Il mito di Prometeo dall’antichità al XX secolo

Friedrich Heinrich Fuger Prometheus Bringing Fire to Mankind 1817

Una delle figure eroiche più accattivanti e interessanti è senza dubbio quella del titano Prometeo, presente nella storia della letteratura dal mito greco fino alle opere contemporanee, sia come il dio che procura agli uomini la tecnica e per questo subisce una tremenda punizione, sia come plasmatore di simulacri cui dà la vita.

Molteplici le caratteristiche che di lui vengono messe in luce: da un lato ribelle ladro di fuoco, strenuo oppositore dell’ordine divino, talvolta benefattore dell’umanità e portatore di progresso. Già il nome rappresenta la caratteristica principale dell’eroe: egli è «colui che rifletta prima», in opposizione allo stolto fratello Epimeteo, che è invece «colui che riflette dopo».

Prometeo entra per la prima volta nella tradizione letteraria con il poeta greco Esiodo (VIII e VII a.C) che, nella Teogonia – una raccolta poetica di miti volti a spiegare la genealogia degli dèi –  lo presenta come figlio di Giapeto e della ninfa oceanina Climene. Il titano, in contrasto con il volere di Zeus, concede agli uomini il dono del fuoco, di cui il padre degli dèi li aveva privati per vendetta, lasciandoli in una società tecnicamente arretrata.

Peter Paul Rubens, Prometeo incatenato, 1611-1612, Philadelphia Museum of Art
Peter Paul Rubens, Prometeo incatenato, 1611-1612, Philadelphia Museum of Art.

Il gesto di Prometeo scatena terribili punizioni sia per lui che per l’umanità: egli stesso è incatenato ad una colonna, mentre un’aquila gli divora il fegato che ogni giorno ricresce, rendendo eterna la pena; mentre per gli uomini sarà Pandora, come è scritto nelle Opere e i giorni (vv.42-105) che, aprendo il vaso donatole proprio da Epimeteo, diventa origine di tutti le sventure.La figura dell’eroe viene in modo più dettagliato indagata nei suoi chiaroscuri anche nella tragedia greca Prometeo incatenato, spesso attribuita ad Eschilo, ma la cui paternità è incerta. L’opera viene datata intorno al 460 a.C. e è considerata eschilea dai critici alessandrini, ma non dagli studiosi moderni. Nel Prometeo, l’antagonista dell’eroe è Zeus, non padre giusto, ma tiranno che punisce senza pietà colui che, disobbedendo alle leggi stabilite, concede il grande dono del fuoco ai mortali. È proprio il fuoco che permette che si attui quel passaggio osteggiato da Zeus e cercato dal titano, quello dalle tenebre dell’ignoranza alla luce dell’arte e della ragione. Come si legge nel v. 267, che sintetizza tutta la consapevolezza di Prometeo, egli stesso ammette: «volendo, volendo ho peccato» (ἑκὼν ἑκὼν ἥμαρτον). Proprio questa coscienza nell’agire mette in movimento la tensione tragica tra il divino sovrano onnipotente e il titano fermo nel suo convincimento, che non rinnega il proprio ruolo di difensore del progresso.

È forse proprio la profonda autocoscienza delle sue azioni, che pure portano a una punizione, che fa guadagnare alla figura di Prometeo l’ammirazione di intellettuali, filosofi e poeti, anche nelle epoche successive: Boccaccio, per esempio, lo inserisce nella sua Genealogia Deorum Gentilium (1350-1375), in cui propone l’immagine di un eroe che libera l’uomo dalla sua condizione primitiva.

È nel XVIII secolo, però, che il mito viene più volte rimaneggiato, fino al raggiungimento di esiti talvolta antitetici. Nel libretto d’opera Pandora (1740 ca), l’illuminista Voltaire riprende il motivo eschileo della lotta contro Zeus, ma con caratteristiche differenti: le azioni dell’eroe sono infatti mosse dal desiderio di conquistare l’amore di Pandora, la prima donna dell’umanità, che tramite l’apertura del vaso aveva, secondo il mito, scatenato i mali sugli uomini. Una lettura opposta viene offerta dal filosofo Rousseau, che nel Discours sur les sciences et les arts del 1750, propone un personaggio con delle caratteristiche molto lontane da quelle del modello. Il protagonista è infatti un Prometeo malefico, colpevole di aver corrotto la felicità umana.

