Antonella Pirozzi le donne nell'antica grecia corinna erinna di telo

Non solo Saffo: da Corinna a Erinna di Telo, le donne greche e la poesia

Mi sono riproposta ormai da tempo di divulgare la letteratura delle donne di tutti i tempi, che scopro con gioia è molto nutrita ma ancora poco conosciuta, a vantaggio delle voci letterarie maschili.

Nell’antica Grecia sappiamo che vi fu un florilegio di scuole dove erano insegnate: la poesia, la filosofia, l’astronomia, la musica, il canto e tutte le scienze matematiche.

Conosciamo Omero e le sue opere meravigliose Iliade e Odissea, Eschilo, Sofocle ed Euripide e le loro grandi tragedie ma di donne, a parte la magnifica Saffo, non si parla mai. Eppure grazie allo studio della Suda, che è una fonte enciclopedica del X secolo, si sono scoperte numerose poetesse che si sono distinte per le loro opere e le loro scuole, nelle quali insegnarono l’arte della poesia e del canto.

Ho detto canto e sapete perché? Perché nell’antica Grecia le poesie erano accompagnate dalla musica e il piede metrico seguiva l’armonia del suono. Non sono poesie i testi di alcuni dei nostri migliori cantautori, rapper, rapsodi dei nostri giorni?

Torniamo alle nostre poetesse e all’importanza di leggere la poesia, l’unica arte che, utilizzando la parola, come un pennello o una nota musicale, consente di dare una tangibilità oggettiva ai pensieri, alle emozioni una volta trasposte sulla carta. È attraverso la lettura della poesia che ci facciamo sorelle e fratelli di donne e uomini di altri tempi. Sentiamo sussurrare alle nostre orecchie quell’ansia di vita che è la stessa nostra, quell’insicurezza, quella pena d’amore che chi non ha provato non è umano.

Antonella Pirozzi
Antonella Pirozzi, Passi Silenti

Oltre alla Suda del X secolo, dobbiamo a un altro studioso latino di età augustea Antipatro di Tessalonica la conoscenza di ben nove poetesse greche del periodo ellenistico che va dal VI al II secolo. Purtroppo di alcune di loro non è rimasto nulla se non le citazioni di altri poeti, che ne esaltano le caratteristiche. In questo articolo parleremo delle poetesse del periodo che va da VI al V secolo.

La prima di queste è Mirtide, una poeta della Beozia vissuta a cavallo tra il sesto e il quinto secolo. Si dice che Mirtide, fosse talmente convinta delle sue capacità poetiche, da sfidare, lei donna, lo stesso Pindaro, come recitano i versi di Corinna che riporto:

Io rimprovero l’arguta Mirtide
che, nata donna, gareggiò con Pindaro.

(da Non solo Saffo)

Una donna, un’allieva che rimprovera la protervia della sua Maestra di sfidare un uomo. La condizione femminile nella Grecia di allora era di sottomissione all’autorità patriarcale. Le poche tracce rimaste degli scritti femminili, rivelano una volontà di emancipazione ante-litteram da parte di alcune di loro, che attraverso lo studio e la conoscenza seppero affermarsi nelle società greche di Sparta, Atene e nella Magna Grecia.

Abbiamo nominato Corinna, una poetessa sempre della regione della Beozia, regione che ha dato i natali a numerose poetesse, vissuta come Mitride tra il VI e il V secolo a.C. Di lei si dice che è stata l’insegnante di Pindaro e di Corinna parla perfino Plutarco, riportando un episodio nel quale la poetessa, ascoltando i primi versi del giovane poeta, che nascondevano l’insicurezza e l’acerba abilità del poetare con uno stile troppo ricco di miti e di immagini fantasiose, lo gelò affermando:

Bisogna seminare con la mano non col sacco!

