L’eccezionalità della figura di Dioniso: dualismo e polimorfismo

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La figura del dio Dioniso, Bacco per i Romani, è una delle più interessanti e controverse del pantheon greco tradizionale. Sia l’etimologia del nome greco che di quello con cui viene venerato dai romani è incerta. Il primo deriva probabilmente dai termini Dios (Διός, cioè “di Zeus”) e nysos (νύσος), termine ignoto di cui si suppone un’origine tracia, che significherebbe “ragazzo, fanciullo”: Dio-nysos sarebbe allora il “fanciullo di Zeus”[1]. Il nome con cui viene conosciuto a Roma deriva invece forse da un termine lidio, bakchos (βάκχος), che significa “urlo, grido”.

Del mito di Dioniso esistono diverse versioni, una delle quali lo identifica come figlio di Demetra, ma quella più conosciuta lo vede come progenie di Semele, figlia mortale di Cadmo re di Tebe, e Zeus. La donna, istigata da Era gelosa, chiede al re degli dèi di mostrarsi nelle sue vere sembianze: Zeus appare sotto forma di folgore e fulmina Semele. Il figlio che ella porta ancora in grembo, però, viene salvato e cucito da Efesto nella coscia di Zeus, dove viene protetto fino al momento della nascita[2].

La versione tramandata dall’orfismo – movimento religioso che, rispetto alla tradizione greca, aveva un carattere più spiccatamente soteriologico e metteva in rilievo l’esigenza di un’ascesi etica personale – vede invece Dioniso, chiamato Zagreo, ucciso dai Titani, che lo avrebbero fatto a pezzi per poi cibarsi delle sue carni. Alla fine Zeus, conosciuto il misfatto, farebbe nascere una seconda volta Dioniso, proprio utilizzando una parte rimasta del suo cuore.

Una volta venuto – o tornato – al mondo, per sfuggire alle ire di Era, il dio viene mandato presso Atamante e Ino, sorella di Semele, dove viene nascosto nei panni di una fanciulla. Successivamente, ancora in fuga, verrà trasformato in capretto nella regione della Nisa, in Asia, dove scopre la vite e diventa dio dell’arboricoltura. Viene poi condotto alla pazzia dalla moglie di Zeus ma, dopo aver errato per molte terre, giunge in Frigia, dove Rea lo purifica e gli insegna proprio quei riti misterici di cui diventa protettore. In seguito a numerosissimi viaggi, che lo conducono anche in India, Dioniso riesce ad affermare il suo culto: chi gli si oppone, come Licurgo o il Penteo delle Baccanti (Euripide), deve sottostare a delle punizioni tremende. Infine, sceso negli inferi, riporta in vita la madre Semele e la rende immortale.

William Adolphe Bouguereau, Baccante, 1894
William Adolphe Bouguereau, Baccante, 1894

Dioniso, che affronta numerose avventure lungo il suo cammino per affermare la sua natura divina, non è solamente il dio protettore della vite e del vino, ma anche della natura primordiale e selvaggia, cioè ctonia: Omero lo collega, per esempio, con alcune piante selvatiche, come il pino e l’edera, e con alcuni animali selvaggi. Egli è anche il dio della forza della natura ciclica e della linfa vitale. Lo studioso Karoly Kerényi[3] osserva inoltre come la consacrazione divina del fanciullo si compia mediante il passaggio attraverso il sacrificio, dopo il quale avviene definitivamente la sua identificazione con un essere divino. Proprio questa morte rituale, che ha carattere simbolico, insieme alla separazione del corpo del dio e alla riaggregazione – che avvengono nel mito di Dioniso Zagreo – sono le fasi proprie di un rito di passaggio, lo stesso che forse veniva rievocato e rivissuto proprio nei riti di iniziazione che si avevano nel culto privato della celebrazione di Dioniso.

