Il Trono di Spade, Chinese Edition – I
Nella lunga storia della Cina, l’Epoca delle Primavere e degli Autunni risulta essere una delle più ingannevoli. Sfoggiando questo nome da commedia romantica con Hugh Grant, sembra fatta apposta per nascondere al lettore appassionato la propria vera natura: quella di un’era di conflitti politico-militari senza fine, circondati da una rete di sottotrame che fanno sembrare Game of Thrones uno spin-off della Pimpa[1].
Ai tempi dei fatti che ci apprestiamo a raccontare, la parte più a Oriente di quella che noi oggi chiameremmo Cina è formalmente sottomessa a un sovrano, un re che appartiene alla dinastia Zhou. Dico “formalmente” perché, in realtà, i territori soggetti all’autorità del re sono spezzettati in tutta una serie di potentati regionali, il cui sport preferito sembra consistere proprio nell’ignorare quell’autorità. I complicatissimi rapporti intessuti da questi potentati sono stati descritti, non si sa con quale grado di effettiva fedeltà storica, principalmente in due opere letterarie: le Primavere e Autunni, un enigmatico testo attribuito a Confucio in persona[2], e il Commentario di Zuo.
Scopo di questo e dei prossimi due articoli sarà fornire uno stringato resoconto di quello che, se fosse stato narrato dall’ingegner Gadda, si sarebbe intitolato Quer pasticciaccio brutto der ducato de Qi, un vero e proprio romanzo i cui avvincenti capitoli coprono la seconda metà del VI secolo avanti Cristo.
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Nel 554 a. C., poco dopo aver fatto conoscere ai propri sudditi la vergogna di un’eclatante sconfitta in battaglia contro le armate del ducato di Jin, il duca Ling di Qi si appresta a lasciare questa valle di lacrime. A succedergli sul trono chiama il Venerabile Ya, figlio di una sua consorte secondaria; si tratta di un’irregolarità procedurale che fa sensibilmente incazzare quello che, se il duca non si fosse pronunciato in merito, sarebbe stato il suo legittimo erede: un’arrogante giovanotto di nome Jiang Guang. La situazione è molto precaria, e uno dei cortigiani del duca pensa di sfruttarla per fare un po’ di carriera.
Il ministro Cui Zhu capisce che, se il Venerabile Ya diventasse il nuovo duca, il suo status di erede-non-proprio-proprio-legittimo potrebbe causargli non pochi problemi di credibilità. Per rendergli le cose più facili, decide di assassinarlo. Sua madre, la consorte secondaria del duca, viene trucidata, e il suo cadavere abbandonato a disfarsi in una delle stanze della corte (cosa che, come ci informa con squisito tatto il Commentario di Zuo, non era in accordo con le norme rituali. Oh.) La linea di successione è ripristinata, e alla morte del padre il giovane Jiang Guang sale al trono; il nome con cui d’ora in avanti cominceremo a chiamarlo è quello onorifico che in realtà ha ricevuto soltanto dopo la morte, ma anche quello con cui è stato consegnato alla storia: duca Zhuang di Qi.
Il duca Zhuang di Qi regna per poco, ma in compenso regna male. Ignorando il parere di Yan Ying, uno dei suoi principali consiglieri, decide di cominciare a fare qualche passo verso una piena rivincita contro il potentissimo ducato di Jin, quello che poco tempo prima aveva sbaragliato in guerra l’esercito di suo padre. In un simile contesto, desta scalpore nei ministri del duca la sua decisione di accogliere a corte alcuni foschi personaggi mandati in esilio dal signore di Jin. Lo stesso Cui Zhu, il ministro che l’ha piazzato sul trono col suo colpo di stato, pensa che «se un piccolo paese approfitta dei problemi di un grande paese per tentare di rovinarlo, le sue azioni non saranno prive di terribili conseguenze[3]». Il duca non dà ascolto nemmeno a lui.
Ora. Qualsiasi manuale di strategia politica sottolinea che, se qualcuno fa sventrare un’intera famiglia per permetterti di raggiungere una posizione di potere, questo qualcuno dovrebbe diventare degno della tua massima considerazione. Ma il duca Zhuang evidentemente legge poco, anche perché, sei anni dopo essere salito al trono, il tempo utile per la lettura comincia a essergli sottratto dal suo nuovo passatempo preferito: portarsi a letto la moglie di Cui Zhu.
