Franco Loi è con tutta probabilità il più grande poeta italiano vivente. Il 21 dicembre ha incontrato i ragazzi dell’associazione di teatro Studio Novecento. Loi è un maestro che non si nega mai al confronto ed è sempre entusiasta nell’incontrare i giovani. Siamo onorati (ed emozionati) nel presentare la trascrizione di questo incontro, che, per volere del poeta, si è strutturato da subito come un dialogo fra lui e il pubblico. Ne è scaturita una sorta di intervista collettiva, troppo lunga perché potesse essere presentata integralmente: abbiamo allora scelto le parti che ci sono sembrate più significative, e le pubblichiamo qui in tre puntate.
Questa, in particolare, racconta della guerra, dei bombardamenti e dell’eccidio di Piazzale Loreto, di cui fu testimone oculare, con un occhio all’odierna situazione economica e sociale. La prossima, invece, sarà un grande affresco della poetica di Loi, e dell’importanza che la poesia ha per noi; la terza, invece, scenderà più nello specifico nel rapporto che Loi ha con la poesia, e della libertà e si concluderà con la lettura della poesia De Diu sun matt, se streppa la cusciensia.
Dentro queste parole c’è la summa, l’insieme dell’uomo Loi, del poeta, dell’appassionato politico, dello scrutatore di Dio e degli uomini. Leggendo, a tratti, si capiscono le parole di Pasolini delle Lettere luterane; si capisce quell’Italia passata, prima degli anni Settanta; si sente il racconto di un poeta che è tale perché uomo, e non a scapito dell’essere uomo. Forse è anche per questo che Montale lo «stufiva», come dice, in milanese, nella lingua in cui ha scritto e in cui ci ha incantati. Ci sembra, anche, che queste parole siano forse la migliore introduzione alla sua opera, all’opera di un poeta che ha fatto del dialetto una lingua, che ha elevato la poesia dialettale a canto di una città e degli uomini, e di ciò che sta dentro di essi, e sopra, e intorno.
Ringraziamo Franco Loi, Rudy Toffanetti e Marco Pernich per aver permesso questo incontro e averci dato la possibilità di pubblicarlo.
Domanda dal pubblico:
Sperando che non sia una domanda troppo ampia: Lei ha vissuto uno dei frangenti più importanti e drammatici della Storia del secolo scorso. Frangente che secondo alcuni si sta ripresentando in questo momento, o quel frangente tende ad assomigliare molto a questo momento storico, diciamo così. Volevo chiedere, a Lei che l’ha vissuto, un suo punto di vista, da spettatore del secolo breve.
Franco Loi
Ma io… vede, io ho vissuto la guerra, ero poco meno che un ragazzo. Ma se pensa che avevo dieci anni quando ho fondato l’associazione antifascista tra i bambini… e quindi, ero come dire, piuttosto precoce, rispetto la mia età. Ma la guerra è stata una cosa tremenda. I bombardamenti… le fucilazioni, il padre di un mio amico è stato fucilato in Piazzale Loreto, il mio maestro di scuola anche, un ospite di un mio vicino di casa, a sua volta. Quindici persone, scelte nel quartiere: le hanno fucilate, a piazzale Loreto.
Tra l’altro, la verità morì fanciulla, come diceva mio padre, perché la verità non è mai detta. In realtà, non è successo come hanno raccontato, che dei partigiani hanno assalito il comando tedesco a piazzale Loreto: semplicemente c’era uno, uno scriteriato, che è andato a sparare e a uccidere sei milanesi e questo tedesco, che dava da mangiare ai poveri, praticamente. Questo lo so perché il nipote di Umberto Fogagnolo, un altro dei fucilati di piazzale Loreto, ha raccontato questa cosa, perché ha conosciuto la persona che ha sparato.