Se infatti da un lato il dio era celebrato nelle feste pubbliche, come le Antesterie e le Grandi Dionisie, che avevano lo scopo di ricondurre sotto il controllo della polis gli atteggiamenti fuori dalla norma tipici dei riti bacchici, dall’altro, il culto veniva celebrato in gran parte in privato, da gruppi ristretti di iniziati che facevano voto di silenzio. I partecipanti erano principalmente donne, chiamate Baccanti, che, attraverso l’utilizzo talvolta di maschere e tirsi, invocavano la presenza soprannaturale di Dioniso. Gli uomini, che potevano essere indistintamente schiavi o uomini liberi, si camuffavano da satiri e il corteo, ebbro di vino, chiamato tiaso, danzava sotto i ritmi vorticosi del ditirambo. In questo contesto, in cui schiavi e persone libere entravano a stretto contatto, venivano stravolte le strutture morali e sociali del mondo abituale.

Il carattere peculiare di questi riti, unitamente al fatto che Dioniso fosse il figlio di una mortale che si era in qualche modo dovuto “guadagnare” lo statuto di divinità, fa sì che molti studiosi, nel passato, abbiano identificato Dioniso come una figura quanto mai particolare rispetto a quelle presenti nel pantheon greco, tanto da pensare che il suo mito non fosse greco, ma che derivasse dalla Tracia o dalla Frigia. Tuttavia, grazie alla decifrazione della scrittura lineare B da parte di M. Ventris e J. Chadwick[4] si è scoperto che Dioniso veniva menzionato in due antiche tavolette micenee rinvenute nel palazzo di Pilo risalenti al XIII sec. a.C. In una compare solamente il nome di-wo-nu-so-jo, ma nell’altra questo appare connesso al termine wo-no-wati-si (PY Xb 1419), che richiama il nome greco del vino, oinos (οἶνος), di cui Dioniso si erge quindi definitivamente come protettore.

Luca Giordano, Bacco e Arianna, 1675-80
Luca Giordano, Bacco e Arianna, 1675-80

L’eccezionalità della figura di Dioniso presenta delle similitudini, inoltre, con quella di Osiride, del dio Mitra e, allo stesso tempo, alcune sue caratteristiche confluiranno nella figura del Cristo. stato vittima del complotto organizzato dal fratello Seth e per questo annegato nel fiume Nilo. Dopo essere stato smembrato, Osiride sarebbe comunque stato riportato in vita dalle pratiche magiche delle sorelle Iside e Nefti.

Per quanto riguarda invece il dio persiano, caratteristiche che accomunano Dioniso con Mitra fanno riferimento, forse, proprio al culto che del dio greco si aveva in Tracia, che aveva maggiori punti di contatto con i riti agrari e ctoni. Egli era, in primo luogo, visto come dio del sole e, secondo Erodoto[5], la sua figura sarebbe legata a quella del cosiddetto “cavaliere tracio”[6], che presenta insieme caratteristiche dionisiache e solari, a cui si aggiungono gli attributi del dio guerriero e di protettore delle funzioni funerarie tipici anche del dio Mitra.

Talvolta, punti di contatto evidenti si hanno con la figura di Cristo che, come Dioniso, è legato al concetto di sacrificio inteso come mezzo con cui l’uomo viene liberato dalla sua parte più legata al male. Entrambi sono legati alla bevanda del vino – che però viene vista in due accezioni differenti; nel cristianesimo cattolico diventa infatti il sangue di Cristo – e al concetto di rinascita, intesa nel senso di vittoria sulla morte.

Gli esempi proposti non si pongono l’obiettivo di rappresentare in modo esaustivo il vastissimo panorama che si incontra quando si tocca l’argomento delle religioni antiche, di cui si possiedono pochissime testimonianze manoscritte e solo alcune evidenze archeologiche e antropologiche, ma possono essere utili, a titolo esemplificativo, per mostrare l’eccezionalità di Dioniso all’interno del complesso panorama delle divinità antiche. Nella religione greca, infatti, nella figura del dio si individuano contemporaneamente sia la natura di protettore dei misteri, dei riti che conducono l’uomo all’uscita dal sé nell’ebbrezza del vino, alla dissoluzione dell’identità; sia l’essenza del dio della coesione collettiva, che riunisce persone di estrazione sociale diversa[7].

