Non solo poesia: la Negritudine di Senghor, Damas e Césaire

John Biggers copertina

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Ecco, il mio cuore si scioglie come neve al sole.
Dimentico
le mani bianche che premendo il grilletto fecero crollare gli imperi
le mani che fustigarono schiavi e che vi flagellarono
le vecchie mani bianche che vi schiaffeggiarono, le mani laccate e incipriate che mi hanno schiaffeggiato
le mani sicure che mi spinsero alla solitudine e all’odio
le mani bianche che abbatterono la foresta di palme che dominava l’Africa, e nel cuore dell’Africa
superbi e forti i Sara, belli come i primi uomini usciti dalle vostre mani brune.
Esse abbatterono la foresta nera per farne traversine ferroviarie,
spianarono le foreste dell’Africa per civilizzarci, visto che scarseggiava il materiale umano.

(…)

Leopold Sedar Senghor, Neve su Parigi[1]

Quante volte sentiamo nominare il continente africano e i suoi abitanti in fuga, soprattutto in questo momento che si sono intensificate le partenze di barche, barchini e gommoni di disperati alla ricerca di futuro e di pace. Eppure di questo continente e di questa gente si parla sempre molto poco.

Non a caso questa estate nell’articolo collettivo di agosto ho consigliato la lettura dei Poemi della Negritudine.

Il movimento della Negritudine nacque a Parigi negli anni Trenta del secolo scorso, dall’idea di tre studenti, che avrebbero lasciato un segno importante nell’emancipazione dei loro Stati e nella letteratura: Senghor, Césaire e Damas.

La mia negritudine non è affatto sonno della razza ma sole dell’anima,
la mia negritudine
vista e vita

Il mio compito è svegliare il popolo al futuro albero corallo
La mia gioia creare immagini per nutrirlo, o luci ritmate della Parola.

Leopold Sedar Senghor, La mia negritudine[2]

Laolu Senbanjo 3
Laolu Senbanjo, murale. Lalou Senbanjo è un artista contemporaneo nigeriano che vive a Brooklyn. Le sue opere spaziano dalla pittura su murales o pannelli, la body art, la performance e il design.

Fra i tre Léopold Sédar Senghor è quello che può essere definito il poeta africano più importante del Novecento.

Nato a Joal in Senegal nel 1906 da famiglia benestante, si è dimostrato subito un eccellente studente e dopo gli studi liceali, la famiglia lo manda a studiare in Francia. Sono gli anni Trenta, Parigi è una città moderna, piena d’artisti, di filosofi e politici. Insieme con Aimé Césaire e Léon-Gontran Damas danno vita a un giornale universitario, Lo studente nero, che sarà un punto di riferimento per i giovani neri che vivono in Francia. Nelle sue pagine per la prima volta essere neri è un orgoglio e non vergogna, la pelle nera è bellissima, i vestiti africani sono pieni di luce e colore. Nella Parigi di quegli anni sappiamo che vi era un gran fermento politico, sociale e artistico con la valorizzazione delle culture indigene, conosciamo le opere di Picasso, Gauguin e tanti altri ispirate all’arte africana; di Negritudine ne parlò proprio il grande Sartre.

Il colonialismo era ai suoi ultimi sussulti, ma la ricaduta nella cultura e nella vita dei popoli colonizzati, la violenza e il poco rispetto per gli usi e i costumi indigeni sono ferite difficili da curare e ancora sanguinanti.

La negritudine, intesa come presa di coscienza, non appartiene solo ai neri in quanto tali, ma a tutti coloro che subiscono la prepotenza e la violenza di politiche voraci e disumane. La negritudine come lotta di classe tra i poveri e i ricchi del mondo, come la definì Pasolini molti anni prima di Césaire.

Ecco che muore l’Africa degli imperi,
agonia di principessa pietosa
ed anche l’Europa a cui l’ombelico ci unisce.
Fissate gli immutabili occhi sui figli vostri che ricevono ordini
che danno la vita come il povero l’ultimo suo vestito.
Fate che noi rispondiamo presente alla rinascita del mondo
come il lievito necessario alla bianca farina.

Chi insegnerà il ritmo al mondo defunto delle macchine e dei cannoni?
Chi lancerà il grido di gioia per risvegliare i morti e gli orfani all’aurora?
Dite, chi renderà memoria di vita all’uomo dalle speranze violate
Ci chiamano gli uomini del cotone, del caffè, dell’oli
ci dicono gli uomini della morte.
Siamo gli uomini della danza, e nuova forza è ai nostri piedi
il suolo duramente percosso.

