriade di Narratives diverse, il cui completamento può fornire ricompense fittizie o anche solo un po’ di adrenalina e di immersione nel mondo di Westworld.

I giocatori sono accolti dal mare delle possibilità già al loro arrivo a Sweetwater, area iniziale del parco e perfetto hub da videogame, dove viene loro offerto un insieme di generiche quest iniziali; i Guests più ambiziosi, va da sé, possono imbarcarsi in avventure sempre più ardite, arrivando persino a scoprire delle aree segrete che la maggior parte dei casual gamers visitatori occasionali non vedrà mai.

La totale libertà d’azione, il libero arbitrio h”virtuale”, possono anche sfociare in altro: se un Guest curioso e a modo si lascerà trascinare in un’avventura da un cercatore d’oro, è tanto più probabile che un altro spari in faccia all’amabile vecchietto per poi penetrare nel saloon, riempirsi d’alcool e violentare una delle residenti. In questo mondo multiplayer la figura del griefer non è punibile in alcun modo, e tra i facoltosissimi ospiti sono in molti a entrare nel parco solo per sfogare le loro più basse pulsioni in totale libertà.

Red Dead Redemption è realtà, e purtroppo a giocarlo non è il reo ma integro John Marston.

Westworld

Il principio che vede gli Hosts uccisi o altrimenti danneggiati riportati alla condizione originale e resettati per rimuovere ogni memoria delle loro vicissitudini e restituirli alla routine, poi, è una rielaborazione del videoludicamente imprescindibile concetto di Salvataggio e Caricamento, o addirittura di quello di Nuovo gioco: ogni cosa viene riavvolta, ricondotta al suo stato iniziale; liberando il giocatore delle conseguenze delle sue scelte o dei suoi sbagli.

Vorrei concludere con una delle poche constatazioni che percepisco come veramente mie[16]. È imprescindibile notare, tuttavia, come la conclusione possa considerarsi un leggero spoiler per chi non avesse visto i primi episodi della serie. Non essendo io un amante del rovinare l’esperienza altrui (o del vedermela rovinata, se è per questo), inviterei solo gli “stagionati” a leggere queste ultime righe; al contempo siglandole con una bella dicitura “SPOILER” larga come il parco virtuale.

Saluto qui tutti coloro a cui Westworld non sia familiare (e che non vogliano fare i temerari in faccia allo spoiler stesso), augurandomi che l’articolo odierno sia stato l’ennesimo tassello nell’invito a vedere questa serie unica. “Tips hat”[17].

SPOILER

L’introduzione del fantomatico Wyatt come chiave di volta di gran parte delle Narratives più significative (e, invero, come fulcro di molti dei dilemmi del parco) mi era sembrato qualcosa di repentino e, da un punto di vista “interno” a quello della gestione del parco, raffazzonato.[18]

Questo, almeno, finché non l’ho confrontato col concetto videoludico di DLC, di DownLoadable Content (o, in una lingua che forse molti considerano morta, espansione): un supplemento al gioco che introduce contenuto aggiuntivo nella forma di equipaggiamento, personaggi, missioni e/o ambientazioni.

Esistono espansioni paragonabili ai giochi originali in quanto a lunghezza, profondità e cura. Si tratta di extra totalmente facoltativi, di aggiunte proposte al giocatore devoto come prolungamento dell’avventura in un mondo altro, indipendente da quello della trama principale.

New Game+

Esistono anche espansioni tratte a forza dal gioco originale. Una volta realizzato il prodotto completo, i programmatori si limitano a troncarne via parti più o meno importanti; parti che, riconfezionate e munite di un cartellino col prezzo, sono vendute separatamente ai giocatori.

Quando a essere rimossa e riproposta è la sezione finale del gioco, esso ci viene presentato in forma acefala, privo del suo explicit narrativo e condannato a una conclusione solo parziale.

Per i Guests di Westworld, già quotidianamente dediti a un esborso notevole, l’aggiunta di Wyatt ha, più che le fattezze di un vero e proprio DLC, quelle di un aggiornamento: la conclusione era in cantiere, e viene aggiunta quando il parco è già operativo da anni; quasi fermo in un eterno stato di Beta.

Per questa tipologia di DLC videoludici le cose vanno diversamente.

Volete che il cerchio si chiuda? Compratevi l’espansione.

Tu per caso ne sai qualcosa, Ubisoft?

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