In pieno spirito preromantico, in seguito, Goethe, nel poemetto Prometeo (1773), ritorna al lato eroico del personaggio, che si ribella per amore dell’umanità, che è «fatta per soffrire e per piangere, ma anche per godere e gioire». Interessante è anche la lettura che Schlegel dà nel suo scritto Prometeo, del 1797, in cui l’eroe arriva a plasmare un uomo d’argilla sempre felice, sfidando l’ottusità di un mondo arcaico e retrivo.

Jan Cossiers, Prometeo porta il fuoco, 1637, olio su tela, Madrid, Museo del Prado.
Jan Cossiers, Prometeo porta il fuoco, 1637, olio su tela, Madrid, Museo del Prado.

La figura di Prometeo arriva ad essere trattata non solo in letteratura, ma anche in musica: è il caso di Die Geschöpfe des Prometheus (Le creature di Prometeo), che Beethoven scrive nel 1801, un balletto in tre atti, su coreografie di Salvatore Viganò. La trama vede Prometeo modellare delle creature nella creta che, prive di sentimento e ragione, si ribellano ad ogni tentativo di umanizzazione. L’eroe vorrebbe distruggerle, alla fine, ma viene fermato dal dio Pan: sul Parnaso, monte sacro alle Muse, le creature verranno educate tramite quelle arti che, sole, nobilitano l’uomo, come la musica e la letteratura. L’interpretazione che Beethoven restituisce del mito priva la figura del titano di quella centralità eroica ereditata dalla tradizione: le creature da lui plasmate restano il punto focale dell’azione, mentre il loro artefice non può dirsi un vero e proprio ribelle fiero della propria indipendenza dagli dèi.

Celebre ripresa successiva è quella di Byron, Prometheus (1816), seguito da Mary Shelley con Frankenstein or the modern Prometheus (1818). L’appassionante vicenda interessa anche Giacomo Leopardi, che ne La scommessa di Prometeo (1824) sottolinea, in una visione pessimistica, il fallimento di un eroe che non eleva gli uomini con la tecnica, ma realizza invece, dopo averli creati lui stesso, di aver posto nel mondo l’essere imperfetto per eccellenza. In questo scenario si colloca un’opera straordinaria per la sua unicità, il Prometheus Unbound del 1820 di Percy Bysshe Shelley, che si basa sulla tragedia greca perduta del Prometeo Liberato, opera per la quale non è possibile stabilire un autore o una data di composizione certa, di cui non resta quasi nulla, se non qualche frammento. Shelley si focalizza su una parte del mito che, fino a quel momento, non era stata debitamente approfondita: la liberazione di Prometeo da parte di Eracle e la sua successiva vittoria sugli dèi. Lo scrittore inglese si stacca dalla tradizione del mito, secondo la quale Prometeo si ricongiunge con Zeus.

Questi, che rappresenta il male e il dolore che minaccia l’umanità, viene affrontato senza timore dall’eroe, ma è soltanto nel momento in cui egli viene sconfitto che Prometeo e l’umanità intera ritrovano le rispettive libertà. Il lieto fine, tuttavia, ha un sapore amaro: nel Cielo non può essere ricercato alcun bene, né può esistere una potenza superiore che salvaguardi il mondo. Gli uomini possono essere immortali solo nello spirito e alla fine del primo atto, Shelley scrive: «Prometheus declares that peace comes with death».

Thomas Cole, Prometeo incatenato, 1846-47, olio su tela, collezione privata.
Thomas Cole, Prometeo incatenato, 1846-47, olio su tela, collezione privata.

Questa dimensione prettamente umana, che rigetta nel mondo reale tutto quanto di spirituale e religioso ci fosse dietro all’immagine del “cielo”, viene ripresa da Nietzsche nella Nascita della tragedia (1872): Prometeo è l’eroe che dà significato alla realtà tramite il proprio io, che si precipita con forza all’interno del flusso del cambiamento. Il fuoco che è stato rubato, infatti, apre all’uomo una dimensione dinamica del mondo, che viene visto come sintesi di possibilità infinite, in continua mutazione. Il fuoco che Prometeo porta agli uomini è sapere, potere, possibilità e libertà. La sofferenza che segue la punizione è il prezzo da pagare per liberare l’uomo dalla sua finitezza, è ciò che permette ai viventi di esplicare tutte le proprie potenzialità tramite la tecnica e l’autoaffermazione.