Jacob Jordaens, Bacco e Arianna, 1648
Jacob Jordaens, Bacco e Arianna, 1648

Proprio l’elemento del vino mostra come, a buon diritto, Dioniso possa essere visto come una divinità che presenta un dualismo “speciale”. Se infatti, da una parte, il vino può condurre l’uomo a contatto con il suo lato più selvaggio, piacevole e pericoloso al tempo stesso, d’altra parte è anche una sostanza che, per essere prodotta, necessita di un preciso sapere tecnico, che coinvolge le precise regole della viticoltura, di cui Dioniso si fa garante.

Come il vino, che possiede un duplice aspetto, tutto ciò che si collega alla figura di Dioniso possiede un carattere dualistico: dalle sue sembianze che oscillano tra quelle maschili e femminili, alle creature legate al culto del dio; i satiri e i sileni, ad esempio, possiedono busto di uomo ma zampe e coda equine o caprine. Il dualismo è presente, come è stato visto, anche nella tipologia di feste dionisiache, che se da un lato promuovono atteggiamenti trasgressivi e fuori dalla norma, dall’altro cercano di ricondurre questi aspetti alla quotidianità.

Ugualmente, le teofanie del dio corrispondono contemporaneamente al caos ctonio, quando si manifesta sotto forma di animali selvaggi, e al ritrovato equilibrio vitale, quando compare, per esempio, come vecchio. Per le sue mutazioni, Filostrato[8] afferma che Dioniso possiede apparenze multiple: proprio per questo si può affermare che è polimorfo e appare in svariate teofanie, come l’uomo barbuto, l’efebo sorridente, il toro e il serpente[9]. Secondo Mircea Eliade, Dioniso sorprende per la molteplicità e la novità delle sue epifanie, per la varietà delle sue trasformazioni: «È, senza dubbio, l’unico dio greco che, rivelandosi sotto aspetti differenti, affascina e attrae tanto i contadini che le élites intellettuali, i politici e i contemplativi, gli orgiastici e gli asceti[10].

Il dualismo che coinvolge la figura di Dioniso, quindi, non è di carattere ontologico, egli infatti non possiede un alter ego negativo che rappresenta il male (come avviene invece per Mitra o per altre divinità come Ahura Mazda), ma è un dualismo che talvolta si declina nel polimorfismo, che coinvolge la figura stessa del dio e che permea tutta la sua essenza e che per questo lo rende una figura differente rispetto alle altre del pantheon greco e non solo.

 


Per approfondire:

M. Detienne, Dioniso e la pantera profumata, Roma-Bari 2007.
K. Kerényi, Gli dèi e gli eroi della Grecia, Milano 1963.
K. Kerényi, Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Milano 1992.
M. Eliade, Storia delle credenze e delle idee religiose, vol. I: Dall’età della pietra ai Misteri Eleusini, Firenze 1979.
W. F. Otto, Dioniso: mito e culto, Genova 2006.
R. Pettazzoni, L’onniscienza di dio, Torino 1955.
M. Ventris, J. Chadwick (Commentary and Vocabulary by), Documents in Mycenean Greek. Three hundred Selected Tablets from Knossos, Pylos and Mycenae, Cambridge 1956.
 J.-P. Vernant, P. Vidal-Naquet, Mito e tragedia II, Torino 2001.

Diletta Pompei
Diletta Pompei

In perenne bilico tra l’animo classicista e la passione per la musica, passo il mio tempo a leggere e suonare il pianoforte, il tutto condito con un po’ di filosofia e di opere liriche. Contrariamente alla stagione in cui sono nata (autunno), mi piacciono il caldo, il sole, il mare e i gatti. Il mio sogno è poter studiare tutta la vita le cose che amo.