Strani imputati: i processi agli animali nel medioevo

Animali nel medioevo

Storie di animali nel medioevo – I

 

Siamo a Falaise, poco a sud di Caen in Normandia. Al nostro arrivo ci ha accolto un paesaggio verde, mosso da dolci pendii coperti di verzura e punteggiati da hgruppi di alberi sempreverdi mentre il Castello normanno di Guglielmo il Conquistatore (Sì, QUEL Guglielmo, quello della Battaglia di Hastings del 1066), arroccato su un promontorio a guardia del paesello, ci ha conquistato con i suoi resti maestosi.

Decidiamo di attraversare il borgo, di entrare nella chiesa della Santa Trinità della quale percorriamo la navata sino a giungere all’imbocco del transetto sud. Proprio dietro l’angolo, acquattato quasi, siede un vecchiarello, di sicuro un abitante del posto.

Comincia a parlare con un accento molto marcato.

Noi, fortunatamente, capiamo (e parliamo) piuttosto bene il francese – abbiamo lavorato a Rouen per più di un anno, una storia lunga, magari ve la racconto un’altra volta – per cui non abbiamo alcuna difficoltà ad intendere ciò che ci dice il simpatico nonnetto.

Eppure non possiamo fare a meno di strabuzzare gli occhi, interdetti.

Ci parla di un affresco, il vecchio, un affresco ormai perduto che si poteva ammirare, una volta, proprio lungo la parete occidentale del transetto. Il soggetto rappresentato era affatto singolare: da una parte si potevano vedere i resti smembrati di un bambino ai piedi di alcuni i gradini, il fratello di poco più grande inorridito a quella vista affiancato da una culla. Scorrendo, quasi come la striscia di un fumetto, un’altra scena con al centro una scrofa vestita in giacca, brache e simili di fronte ad un uomo a cavallo e circondata da una folla urlante. Il tutto sormontato da un enorme forca.

Animali nel medioevo: Ambrogio Lorenzetti, Gli effetti del Buon Governo, Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena
Ambrogio Lorenzetti, Gli effetti del Buon Governo, Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena

Affascinati, chiediamo ulteriori spiegazioni: si tratta dell’esecuzione a morte di una scrofa? Si tratta di un animale assassino? Perché imbastire un processo ad un animale?

È il gennaio del 1386, un vento gelido soffia per le strade sterrate del borgo, alzando dei nuvoloni di polvere fastidiosi; il castello svetta sulle case conservando intatta, anche di giorno, quell’aura spettrale di cui si ammanta ad ogni crepuscolo. Per le strade si aggira una scrofa affamata. Ai piedi di alcuni gradini trova di che cibarsi: è consapevole del suo atto? Il bambino è ancora in fasce, sembra abbandonato. Il suo nome è Jean Le Maux. La scrofa lo annusa, lo azzanna: gli strappa un braccino, poi passa al viso ma già arrivano i soccorsi, viene bloccata da una folla che diviene sempre più grande. Il bambino è raccolto dal padre, ormai solo un piccolo fagotto senza vita.

Il popolo – e con lui la famiglia dell’assassinato – chiede giustizia! Che si faccia un processo che possa servire da monito agli altri animali, che si punisca in modo esemplare l’infanticida davanti ai suoi simili!

La scrofa viene scortata in prigione, dove rimane per nove giorni, il tempo necessario affinché la burocrazia faccia il suo corso. Il mesfet[1] è evidente ma la bestia ha la possibilità di richiedere – e ottenere – un deffendeur il quale si trova per le mani un compito impossibile: come difendere un animale così sfacciatamente colpevole? Allo scadere dei nove giorni non viene nemmeno il prete per l’estrema unzione: a soli tre anni Betty[2] è condannata alla forca.

Il giorno dell’esecuzione Betty viene vestita con abiti umani e trascinata da una giumenta lungo le vie del borgo, dal castello al sobborgo periferico di Guibray: partecipano all’evento il visconte, Regnaud Rigault, i contadini, le rispettive famiglie ivi compresi i componenti dalla pelle rosea a quattro zampe.

Fatta salire sul patibolo il boia trancia a Bet il grugno e la priva di una coscia – in perfetta analogia con ciò che la scrofa si era mangiata del povero Jean. Di seguito, dopo averla agghindata con una maschera a figura umana, lo stesso boia l’appende per i garretti.

Animali nel medioevo

Una volta morta, però, il supplizio non finisce: viene richiamata la giumenta alla quale viene legata la carcassa dell’assassina – dopo aver mimato, en passant, un ulteriore strangolamento – e fatta trascinare per il paese. Ciò che rimane dell’animale viene dato alle fiamme e per quanto riguarda le ceneri, be’, non sappiamo cosa ne fecero ma possiamo immaginarlo.

Si conclude così uno degli innumerevoli processi intentati ad animali meglio conosciudagli storici. Se spesso, infatti, si ha notizia di questi rituali solo tramite riferimenti indiretti (magari anche solo cronache che si limitano a citare tali eventi) nel caso specifico della scrofa di Falaise possediamo diversi documenti d’archivio, non ultimo una quietanza presentata dal boia per il risarcimento (materiale e simbolico) dei guanti utilizzati durante l’esecuzione.

I processi intentati ad animali hanno luogo in tutta Europa lungo un arco temporale che abbraccia tre secoli, quelli del trapasso dall’epoca medievale alla più illuminata modernità.

La loro esistenza non può far altro che suscitarci una serie piuttosto ampia di domande, le quali vanno dalla concezione che l’uomo medievale aveva dell’animale (Gli animali hanno una coscienza? Capiscono le punizioni? Hanno un’anima?) al significato che potevano assumere certi rituali all’interno della società del tempo.

Ma questa è una ricerca più ampia, che dovremo approfondire all’interno di qualche biblioteca o, ancora meglio, seduti in poltrona davanti al fuoco scoppiettante di un camino.

Salutiamo il nonnetto, scambiando con lui uno sguardo d’intesa e di ringraziamento e usciamo dalla chiesa. L’azzurro del cielo è scomparso, sostituito dal grigio plumbeo di alcuni nuvoloni che portano tempesta.

 

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Per approfondire: Michel Pastoureau, Medioevo Simbolico, Ed. Laterza Roma-Bari, 2007, pp. 21-28.

Redazione: Salvatore Ciaccio
Salvatore Ciaccio

Nato a Sciacca in provincia di Agrigento nel 1993, ho frequentato il Liceo Classico nella mia città natale per poi proseguire gli studi a Pavia, dove mi sono laureato in Lettere Moderne con una tesi dedicata all'architettura normanna in Sicilia.