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Il duca Zhuang, per dirla tutta, non si accontenta di mettere le corna all’uomo che l’ha condotto al potere annientando il suo fratellastro: il duca Zhuang si diverte a mettergli le corna. Per dare al lettore una misura precisa della stupidità del nobiluomo, il Commentario di Zuo riporta aneddoti come questo:
Il duca Zhuang aveva una relazione con la signora Jiang [la moglie di Cui Zhu]. Dal momento che si recava spesso a casa sua per questo motivo, cominciò a rubare i berretti di Cui Zhu e a regalarli ad altre persone. Il suo attendente commentò: «Questo non potete farlo». Il duca Zhuang rispose: «È mai possibile che uno debba andarsene in giro senza berretto soltanto perché non è Cui Zhu?[4]»
Ammettiamolo, come battuta non è affatto male. È che Cui Zhu non aveva senso dell’umorismo.
Un giorno dell’anno 548 avanti Cristo, Cui Zhu fa sapere al duca di essere malato e di non potersi muovere dal letto di casa sua. Obbligato dalle norme di cortesia a far visita al leale ministro, il duca Zhuang pensa di approfittare dell’occasione per appartarsi come al solito con la di lui moglie. Si reca al palazzo di Cui Zhu, e appena entra si accorge che un eunuco del suo seguito ha fatto chiudere dietro di lui tutte le vie d’uscita. Va a cercare l’amante, ma non la trova: si imbatte invece in una banda di servi armati, di tutto meno che di buone intenzioni. Il duca si presenta come il signore del paese e ordina di essere lasciato andare.
«Il suddito Cui Zhu è gravemente ammalato», rispondono i servi, «e non può attendere ai comandi del suo signore. Poiché il suo palazzo è vicino alla corte del suo signore, noialtri abbiamo ricevuto l’incarico di fare un giro di ronda per evitare che qualche depravato tenti di entrare. Questo è l’ordine che abbiamo, e non ne conosciamo altri[5]». Il duca Zhuang capisce il gioco e tenta di scappare arrampicandosi lungo uno dei muri di cinta, ma viene fermato da una freccia che gli si conficca nella coscia. Precipita al suolo, dove i servi lo finiscono a suon di tagli.
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Per Cui Zhu, adesso, comincia la parte più delicata dell’operazione: manovrare gli eventi in modo da non farsi giustiziare per alto tradimento. Per prima cosa si assicura la complicità di un altro membro del governo, un oscuro ministro di nome Qing Feng, quindi fa radunare in un tempio tutti i personaggi più in vista della corte. In una macabra cerimonia, i due fanno girare tra le mani dei presenti una coppa piena di sangue: chi si rifiuta di bere rifiuta anche di avallare la legittimità della successione del duca, e viene ucciso sul posto. Diversi uomini scelgono di rimanere fedeli alla memoria del duca e vanno incontro alla morte, ma a quel punto, con studiata drammaticità, entra in scena un personaggio inatteso.
Yan Ying, il saggio consigliere che aveva servito fedelmente tanto il defunto duca Zhuang quanto il suo defuntissimo padre, aveva tenuto nei giorni successivi all’assassinio un contegno piuttosto sospetto. Qualcuno l’aveva visto gironzolare intorno al luogo del delitto, e i più avevano attribuito questo atteggiamento alla profonda lealtà che nutriva nei confronti del suo signore. Quando però i suoi seguaci gli avevano chiesto spiegazioni, ne era risultato un ambiguo scambio di battute:
I seguaci [di Yan Ying] gli chiesero: «Avete intenzione di morire [per serbare la vostra fedeltà al duca]?» «Ero forse io il suo unico suddito?», rispose lui, «Perché mai dovrei morire?» «Avete intenzione di lasciare il paese?», [chiesero ancora i seguaci, al che Yan Ying rispose:] «Questo crimine l’ho forse commesso io? Perché mai dovrei lasciare il paese?» «Allora ve ne tornerete semplicemente a casa?» «Ora che il sovrano è morto», [rispose Yan Ying], «dov’è la casa a cui dovrei fare ritorno? […] Se un sovrano muore per aver difeso il proprio paese, il suddito muore per lui. Se un sovrano viene esiliato per aver difeso il proprio paese, il suddito va in esilio con lui. Se però un sovrano muore per il proprio interesse o viene esiliato per colpa delle proprie azioni personali, chi dovrebbe subirne le conseguenze […]?[6]»
Quando qualcuno aveva fatto notare a Cui Zhu che sarebbe stato meglio far fuori anche lui, il ministro aveva risposto che il popolo mostrava troppo rispetto verso Yan Ying, e che per evitare disordini sarebbe stato meglio lasciarlo in vita. Con il suo discorso, il saggio consigliere era sostanzialmente riuscito a infilare con gran classe un piede in due scarpe; aveva messo in chiaro che non avrebbe alzato un dito per difendere un duca morto per essersi ripassato la moglie di qualcun altro, e allo stesso tempo aveva fatto notare come ora non avesse più “una casa a cui far ritorno”: significava che non avrebbe acconsentito a farsene offrire una nuova da Cui Zhu e dalla sua cricca collaborando con loro.