Leopold Sedar Senghor, Preghiera alle maschere[3]

Papa Imra Tall, Seamstress of the Stars, 1970 circa: Papa Imra Tall è stato un importante artista senegalese legato al movimento della negritudine.
Papa Imra Tall, Seamstress of the Stars, 1970 circa: Papa Imra Tall è stato un importante artista senegalese legato al movimento della negritudine.

Quanto è attuale questa poesia, quanto è vera: siamo uniti Africa ed Europa e abbiamo bisogno gli uni degli altri. In quest’ottica socialista e cristiana Senghor ha portato avanti il suo processo d’indipendenza del suo Senegal, avvenuto nel 1959 senza spargimenti di sangue. Ha partecipato alla stesura della carta costituzionale ed è stato Presidente della Repubblica del Senegal dal 1960 al 1980, continuando la sua attività di critico letterario, di poeta e scrittore.

La visione politica, così come la sua preparazione culturale, risente del paese colonizzatore, la Francia, che per il nostro Léopold è la sua seconda patria, la terra che accoglierà le sue spoglie mortali nel 2001. La benevola accondiscendenza verso i colonialisti, che lo elessero addirittura membro dell’Accademia Francese nel 1985, è il rimprovero che gli muovono i poeti africani delle generazioni successive, più agguerriti ed emancipati.

Loro hanno saputo così bene fare,
saputo così bene far le cose
le cose
che un giorno noi abbiamo mandato
abbiamo mandato tutto a farsi fottere di noi stessi
tutto a farsi fottere di noi stessi
(…)
e dire che non servirebbe un gran che
non servirebbe un gran che
un gran che
un gran che

Léon-Gontran Damas, Loro hanno[4]

Lo ripete per molti versi, quel gran che, Léon-Gontran Damas, poeta nero della Guyana Francese nato nel 1912, che nella poesia Loro Hanno opera un’analisi ineccepibile della condizione dei neri e della supremazia dei grandi colonialisti bianchi. Loro hanno saputo fare meglio, è questo l’assunto a cui giungono i nostri tre amici, che da quei freddi pomeriggi alla Sorbona maturarono la convinzione di dare un senso ai loro studi sia letterari che socio-politici.

Tornarono anni dopo nei rispettivi paesi, dove hanno dato vita a una stagione di rinascita e d’indipendenza, che però non ha cambiato molto le condizioni sociali ed economiche dei vari Stati africani, motivo per il quale assistiamo al fenomeno drammatico di un esodo continuo di gente disperata, maltrattata e mal nutrita in cerca di pace.

Wifredo Lam, The Jungle, 1942–43, guazzo su carta montato su tela, New York, Museum of Modern Art. Anche Wifredo Lam, è stato uno dei maggiori artisti della negritudine.
Wifredo Lam, The Jungle, 1942–43, guazzo su carta montato su tela, New York, Museum of Modern Art. Wifredo Lam, cubano, è stato uno dei maggiori artisti della negritudine.

Léon-Gontran Damas, ultimo di cinque figli di una famiglia benestante, fu mandato a studiare nell’isola di Martinica dove conobbe Aimé Césaire e poi a Parigi. Poco prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale pubblicò il suo primo libro di poesie Pigmenti nel 1937. Fu arruolato nell’Armata Francese ma a fine guerra tornò nella sua Guyana dove fu eletto deputato nel 1948.

Quello che distingue la poetica di Damas da quella di Senghor è il jazz e il blues che suonano nei versi sgraziati e scrostati come i muri dei quartieri poveri, gli unici riservati ai neri. Sono parole che esprimono rabbia, sarcasmo, dolore, dignità, determinazione e conoscenza. La composizione sincopata dei versi che accelerano al pari dei battiti del cuore, riscalda il cuore del lettore e lo trascina dentro una miscela esplosiva di emozioni.

Anch’io ebbi fame e gli occhi vuoti
e credetti di poter
chiedere dieci soldi
fino al giorno in cui mi stancai
di vederli beffarsi
dei miei vestiti da pitocco
e di ricrearsi
nel vedere un negro con occhi e
pancia vuota.

Léon-Gontran Damas, Anch’io ebbi fame[5]

Nella poetica di Damas spesso vi è il richiamo ai vestiti, come segno di omologazione e di assimilazione degli usi e costumi del colonizzatore da parte del colonizzato.

La presa di coscienza della propria condizione, la dignità è tutta in quel verso: «fino al giorno in cui mi stancai…». Perché da quel momento in poi i neri giorno dopo giorno hanno smesso di lasciar fare e hanno cominciato a lottare.

