Ci sono libri che ti lasciano in mente una gran voglia di fare. Di scriverne, di parlarne, di studiarci sopra. Altri invece ti fanno rimanere lì, in silenzio. Senti che c’è qualcosa di grande dentro e non sai cosa sia, lo cerchi e non riesci mai veramente a trasformarlo in parole. Elmet, il romanzo di Fiona Mozley recentemente pubblicato da Fazi, è proprio uno di questi.
Ai margini di un boschetto fatto di querce faggi e altre decine di alberi, nello Yorkshire, un giorno sorge una casa, dal nulla. A costruirla, per avere un posto dove vivere nel vasto mondo (crudele), sono un padre con i suoi due figli adolescenti, Daniel e Cathy, fratello e sorella legati da un rapporto profondissimo, da un amore che supera le differenze tra i due e che si fa forte proprio di questa diversità, dello sguardo limpido con il quale osservano il mondo, giudicano le persone, agiscono.
Laddove Daniel è un ragazzo calmo e riflessivo, Cathy risulta essere una giovane donna determinata, coraggiosa e volitiva. Entrambi, però, condividono paure e dubbi rispetto a un mondo che non loro non è stato clemente.
Su di loro, poi, giganteggia l’ombra (e la protezione) del padre, un pugile non professionista, un omone così grande che sembra ricordare i grandi orsi delle foreste primordiali, quegli orsi che erano stati rivestiti, durante i primi secoli del millennio medievale, di un’aura sacrale, perché forti, perché invincibili.
In effetti, lungo l’arco del romanzo, questo padre colossale e selvatico – tanto selvatico da essere degradato più volte a bestia – viene paragonato ad un animale gigantesco da Vivien, un’amica della famiglia protagonista del racconto, uno dei non molti personaggi che respirano tra le pagine della storia.
Parlando con Daniel, il più giovane, la donna tesse un paragone che costituisce una delle pagine più belle del romanzo:
«Hai mai visto una balena, Daniel?»
(…)
«E in televisione ne hai mai vista una saltare?», domandò lei «Escono completamente dall’acqua e poi vanno di nuovo a sbattere contro la superficie del mare. (…) Nuotano per giorni, o anche settimane, si nutrono, dormono, respirano e cominciano a pensare all’ultima volta in cui sono balzate fuori dall’acqua e a quello che hanno sentito quando la testa, e poi il corpo e le pinne, e poi la coda, tutto quanto è emerso dal mare, e a cosa hanno provato librandosi per un attimo in una sostanza che gli riempiva i polmoni ma gli seccava gli occhi. E poi ricordano soprattutto come è stato ritornare in acqua dopo quell’attimo trascorso in aria. Il tonfo. Lo spruzzo. La balena continua a ripensare al balzo, sempre più spesso, finché il bisogno di ripeterlo diventa irresistibile, e allora si lancia fuori dall’oceano e subito ricade di nuovo. E per un po’ si placa. Tuo padre è così, credo. E come una grande balena. E quando combatte, per lui quello è l’equivalente del salto. Però più sanguinoso, molto di più. (…) Lo calma»(Fiona Mozley, Elmet, trad, di Silvia Castoldi, Fazi Roma, 2018.)
Come un enorme cetaceo il padre dei due ha una mente sfuggente, immersa nei silenzi, possiede un corpo dedito all’azione e che nell’azione (non per forza violenta) si esaurisce
Un cuore ramingo stanco di fuggire, che tenta (letteralmente) di costruire un futuro per i suoi due figli, un futuro e ancor prima un presente senza cedere a compromessi (con la società, col mondo) e perciò già nel suo atto di nascita condannato ai margini.
I margini del boschetto, dietro i binari della vecchia ferrovia, sono un confine tanto reale quanto simbolico. Tra gli alberi si respira la libertà, la possibilità di essere se stessi sino in fondo, l’occasione di non dover rendere conto e ragione a nessuno
La casa è un rifugio, il nido familiare nel quale poter trascorrere gli inverni, fatta da stanze e pareti da poter arredare con ricordi lieti, da poter riempire col profumo della vita quotidiana che placida scorre lungo il sentiero degli anni.
Elmet è il nome altomedievale della parte di Yorkshire in cui è ambientato il romanzo: un regno remoto, ultima roccaforte dei popoli celto-romani circondati dai nuovi popoli germanici, ancora selvaggio. Poprio come Elmet, la piccola famiglia, ai margini della società, si deve confrontare con l’esterno, accettarne le regole e convivere, oppure, al contrario, lottare con violenza, con tutti i modi in cui questa si può manifestare e renderli vittime, ancora una volta, di quel mondo dal quale hanno cercato di fuggire.
Fiona Mozley costruisce, come i suoi protagonisti con la loro casa, un romanzo solido, colmo di descrizioni liriche dal sapore quasi ottocentesco che ci immergono in un’atmosfera onirica fatta di sogni destinati a infrangersi contro la dura realtà. Una realtà e un mondo che non dimentica nessuno, soprattutto i più poveri, soprattutto gli spiriti liberi in cerca di tranquillità, di una serenità pura non inficiata dalla corruzione che irrimediabilmente corrode gli uomini che attraversano il mondo o, semplicemente, vivono.
Leggi tutti i nostri articoli sulla letteratura
In copertina: André Derain, L’estaque, 1905