Il fascino rivoluzionario e il sacrificio di Prometeo non lasciano insensibile neanche Karl Marx che, nella sua tesi di laurea in filosofia all’università di Jena, dal titolo Differenza fra la filosofia della natura di Democrito e quella di Epicuro (1841), chiama il titano «il più nobile dei santi e dei martiri del calendario filosofico». Liberando il mondo da ogni forma di alienazione e di reificazione, egli avrebbe reso l’uomo un soggetto partecipe e cosciente del suo destino, anziché oggetto dominato dall’esterno.

Ancora in ambito musicale, Liszt, nel poema sinfonico Prometeo (1850) – in cui si rifà al Prometeo liberato del filosofo Herder, di cui, con la composizione, vuole celebrare il centenario dalla nascita – mette in musica sentimenti ed emozioni tipicamente romantici che estremizzano, in qualche modo, il modello di ideali classico della figura di Prometeo. La partitura, composta a partire da tanti nuclei originari e messa insieme solo successivamente, e sulla quale Liszt rimette mano più volte, coinvolge l’ascoltatore – che, al tempo, non sempre sembra apprezzare – con suggestioni come dolore, speranza, paura, ma anche trionfo.

Nel XX secolo Prometeo diventa l’eroe che si affatica nella strenua ricerca del bene, all’interno di un universo problematico che ha visto e subìto tutti gli orrori del “Secolo breve”. In questo contesto Cesare Pavese, nei Dialoghi con Leucò (1946), si identifica con il Prometeo incatenato alla rupe, stanco, vinto e da solo di fronte a quell’aspirazione al bene che non trova modo di esprimersi e in quel titanico rifiuto di venire a patti con la propria epoca.

Arnold Böcklin, Prometheuslandschaft, 1885, Darmstadt, Hessisches Landesmuseum Darmstadt.
Arnold Böcklin, Prometheuslandschaft, 1885, Darmstadt, Hessisches Landesmuseum Darmstadt.

Subito dopo, Camus, ne L’uomo in rivolta (1951) porta a compimento lo spirito che aveva animato fino a quel momento il 1900, offrendo una sintesi che sarà alla base della visione contemporanea di Prometeo. Egli è colui che realizza una rivoluzione metafisica, intesa come ribellione al male che permea il mondo: Prometeo, conoscendo la condizione umana che versa nella miseria, cerca di migliorarla con il dono del fuoco, concedendo agli uomini angosciati dall’idea della morte una speranza per rendere sopportabile il destino che li attende, potendo incidere, con le loro azioni, sul futuro.

Nel 1984 arriva poi sulle scene Prometeo. Tragedia dell’ascolto, una composizione musicale di Luigi Nono su libretto di Massimo Cacciari, che utilizza non solo il testo greco come fonte, ma anche scritti di vari generi ed epoche (greci e moderni). La particolarità di quest’opera è che essa non possiede un contesto scenico definito, ma è costruita su suoni in movimento, nel quale l’azione si sviluppa seguendo la trama musicale.

La figura di Prometeo, dunque possiede una fortuna vastissima, a partire dall’antichità e dal medioevo, fino all’età contemporanea. Egli, con il suo spirito “anticonvenzionale”, si presta ad essere una figura che incarna, in modo più o meno spiccato, gli ideali dell’epoca di chi ne racconta le avventure. Che si voglia mettere in luce come la ribellione di Prometeo contro Zeus sia impossibile e incontrollabile – come fanno Beethoven e Leopardi – o che si voglia idealizzare il suo coraggio, insieme alla volontà di perseguire ciò che gli sembra più corretto, come si può riscontrare nella maggior parte delle riscritture moderne e romantiche, resta il fatto che la figura del titano appare estremamente duttile per esprimere un concetto che permea, da ogni tempo, l’animo di una grande parte del genere umano: il desiderio di progresso.

È questo, infatti, insieme al voler cercare una strada che possa portare ad un futuro migliore, contro le ingiustizie e, talvolta, contro l’ordine stabilito delle cose, che spinge la storia ad andare avanti ed è questa stessa concezione, che coinvolge interamente la figura estremamente umana di Prometeo, a far sì che egli abbia potuto godere di una fortuna così grande nei secoli.

 

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In copertina: Heinrich Friedrich Füger, Prometeo porta il fuoco al genere umano, 1790-1817, olio su tela.

Diletta Pompei
Diletta Pompei

In perenne bilico tra l’animo classicista e la passione per la musica, passo il mio tempo a leggere e suonare il pianoforte, il tutto condito con un po’ di filosofia e di opere liriche. Contrariamente alla stagione in cui sono nata (autunno), mi piacciono il caldo, il sole, il mare e i gatti. Il mio sogno è poter studiare tutta la vita le cose che amo.