La poesia è un ottimo veicolo di conoscenza e di compartecipazione emotiva, che ci traghetta oltre noi stessi e le nostre mediocri esistenze, attraverso un cammino che mette a nudo la catena delle nostre vulnerabilità.

Un'altra opera di Papa Ibra Tall
Un’altra illustrazione di Papa Ibra Tall. La sua arte spazia dagli arazzi alla pittura, fino all’illustrazione grafica, come vediamo in quest’opera.

Come ci sono uomini-iena e uomini-
pantera, sarei un uomo-ebreo
un uomo-cafro
un uomo-indù di Calcutta
un uomo di Harlem che non vota

l’uomo-carestia, l’uomo-insulto, l’uomo-tortura
si poteva in ogni momento afferrarlo, avvolgerlo
di colpi, ucciderlo – perfettamente ucciderlo – senza dovere
rendere conto ad alcuno, senza avere scuse da presentare ad alcuno
un uomo-ebreo
un uomo-pogrom
un cucciolo
un mendicante

ma si uccide il Rimorso, bello come la
faccia stupita di una signora inglese che trovasse
nella sua zuppiera un cranio di Ottentotto?

Aimé Cesaire, Partire[6],

Con questi versi lunghi e pieni di rabbia si presenta Aimé Césaire, e la sua poetica è la sua vita di lotta, di coraggio e di grande insegnamento morale, in questa epoca senza valori se non economici.

Nato a Port de France – Martinica – nel 1913 da una famiglia di operai è dei tre il proletario, quello che svilupperà una poetica e un’etica politica più radicale e comunista. Compie gli studi liceali nella sua città natale e poi si stabilisce a Parigi con una borsa di studio per studenti meritevoli, messa a disposizione delle colonie dalla Francia, per proseguire gli studi universitari.

A Parigi arriva insieme a Damas, conosciuto negli anni del liceo, in un momento storico e artistico tra i più dirompenti, dove conobbero Senghor, di qualche anno più grande.

Poeta, drammaturgo e scrittore di fama internazionale, scoperto e apprezzato da André Breton, padre del movimento Surrealista, nella sua Martinica è ricordato per la sua opera politica piuttosto che per quella letteraria.

È stato un protagonista della Repubblica della Martinica: sindaco della sua città natale Port de France e deputato all’Assemblea Nazionale e per cinquant’anni ha difeso e combattuto per i diritti dei martinicani.

John T. Biggers, artista afroamericano. Non fu direttamente legato al movimento della negritudine ma la sua opera, di un realismo vagamente surreale è incentrata sulla vita quotidiana degli afroamericani, sia in contesti rurali, sia in contesti urbani.
John T. Biggers, Donne ghanesi, olio su masonite, 1960 circa. John T. Biggers, afroamericano, non fu direttamente legato al movimento della negritudine, bensì al contesto della cosiddetto “rinascimento di Harlem”: la sua opera, di un realismo vagamente surreale, è incentrata sulla vita quotidiana dei neri americani, denunciandone lo sfruttamento.

Se il concetto di Negritudine lo ha espresso per la prima volta un bianco, un filosofo come Sartre, è vero però che Senghor, Damas e soprattutto Césaire seppero riempirlo di contenuti. Ognuno di loro ha lasciato un segno non solo culturale ma politico e sociale ed è questo che fa della loro poesia carne e spirito fusi insieme.

La Negritudine non è una pretenziosa concezione dell’universo. È un modo di vivere la storia nella storia: la storia di una comunità la cui esperienza si presenta, a dire il vero, estremamente singolare, definita dalle deportazioni, dal trasferimento forzato di uomini da un continente a un altro, dai ricordi di credenze lontane, dai frammenti di culture assassinate che le appartengono. (…)

Questo pezzo è estrapolato dal discorso che Césaire tenne alla Prima Conferenza Emisferica dei Popoli neri della Diaspora, organizzata a Miami nel 1987 dove parla del movimento del 1930 e di come lo stesso non sia da considerarsi legato esclusivamente alle questioni razziali. La negritudine non è legata al colore della pelle ma alla condizione sociale, culturale e politica e soprattutto economica, che differenzia gli esseri umani.

Ritroverò il segreto delle grandi comunicazioni e delle grandi combustioni. Dirò il temporale. Dirò il fiume. Dirò il tornado. Dirò la foglia. Dirò l’albero.

