Pablo Picasso, Donna che piange

Isabella Morra e la crudel Fortuna delle donne

Son donna, e contra de le donne dico
che tu, Fortuna, avendo il nome nostro,
ogni ben nato cor hai per nemico[1]*

Quale destino crudele perseguita il genere femminile, dice Isabella Morra, poetessa del primo Cinquecento; nonostante Fortuna sia essa stessa una creatura mitologica femminile, è da sempre nemica delle donne.

Una metafora magistrale per rappresentare poeticamente la sfortunata condizione della donna, la quale, soprattutto all’epoca dell’autrice, era costretta a vivere nella completa sottomissione al predominio maschile.

(…) crudel Fortuna,
sì che d’ogni tuo ben vivo digiuna,
(…) fra questi aspri costumi
di gente irrazional, priva d’ingegno,
ove senza sostegno
son costretta a menare il viver mio[2].

La Fortuna è Matrigna per Isabella, come la Natura lo sarà per Giacomo Leopardi. Tra i due sembra esserci un dialogo silenzioso e complice, che oltrepassa ogni barriera temporale. Non sappiamo se il Recanatese abbia letto i versi della bella Isabella; di certo tra le loro poetiche ci sono elementi comuni, che fanno della Morra una precorritrice del suo tempo:

(…) Né mi diceva il cor che l’età verde
sarei dannato a consumare in questo
natio borgo selvaggio, intra una gente
zotica, vil; (…)

Così scrive Leopardi nelle sue Ricordanze e i suoi versi sembrano riecheggiare quelli – qui sotto riportati – della nostra poetessa, scritti trecento anni prima.

I fieri assalti di crudel Fortuna
scrivo piangendo, e la mia verde etate;
me che ‘n sì vili ed orride contrate
spendo il mio tempo senza lode alcuna[3].

Pblo Picasso, donna con libro
Pblo Picasso, donna con libro, 1932

Sono poesie superbe nel loro abito petrarchesco, che in comune con il Petrarca hanno solo lo stile, appunto.

La Morra, nella sua esigua produzione poetica, tocca vette di lirismo, non tanto per il sapiente uso degli strumenti retorici – com’era in voga tra i poeti affermati del suo tempo tra i quali il Bembo – quanto per la scelta lessicale, a volte scarna ed essenziale, tesa solo a lanciare il suo messaggio disperato.

(…)
Così, a disciolta briglia
seguitata m’hai sempre, empia Fortuna,
cominciando dal latte e da la cuna.

Isabella Morra nacque nel 1520 a Favale (oggi Valsinni) – un borgo vicino alla città di Matera – terza degli otto figli del barone Giovanni Michele Morra e di Luisa Brancaccio, esponente dell’aristocrazia napoletana. Ricevette un’ottima educazione e coltivò la sua passione letteraria, nonostante la quasi assoluta solitudine, in cui è costretta a vivere.
Quando la Francia perse la guerra con la Spagna, Giovanni Morra, essendo il feudo di Favale fedele al re di Francia, fuggì in esilio a Parigi con il secondogenito.

La mancanza del padre che tanto amava e dal quale si sentiva protetta, aleggia, così come il tema della Fortuna, in quasi tutti i pochi versi che sono arrivati fino a noi: appena una decina di sonetti e tre o quattro canzoni.

D’un alto monte onde si scorge il mare
miro sovente io, tua figlia Isabella,
s’alcun legno spalmato in quella appare
che di te, padre, a me doni novella[4]

Una volta partito il padre Isabella rimase con la madre, fragile di carattere e spesso malata, la sorella Porzia, il fratello Camillo, il più piccolo, e i mediani: Decio, Cesare e Fabio, rozzi e crudeli, che avevano in odio tanto la sua cultura quanto la superiorità morale di Isabella, che di loro dice in un colloquio poetico con il padre lontano:

Baston i figli de la fral vecchiezza
esser dovean di mia misera madre;
ma per le tue procelle inique et adre
sono in estrema et orrida fiacchezza;
e spenta in lor sarà la gentilezza
dagli antichi lasciata a questi giorni (…)

Pablo Picasso, Ragazza che legge al tavolo, 1934
Pablo Picasso, Ragazza che legge al tavolo, 1934

Unico conforto della giovane è il suo precettore Torquato, che si presterà per lo scambio epistolare tra lei e Diego Sandoval de Castro.

