Con la sua ultima pubblicazione, la giovane casa editrice indipendente romana Pessime idee ha portato nel panorama editoriale italiano la voce energetica e schietta di Lourdes de Arma, autrice cubana del romanzo Marx y mi maridos (Marx e i miei mariti), tradotto in italiano da Alessandro Oricchio e Laura Mariottini.
Pubblicato a Cuba nel 2010 da Ediciones UNIÓN, il romanzo si articola come un polittico di vicende incollate insieme dalla frizzante personalità della scrittura dell’autrice.
In tale quadro tanto mutevole, che quasi traccia la curva di un romanzo di formazione (sentimentale), rimane costante la centralità peraltro autodiegetica della protagonista, il cui spudorato sguardo fa da catalizzatore dell’intera storia. Con un’autocritica e puntuta voce narrante, Lucìa narra dettagli del suo turbolento e chiassoso vissuto, fa valutazioni e, soprattutto, cresce. Infatti, qualunque considerazione si potrebbe fare sul suo conto verrebbe poi smentita nel corso delle pagine, giacché il personaggio si avvia lungo un’evoluzione che è un continuo mettersi in discussione: ad esempio, da docile e accondiscendente idealista, quale appare al lettore nei primissimi momenti, il suo carattere gradualmente va temprandosi, acquisendo sempre più consapevolezza, senso pratico e audacia.
La sua vita – e di conseguenza il discorso biografico, che pretende di fotografarla nel suo erratico trascorrere – cambia costantemente direzione, assistendo anche al dirottamento o anche al fracassante disfarsi di convinzioni e ideali. La prosa perciò sembra avere la funzione di una testimonianza ma rappresenta anche una sorta di referto memoriale, dove idiosincrasie e stonature non possono essere che sintomatiche dell’autenticità del passato che si racconta, il quale non si lascia addomesticare, ma che si manifesta in tutta la sua spettinata e contraddittoria eterogeneità.
I “mariti” a cui si allude nel titolo sono i cinque uomini con cui Lucìa ha sperimentato svariate forme d’amore e di negoziazione del proprio privato, esperienza a cui sempre conduce la decisione di sposarsi che è condivisione e rinuncia a un tempo; si ritiene tuttavia che il plurale scelto per radunare questi uomini nel titolo sia da intendersi più onesto che intenzionalmente provocatorio. Infatti, nell’addentrarsi nella lettura, man mano che si fa la conoscenza della protagonista e in più assistendo progressivamente ai cambiamenti che ne irrobustiscono il carattere, si intuisce che il tono su cui si assesta la narrazione è sì sfrontato in certi punti, persino piccato in certi altri, ma tali intermittenze sono da interpretarsi in verità come contraccolpi della torrida onestà della voce che narra.
Pur pronunciandosi nei termini di una critica sociale pura, indubbiamente s’intercetta una dose di intraprendenza in certe attitudini di Lucìa, che è una donna e decide per sé, ignora con noncuranza il giudizio altrui, afferma la propria libertà come fosse nell’ordine naturale delle cose e non una conquista da preservare.
Ancora, Lucìa è spregiudicata nelle sue valutazioni, talora persino severa nel giudicare i difetti dei propri uomini non appena il fascino che irradiavano durante la fase di corteggiamento svapora, per lasciare spazio a mediocri quadretti di vita quotidiana.
A proposito dei personaggi maschili, autentici tipi umani ritratti con un fitto nitore di dettagli, sono tra loro diversissimi i cinque amori di Lucìa; ciascuno ha sedimentato in lei qualcosa, che si tratti di insegnamenti, anti-modelli o moniti. Le hanno insegnato l’ostinazione, l’ispirazione, la delusione; in altri termini, alcuni l’hanno educata al marxismo, altri hanno contribuito a spingerla verso il suo rigetto.
Del resto, amore e marxismo nella storia fungono da filtri – affiancati fin dal titolo – attraverso i quali esplorare il recto e il verso delle cose, e spesso in più s’incontrano, collimando in un’unione che funziona per un po’ e poi s’incrina anche a causa delle interferenze della Storia.
L’anticlimax lungo cui la trama si inarca corrisponde per molti aspetti all’iter ideologico che la protagonista vive, nel corso del quale si attenua e appassisce la focosa convinzione con cui aveva sposato certi ideali all’inizio, da giovanissima. Precisamente in questo, il romanzo segue il tracciato di quello che somiglia anche al tragitto di un apprendistato faticoso, ingolfato continuamente da interferenze che all’amore sarebbero esterne e che però non possono dirsi estranee: l’irruzione della background storico-sociale di Cuba in certi momenti pulsanti del racconto, infatti, non si riduce a sottofondo quiescente o a stento percettibile. Al contrario, la Storia è un umore densissimo e vischioso di cui tutta la sostanza del testo è imbevuta: l’egemonia socialista, i balseros, le dinamiche interne al Partito dentro le cui fila Lucìa ricopre peraltro un ruolo istituzionale, non sono dettagli collaterali, bensì ingredienti presentissimi e partecipi della materia narrata.
Anche quando rimodulati nel tono ironico e sagace a cui la prosa non rinuncia mai, si percepisce che attori e momenti e stravolgimenti della Storia s’infilano a gamba tesa nel privato dell’altra storia, quella con la lettera minuscola, che vede Lucìa lottare con convinzione, arrabattarsi in condizioni di penuria, affermare la modernità coraggiosa e allo stesso tempo disinvolta di certe sue scelte.
In conclusione, dal romanzo il lettore capisce che può succedere, all’amore che incontra il marxismo, di piegarsi all’ideologia, facendosene plasmare come cera molle, o come fosse un allievo da educare con gli indottrinamenti che quotidianamente gli vengono inculcati. Ma può accadere anche che il sentimento sgattaioli dalla gabbia serrata del credo politico, recalcitrando all’incasellamento in una qualche regolamentazione o metodo. Pensiamo alle citazioni testuali di Marx ed Engels, che spessissimo fanno incursione nel testo, punteggiandolo: veri numi tutelari ogni tanto vengono invocati, Lucìa ha interiorizzato a tal punto la loro dottrina da provare a interpretare ogni ambito della vita attraverso la chiave di lettura delle teorie socialiste: ecco che l’amore però, empirico e volubile com’è, non si lascia analizzare come fenomeno sociale, né lo si può vivere come tale.
L’autrice pare voler insinuare, se non persino argomentare con un cospicuo numero di esempi incarnati in uomini ed esperienze di (dis)amore, che la vita non ha chiavi o schemi che tengano.
Lucìa deve scoprirlo tutte le volte, e tutte le volte si ripete allegra un mantra, per ciascun matrimonio fallito: si ribadisce il desiderio di emancipazione e libertà a cui pare non rinunciare mai, neppure quando uomini, Partito e società l’avrebbero preteso.
È perfino tonificante ascoltare questa voce che, dalla sua Cuba, adesso raggiunge il lettore italiano; bello dopotutto che un romanzo che parla anche di smarginare fuori dalle regole prestabilite sia stato scelto e curato e pubblicato da una realtà editoriale indipendente la quale, un po’ come la protagonista, sguscia fuori dai binari della moda che trascina, optando per una letteratura di qualità che sia sensibile e integra/onesta.
Se l’articolo ti è piaciuto, leggi anche Il tonfo pesante delle verità che non si possono dire: Cadere di Carlos Manuel Álvarez.