Ritornare. Il mio cuore mormorava generosità enfatiche. Ritornare… Arriverò levigato e puro nel mio paese e dirò a questo paese, il cui fango entra nel miscuglio della mia carne: “Ho vagabondato per molto tempo, ma ora ritorno alla bruttezza disertata delle tue piaghe”.
Ritornerò al mio paese e gli dirò: “Abbracciami senza paura… E siccome so soltanto parlare, e per te che parlerò”.
E gli dirò ancora:
“la mia bocca sarà la bocca delle sofferenze che non hanno bocca, la mia voce sarà la libertà delle voci che si piegano di fronte alla cella della disperazione”.
E arrivando dirò a me stesso:
“Il mio corpo e la mia anima si guardano bene dall’incrociare le braccia
nell’atteggiamento sterile dello spettatore, perché la vita non è uno spettacolo, perché un mare di dolore non è un palcoscenico, perché un uomo che urla non è un orso che balla…”.

Aimé Cesaire, Ritroverò il segreto delle grandi comunicazioni[7]

Questi versi sono tratti dal suo bellissimo poema del 1939 Cahiers d’un retour au pays natal, in italiano Quaderni di un ritorno al paese natale. Ma qual è il paese cui ritorna Césaire e che senso hanno le sue parole e il suo forte ritmo, che entra nel cervello come il suono ripetuto e martellante di un tamburo? È la Martinica ma è soprattutto la sua cultura millenaria, che i colonizzatori hanno cercato di distruggere. È la presa di coscienza, è la consapevolezza, è la volontà di cambiare, di non stare a braccia conserte.

Quanta forza hanno questi versi, un vento caldo che dovrebbe scuotere anche le nostre coscienze di opulenti occidentali. Noi, che abbiamo perso ogni rotta e vaghiamo come naufraghi dispersi nel mare dell’idiozia mentecatta del male.

Laolu Senbanjo, murale (particolare)
Laolu Senbanjo, murale (particolare)

Aimé Césaire si spegne a Port de France nel 2008.

E la mia isola non clausura, con la sua chiara audacia in piedi dall’altra parte della Polinesia, di fronte a lei la Guadalupe tagliata in due dalla linea dorsale e con la nostra stessa miseria, Haiti dove la negritudine si è alzata in piedi per la prima volta e ha detto di credere alla propria umanità, e la piccola comica coda della Florida dove stanno finendo di strangolare un negro, e l’Africa che striscia gigantescamente fino ai piedi ispanici dell’Europa, una nudità dove la Morte miete a grandi falciate.

Aimé Cesaire, Alla fine dell’alba[8]

Non hanno finito di strangolare negri in Florida, visti i fatti che leggiamo di quando in quando, sicuramente i più eclatanti. In Europa poi, assistiamo a questa penosa questione dei migranti, nella quale non ci inerpicheremo perché già fin troppo discussa.

Lascio al lettore il silenzio per leggere e rileggere queste parole oggi, alla luce della nostra quotidianità.

Voglio chiudere questa chiacchierata sui tre poeti più conosciuti del movimento della Negritudine con pochi versi, estratti da una lunga poesia d’amore, intitolata Donna Nera, del grande Léopold Sédar Senghor, dove l’orgoglio della propria identità di pelle, di storia e di cultura diventa amore intenso.

Donna nuda, donna nera
canto la tua bellezza che passa, la tua forma che fisso
nell’Eterno,
prima che il Fato geloso ti incenerisca per nutrire le radici
della vita.

Leopold Sedar Senghor, Donna nuda, donna nera[9]

 

In copertina: John T. Biggers, Giorno del raccolto, olio su tela.


Per approfondire:

AA VV, Poemi della Negritudine, Modu Modu, 2013
Giulio Stocchi, La poesia come viaggio. Léopold Senghor e Aimé Césaire letti e interpretati da Giulio Stocchi, in Dada, Rivista di Antropologia
Giacomo Zito,Martinica, Aimé Césaire e la Negritudine, in Lo spiegone, 11/09/2018
Antonella Emina, Luoghi di passaggio e dimora Leon Gontran Damas vs Leopold Sedar Senghor, ISEM – Istituto di Storia dell’Europa Mediterranea, 2012
Leopold Sedar Senghor, L’africano cosmopolita, in SMA, Società Missioni Africane
Il Senegal omaggia Senghor a vent’anni dalla morte, in Africa, 21/12/2021.
Chi fu L. S. Senghor, su Premio Internazionale Senghor
Senghor, voce in Archivio Storico Fondazione Fiera Milano
La poesia della Negritudine, a cura di Emanuele Pini, in Imperfetta Ellisse

Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.