Odilon Redon, Orfeo, 1903-1910
Odilon Redon, Orfeo, 1903-1910

Al giorno d’oggi che a seminare sono le macchine, questa espressione suona strana, ma non deve distrarci dal valore dell’insegnamento. L’esaltazione del valore della parola, che non può essere di maniera, ma deve attingere i suoi contenuti dalla realtà e deve essere veicolo di Verità e onestà intellettuale, presupposto della poesia in ogni tempo..

I primi reperti, nei quali sono stati trovati alcuni versi della poetessa, risalgono al 1906 con i due papiri trovati a Berlino, nei quali sono discretamente conservati ampi stralci delle sue composizioni poetiche -canore.

Nel primo papiro fu trovata La gara del Citerone e dell’Elicona, un poema che, sulla scia del racconto epico, fortemente influenzato da Omero, narra della competizione poetica-canora delle due montagne, dove la prima: il mitico Citerone, vince grazie alla complicità e al volere degli dei. Un altro papiro è una raccolta di canti dal titolo Asopides, le figlie di Asopo, e racconta la storia del vaticinio di un indovino Asopo e delle sue nove figlie, che daranno origine a una stirpe di eroi.

Un tema questo molto in voga all’epoca, per esaltare i guerrieri e la loro stirpe, così come lo usò Virgilio nella sua opera principale, l’Eneide, per esaltare Ottaviano Augusto.

Nel 1956 è stato ritrovato il Papiro di Ossirinco 2370, che risale circa al III secolo d.C., dove di Corinna, molto nota ancora a distanza di anni, è stata ritrovata una raccolta di canti, il cui titolo, sappiamo dato dalla stessa poetessa: Feroia, parola oscura agli interpreti più illustri, che traducono come le storie narrate alle fanciulle, come dice la stessa Corinna:

Ecco che Tersicore mi invita a cantare le belle storie ( Feroie) alle fanciulle di Tanagra dai candidi pepli, e la mia città davvero gioisce, per i canti che soavemente sussurrano. In cambio difatti delle grandi imprese, ornate di menzogne, io canto alle fanciulle i racconti del tempo dei nostri padri, in cui spesso appare il Cefiso…, spesso il grande Orione, ed i cinquanta forti e potenti giovani…

(da Letteratura al Femminile)

Corinna è stata un’artista molto prolifica cimentandosi con le tragedie in voga ai suoi tempi, come: Oreste, di cui sono rimasti pochi versi d’incomparabile bellezza: «il sacro splendor della luna… in mezzo ai fiori di primavera…»

Odilon Redon, Occhi chiusi, 1890
Odilon Redon, Occhi chiusi, 1890

Poi ci sono frammenti delle tragedie: I Sette di Tebe, Iolao, il Ritorno e Tanagra. Per quello che è stato consentito agli studiosi di comprendere, è il messaggio morale di moderazione sia nei comportamenti sociali, sia nell’uso sapiente della poesia, che caratterizzano la poetica lucida di questa poetessa.

Numerose statue furono erette, segno della sua fama, scomparse purtroppo nei secoli.

Altra poetessa interessante è Telesilla, vissuta ad Argo nella prima metà del V secolo al tempo di Pausania, più giovane di Corinna, conosciuta come la poetessa guerriera, perché si racconta che con le sue poesie incitò le donne ad armarsi, per difendere Argo dall’attacco degli spartani.

Pur non avendo ritrovato che pochissimi versi, conosciamo della grandezza di Telesilla dalle testimonianze, di coloro che apprezzarono il suo coraggio, la sua determinazione e la sua maestria nel canto e nel poetare, anche molti anni dopo la sua morte.

Sappiamo che scrisse un’opera che raccontava il mito di Artemide che fugge Alfeo, di cui restano due versi e altrettanti due versi, che ho trascritto, di un Inno sulle nozze di Zeus ed Era:

Tutto sanno le donne: anche come ha fatto
Zeus a sposare Era.