Però i giornali non l’hanno detto, e nessuno lo dice ancora adesso. Perché tutti avevano interesse a non far sapere com’erano andate le cose: prima di tutto i tedeschi e i fascisti, perché per ogni ufficiale tedesco… pensate all’assurdità di questa cosa: per ogni ufficiale tedesco, dieci persone italiane. Venivano prese a San Vittore e fucilate. Più cinque perché è morto anche un soldato. Così han scritto i giornali. È morto un ufficiale tedesco perché è i partigiani han fatto un attentato a un camion fermo davanti al comando tedesco. E invece non è assolutamente vero.
Però nessuno l’ha mai detto, né prima né dopo; né i fascisti, né gli antifascisti. E allora questo la dice lunga sulla gente, e di come le abbiamo passate, di cose spiacevoli, oltretutto privandoci di sapere la verità, cosa è successo. Per cui hanno preso quindici persone nel rione che da Loreto andava a Lambrate, e qualcuno che invece abitava lì dove eravamo noi, e poi invece a Sesto San Giovanni. E allora, era tremendo. Anche la radio Londra, che noi ascoltavamo, diceva: «Gli obiettivi militari sono stati colpiti». No: alla ferrovia, per esempio, a Lambrate, non è mai stata gettata una bomba.
Mentre invece sono state colpite le case, è morta gente, tanta gente, vicino a Viale Abruzzi; è caduta una bomba in una ditta che faceva il vino. Nella cantina avevano le botti di vino, e loro sono morti annegati nel vino, perché è crollata la casa e son rimasti chiusi dentro.
Io, che li ho visti, a piazzale Loreto, i morti, non ho riconosciuto né il padre del mio amico, né il vicino di casa, e nemmeno il mio maestro di scuola. Perché erano tutti, come dire, molto deformati… l’ospite della casa vicino al mio appartamento, sicuramente l’hanno preso a pugni, perché era sanguinante tutto in faccia… e poi un colpo di rivoltella – non è stato fucilato, gli hanno sparato. Perché lui ha cercato di scappare. Faceva l’autista di un commissario di polizia, il quale faceva il doppio gioco.
Era della polizia fascista, però il suo commissario portava le armi ai partigiani, in montagna. E lui guidava la macchina. Ma non sapeva niente. Hanno arrestato sia il commissario sia lui. Il commissario non abitava nella zona, e allora hanno preso l’autista, e l’hanno fucilato insieme agli altri. E ha cercato di scappare, ma era meridionale e non conosceva bene la zona, e naturalmente gli hanno sparato nelle gambe, l’han picchiato e gli hanno dato un colpo di rivoltella, nella tempia, e l’hanno buttato sopra i morti. Quando l’ho visto io, c’era il mucchio dei morti e sopra c’era questo con la faccia tutta insanguinata, e le mani così, davanti a sé, come se si difendesse da qualcosa. Poi c’era il padre del mio amico, che non ho riconosciuto, e l’ho saputo dopo; era steso, i piedi toccavano il mucchio dei partigiani, caduti l’uno sull’altro.
Il mio maestro di scuola era una bravissima persona, un pensionato di una certa età; l’han preso da San Vittore; il padre del mio amico, ha capito che lo portavano a fucilare perché avevano detto a tutti che li trasferivano a Monza. Ma quando ha visto che imboccavano la strada, allora ha capito, gli è venuta… ha avuto l’intuizione che non li portavano a Monza, perché c’erano altri tedeschi… e soldati della Muti. E allora è scappato, ma andando verso Corso Buenos Aires e girando dentro… – mentre era sul camion ha scritto un biglietto, me l’ha dato suo figlio, da leggere, dove diceva: «Mi raccomando, fai in modo di studiare, Sergio… Non pensateci troppo. Quel che è successo è successo.» Questo biglietto l’ha buttato giù dal camion, e qualcuno l’ha raccolto e l’ha fatto avere alla famiglia, perché c’era scritto l’indirizzo.