Chi è Diego Sandoval De Castro? Un poeta, marito di una lontana cugina di Isabella, Antonia Caracciolo, italiano appartenente a una famiglia d’origine spagnola, e solo per questo in odio ai fratelli Morra, che erano rimasti legati alla corona di Francia.

Non si è mai saputo se tra i due ci fosse una qualche relazione amorosa, di certo li legava lo spiccato amore per la poesia.

I fratelli Decio, Cesare e Fabio, scoprono per caso un carteggio del Sandoval diretto a Isabella.

Accecati dal furore, per quella che considerano una vergogna mostruosa – sia per questioni politiche, sia perché sposato – da onorare con il sangue, uccideranno prima il precettore poi Isabella e, due anni dopo, Diego.

Dobbiamo a Benedetto Croce e al suo libro sulla tragica storia di questa poetessa, i cui versi lo avevano letteralmente affascinato, la conoscenza e la divulgazione dell’esigua opera della Morra. Nel 1928, Croce si recò a Valsinni per seguire gli scavi nel castello abbandonato alla ricerca del corpo della poetessa. Della vicenda però non emerse nulla, e venne alimentata la storia del fantasma di Isabella, che si aggirerebbe di notte tra le rovine del castello in cui è stata assassinata.

Da Croce a Dacia Maraini, molti autori si sono cimentati a narrare la storia di questa donna, che oggi diremmo vittima di femminicidio, viste le orribili e quasi quotidiane notizie di cronaca.

La vita condotta dalle donne al tempo di Isabella è paragonabile a quella vissuta ancora oggi dalle donne di moltissimi paesi del Pianeta: private di autonomia, di libertà e di rispetto, mutilate nel corpo, considerate solo come merce di scambio e nutrici di prole e non meritevoli di considerazione alcuna senza un uomo alle spalle – padre, marito o fratello – che le protegga e le rappresenti.

Picasso donna

Torniamo alla poesia e all’incanto che essa produce nell’animo umano.

Torbido Siri, del mio mal superbo,
or ch’io sento da presso il fin amaro,
fa’ tu noto il mio duolo al Padre caro,
se mai qui ‘l torna il suo destino acerbo.
Dilli come, morendo, disacerbo
l’aspra Fortuna e lo mio fato avaro [5]

La Natura, incarnata dal Torbido Siri, trascende l’essere umano, rimanendo l’unico conforto, la sola speranza nella crudele solitudine, come se quel rumore di acque fossero voci, voci alle quali affidare il proprio dolore, così da sperare almeno in un riscatto futuro da parte di quella cara figura paterna, la cui attesa ormai sembra non aver futuro felice.

Fortuna che sollevi in alto stato,
ogni depresso ingegno, ogni vil core
or fai che ‘l mio in lagrime e ‘n dolore
viva più che altro afflitto e sconsolato[6]

Isabella dialoga nelle sue poesie con quel Tu impersonale e personalissimo che solo i poeti conoscono. Un’umanità intera si nasconde dentro quel tu; umanità che ci vede fratelli e sorelle che vagano in perenne lotta contro un destino amaro e sconosciuto, che rende aspra la poesia, intrisa di dolore e rabbia.

Scrissi con stile amaro, aspro e dolente
un tempo, come sai, contra Fortuna[7]

Chiudiamo questa chiacchierata su Isabella Morra con un verso, l’ultimo del sonetto Decimo, che racchiude l’essenza di un pessimismo disincantato, quasi cosmico, davvero sorprendente per l’epoca in cui fu scritto.

Dunque ogni altro sperar, fratello, è vano[8].

In onore di Isabella Morra è nato a Valsinni un parco letterario che in estate è teatro di letture di poesie e spettacoli teatrali in onore della grande poetessa.

 


Per approfondire:

Articolo sulla rivista Poesia n.312 di Crocetti Editore a cura di Samir Thabet
Articolo del Corriere della Sera del 16 settembre 2016
Da sito Donne e Poesia un articolo del 30 gennaio 2011
Isabella Morra raccontata da Rossignoli sul sito Oubliette Magazine
Isabella Morra di Bianca Consiglio, documento in pdf presente sulla rete
Consultato anche il sito Enciclopedia delle Donne
I versi sono tratti dalla selezione della rivista Poesia di Crocetti, sopracitata.<

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