(da Non solo Saffo)

Contemporanea di Telesilla è Prassilla di Sicione, molto apprezzata e conosciuta è al pari delle altre una sperimentatrice di composizioni metriche. Le sue piccole composizioni liriche chiamate Scòlia furono talmente conosciute da essere oggetto delle parodie di Aristofane. Scrisse anche inni, carmi conviviali, ditirambi (canti in onore di Dionisio) storie d’amore di dei e miti. Per questa sua produzione poetica fu considerata al pari di una cortigiana, dedita al vino. Eppure dai frammenti ritrovati sappiamo che ha fatto sperimentazioni metriche, tanto che il suo verso fu detto “prassileo”.

Daniela Maria, Invisibili
Ama Deus, Invisibili

Il frammento più lungo è quello tratto dal carme dedicato ad Adone, che muore per il morso di un serpente, simbolo per eccellenza della caducità della bellezza, che Prassilla con indulgente dolcezza, lo rappresenta in tutta la sua infantile essenza. Interrogato nell’Ade di cosa le sia dispiaciuto di più, il giovane Adone risponde:

La cosa più bella che lascio è la luce del sole,
poi gli astri lucenti
e di Selene il volto
poi i fichi maturi
e i pomi e le pere.

Molti anni più tardi, sul finire dell’età classica, la prima poetessa dorica che troviamo nominata nel Lessico Suida, è Erinna di Telo, nata nell’isola di Telos, vicino a Rodi, morta giovanissima a quanto scrisse il poeta alessandrino Asclepiade di Samo, suo contemporaneo.

Di lei restano alcuni versi del suo carme La Conocchia, scritto per la morte della sua amica Bauci, nel quale ripercorre la loro breve vita insieme, quando appunto tra risa e canti filavano la conocchia, un utensile usato per filare le fibre tessili, è il simbolo di un tempo felice, spezzato dalla morte precoce dell’amica amata.

I versi che possiamo leggere sono stati ritrovati a Firenze nel 1929, mutilati ma hanno consentito agli studiosi di conoscere e apprezzare le opere di quest’artista.

La brevità della vita di Erinna, sicuramente non le ha consentito di raggiungere vette più alte, così come promettevano i suoi acerbi versi. Certamente era una creatura sensibile e non sappiamo se abbia scelto di mettere fine alla sua vita, non riuscendo a sopravvivere alla perdita della sua amica Bauci. Nonostante fosse molto rovinato il papiro, possiamo leggere alcuni brani della Conocchia, tradotti magistralmente dal grande Salvatore Quasimodo:

I bianchi cavalli smaniosi
si levano dritti sulle zampe
con grande strepito; il suono della cetra
batteva in eco sotto il portico vasto della corte.
O Bauci infelice, io gemendo piango al ricordo.
Queste cose della fanciullezza hanno ancora calore
nel mio cuore, e quelle che non furono di gioia,
sono cenere, ormai. Le bambole stanno riverse
sui letti nuziali; e presso il mattino
la madre cantando più non reca
il filo sulla rocca e i dolci cosparsi di sale.
A te fece paura da bambina la Mormò
che ha grandi orecchie e su quattro
piedi s’aggira movendo intorno lo sguardo.
E quando, O Bàuci amata, salisti sul letto dell’uomo
senza memoria di quello che giovinetta ancora
avevi udito da tua madre, Afrodite,
non fu pietosa della tua dimenticanza.
Per questo io ora piangendoti non ti abbandono;
né i miei piedi lasciano la casa che m’accoglie,
né voglio più vedere la dolce luce del giorno,
né lamentare con le chiome sciolte; ho pudore
del cupo colore che mi sfigura il volto.

Lamento a Bauci[1]

Torneremo a parlare con altri articoli di queste poetesse e di questa poesia affascinante, che ha la consistenza dei secoli e la singolare fragilità del tempo presente.

 

Leggi anche: La terribile attualità della Medea di Euripide


Per approfondire:

Non solo Saffo. Le poetesse greche antiche
Letteratura al femminile,  Poetesse e scrittrici
Culturamente, Corinna, il canto del mito beotico
Poetessedonne, Erinna
Treccani

In copertina: Antonella Pirozzi, Passione in rosso.

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