Vedi, rispetto al tempo che viviamo oggi, è un’altra cosa. La fame. Mio pane per esempio non ha mai voluto comprare alla borsa nera. Per cui noi mangiavamo riso, riso e pane nero non lo mangiavamo, perché… sapete come lo chiamavamo a Milano? El pan de resegavitt, il pane di segatura. Uno schifo proprio. Ogni tanto il fornaio ci faceva il pane, di nascosto, che se lo trovavano – ecco questo è un segno che, per quanto fossero brutti i tempi, la gente, non è come oggi, la gente aiutava gli altri; anche quelli che stavano meglio, ceto medio, aiutavano la gente che era povera; c’era una grande lealtà, una grande voglia di stare assieme, era tutto un altro discorso, rispetto a oggi. Oggi il guaio grande è proprio la solitudine degli uomini.
C’erano le ideologie e le teologie; il comunismo, il marxismo leninismo – io ero uno di quelli – e poi c’era la Chiesa Cattolica. Tutto questo, oggi, è sparito. E questo fa sì che la gente non faccia più il suo dovere. E poi c’è la tecnologia: là dove occorrevano cento operai, ne basta uno; gli altri non lavorano. Questa è la crisi vera. È la crisi della coscienza degli uomini e del modo di lavorare. E questo è solo l’inizio. Tra cinquanta o cento anni, quel poco di lavoro che c’è, sparirà anche quello. Non è una semplice crisi passeggera. È uscito nel 1940, in Francia, un libro di uno storico e filosofo, che è intitolato Medioevo prossimo venturo. Perché la Francia prima di noi ha vissuto questa situazione[1].
Ma la cosa peggiore è che è sparita quell’umanità che c’era allora. Lo dico sempre a chi viene a casa mia: quand’ero in via Teodosio, conoscevo gente da piazza Loreto, a Lambrate, in via Pacini; andavamo casa per casa a parlare con la gente. Adesso non ti aprono neanche, se suoni il campanello. E questo isolamento sociale, conta, conta tanto: padre Turoldo diceva sempre, quand’ero comunista, che il male non è la povertà – lui era nato in una famiglia di poveri, anzi, misera, anche, un po’ misera – perché il povero aiuta chi ha meno di lui; ma il grande male è la ricchezza, perché chi è più ricco vuole ancora di più.
E questa è una grande verità. Quelli che si sono arricchiti, sono diventati peggiori dei capitalisti che c’erano prima, perché i capitalisti dell’Ottocento, ad esempio… Qua vicino, c’è un paesino… come si chiama… Crespi. Crespi aveva costruito le case per gli operai, ed erano tutte ville con giardino. E quel villaggio è una cosa meravigliosa. E così era a Sesto San Giovanni. Adesso, ma neanche si sognano. Naturalmente, quei capitalisti sono morti, ma quelli che sono venuti fuori – quelli erano gente che aveva sofferto e amavano la gente perché sapevano cosa vuol dire lavorare per sopravvivere. E fino agli anni sessanta, la gente era straordinaria.
A Milano, se andavi in piazza del Duomo, ti salutavano. Adesso se dici buongiorno a uno per strada, ti guardano come dire «ma l’è matt?», ma è matto? E questa è un’altra cosa molto grave. Perché non c’è più la società, non c’è più la comunità. Perché nel momento in cui si perde il contatto tra la gente, l’incontrarsi… ecco, anche i luoghi d’incontro: c’erano 115 cinema a Milano, finita la guerra. 115 cinema. Più i teatri. Più le librerie, tantissime. E quindi la cultura era una delle cose importanti che circolavano tra la gente. Anche gli operai. Adesso se chiedo a qualcuno se ha letto della guerra di Troia, non sa neanche cosa sia. È questa la decadenza.
La fotografie di copertina è di Luca Sala, che ringraziamo.
Franco Loi (Genova, 1930) è un poeta e scrittore italiano. Ha scritto in milanese, italiano, genovese e colonnese (dialetto di un paese emiliano dov’era nata la madre). Giovanissimo, si è trasferito a Milano, dove ha sempre vissuto. Ha pubblicato con Einaudi la raccolta di poesie Stròlegh, nel 1975; con Il Ponte pubblica Lünn nel ’78; nell’86 pubblica Bach, mentre nel ’94 esce l’edizione definitiva del suo romanzo in versi, L’angel.