Piöva, gh’è la nebbia e piöva,
e ‘m piöva dentar intänt che un vegg al suna
e piängia al pianofort.
G’ho un po’ trop büs adoss
e sensa recipient as ciapa gnent,
i gut i sbàtan cuntra j oss
me una turtüra, i scavan l’anima
e la mort l’aspéta in fund.
Piöva, piöva e siguita a piöv
sempar pussè fort quänd
am mèti giù a gaton me un cän, quänd
ma scundi in un canton
par vess no vist da ti e no truà
ad la sira negra e pussè ammò.
Tra tüt al piöv pusibil quel che ‘t bagna
l’è sempar al pussè bastard e l’è una lagna
‘l gir, s’al g’ha né inìssi né una fin.
Present l’è sperà intänt
che ‘l passà al s’è sügà sü.
E ‘l fütür l’è una vision, una specie d’übidiensa,
una viulensa dass j urdin cun custänsa.
E la speränsa l’è nient’ altar
che un’altra privassion, un’altar culp a l’anima.
E l’anima ca spera l’è una stänsa vöida.
L’è un’anima sula.
Piove, c’è nebbia e piove, / e mi piove dentro intanto che un vecchio suona / e piange al pianoforte. / Ho un po’ troppi buchi addosso / e senza recipienti non si prende niente, / le gocce sbattono contro le ossa / come una tortura, scavano l’anima/ e la morte aspetta in fondo. / Piove, piove e continua a piovere/ sempre più forte quando / mi metto a gattoni come un cane, quando / mi nascondo in un angolo / per non essere visto da te e nascosto / dalla sera nera e di più ancora. / Tra tutte le piogge possibili quella che ti bagna / è sempre la più bastarda ed è una lagna/ il giro, se non ha inizio né fine. / Presente è sperare intanto/ che il passato si è asciugato. / Il futuro è una visione, una specie d’obbedienza, / una violenza darsi gli ordini con costanza. / E la speranza non è nient’altro / che un’altra privazione, un altro colpo all’anima ./ E l’anima che spera è una stanza vuota. / È un’anima sola.
È un libro che non accetta distanze, quello di Davide Ferrari. Nessun imbarazzo o timidezza di cominciare a conoscerlo. È contro l’etichetta, e non ti prenderà per mano invitandoti piano piano a entrare nei suoi ingranaggi. È una galleria, un palazzo con la facciata decisa che appena lo sbirci ti crolla addosso in frasi e situazioni.
È un libro che prima di essere un libro è un attore di commedia dell’arte, o meglio tante maschere di commedia dell’arte, e quello che ti resta da fare è solo ascoltarli mentre saltellano fra gesti frenetici e versi in dialetto: sorridigli, dagli la mano e lasciati coinvolgere. Quelle che si aprono prima di poesie sono personaggi, volti che appaiono e ti raccontano un brandello della loro vita senza fornirti il quadro generale, come se foste vecchi amici e sapeste già tutto uno dell’altro. Perché quello che ogni poesia sottintende è una forma di fraternità con il lettore: una vicinanza di esperienza e vita. Qui avviene l’incanto, lo scatto lirico rifiutato sul piano stilistico: improvvisamente ti trovi immerso in una vita quotidiana che è altro, che è trasfigurata.
I vecchi che osservano il tempo passare assumono l’aria dei santi, dei mistici, grazie a quel loro stare perpetuo; la stessa sacralità però diventa qualcosa che si intoppa nella vita quotidiana, tra il riso e il pianto, un inaspettato che non ha né grazia né pesantezza retorica – è un fatto su cui fermarsi a pensare. Anche la morte è un’esperienza, una storia e una situazione, e mai un pensiero. E anche qui si alternano le tinte del tragico e quelle del comico, nella composizione del gioco teatrale di parti, ruoli e situazioni che anima tutto il libro. Insomma si tratta di un libro frenetico, e non posato come ci si aspetterebbe stando alla comune e banale idea di poesia. All’interno di questo modo rocambolesco ci sono versi e poesie che sono spaccati lirici, che pesano come sassi e cementano il libro, rendendolo “poetico” davvero, al di là del retorico.
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Davide Ferrari è nato a Pavia il 13 Gennaio 1983. Si occupa di teatro, poesia, scrittura creativa e formazione. Scrive poesie in italiano e in dialetto pavese. Ha pubblicato Missing Link (O.M.P.,2010), Anime arrangiate (2010, autoprodotta), La cenere dei bordi (Subway, 2013). La poesia qui pubblicata è tratta da Dei pensieri la condensa (Manni, 2015)