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Ora, la cerimonia organizzata dagli assassini avrebbe dovuto costringere Yan Ying a rendere più chiara la propria posizione nei loro confronti. Avrebbe accettato di bere dalla coppa di sangue, brindando al successo di Cui Zhu e del suo compagno di merende Qing Feng? O si sarebbe rifiutato, professando la propria lealtà al duca Zhuang e accettando di morire in nome della giustizia? Il consigliere fu all’altezza della propria fama di uomo astuto, e non fece nessuna delle due cose. Mentre gli altri ufficiali erano impegnati a ripetere la formula del giuramento, Yan Ying afferrò la coppa e li interruppe declamando: «Se mai rifiuterò di aiutare coloro che sono leali al proprio signore e cercano di agire per il bene del paese, che il Cielo possa testimoniare contro di me!» Bevve il sangue, e lasciò la sala[7].
In quell’occasione, ciascuno vide nel comportamento di Yan Ying ciò che voleva vedere. Non aveva rispettato la formula di giuramento imposta da Cui Zhu: significava che non avrebbe accettato di sottostare ai suoi ordini. Non si era rifiutato di bere il sangue: significava che, comunque, non si sarebbe opposto in modo esplicito agli assassini del duca. Per non alienarsi il favore del popolo, che è dalla parte del saggio e benevolo Yan Ying, i due ministri si fanno andar bene questa soluzione di compromesso e lo lasciano andare. Terminata la cerimonia, Cui Zhu va a scovare un altro fratellastro del duca Zhuang e lo proclama suo successore, con l’evidente clausola che il suo potere sarà esercitato in maniera del tutto nominale: a stringere le redini del governo di Qi, da quel giorno, dovranno essere soltanto Cui Zhu e Qing Feng.
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Terminato il suo teatrino, Yan Ying si asciuga le lacrime dalle ciglia ed esce dal tempio, dove trova ad attenderlo il suo fido cocchiere; quando salta sul carro, l’uomo è così impaurito che comincia a frustare forsennatamente i cavalli per mettere più strada possibile tra loro e gli assassini, che da un momento all’altro potrebbero cambiare idea e decidere di inseguirli. Yan Ying picchietta con l’indice la mano del cocchiere: «Il cervo che vive nei boschi, sulle montagne – corre e corre, ma alla fine incontra la morte in una cucina. Che il nostro destino dipenda da qualcosa di più grande di noi è sicuro, ma com’è possibile che questo qualcosa sia l’andare di fretta?» Il servo rallenta. Yan Ying «procedette tranquillamente, mantenendo un’andatura calma, e così se ne andò[8]».
Se sia poi riuscito a sopravvivere ai due uomini che avevano ucciso il suo intemperante signore, è materia che tratteremo nel prossimo articolo.[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column width=”1/4″][/vc_column][vc_column width=”1/2″ css=”.vc_custom_1655742288112{padding-top: 6vh !important;padding-bottom: 6vh !important;}”][thb_button size=”large” color=”transparent-accent” animation=”animation fade-in” link=”url:https%3A%2F%2Fstoriesepolte.it%2Fqing-feng-commentario-di-zuo%2F|title:Continua%20il%20percorso”][/vc_column][vc_column width=”1/4″][/vc_column][/vc_row][vc_row][vc_column css=”.vc_custom_1655742348708{padding-bottom: 6vh !important;}”][vc_column_text]Nota: la fonte principale per le citazioni è stata il Commentario di Zuo, che ho consultato nella meravigliosa traduzione di Stephen Durrant, Wai-yee Li e David Schaberg: Zuo Tradition (Zuozhuan) – Commentary on the “Spring and Autumn Annals” – University of Washington Press, Seattle and London, 2016. Ancor più importante per la stesura dell’articolo, tuttavia, è stata la chiarissima esposizione degli eventi narrati fatta da Olivia Milburn nella sua introduzione al volume The Spring and Autumn Annals of Master Yan – Brill, Leiden and Boston, 2016.
In copertina: Utagawa Kuniyoshi, La strega Takiyasha e lo spettro dello scheletro, 1844 circa. (Sì, sappiamo che illustrare un ciclo sulla storia cinese del 500 a.C. con stampe giapponesi dell’800 è un tantino filologicamente scorretto. Purtroppo però l’arte cinese è estremamente povera di sangue, congiure & affini. Portate pazienza e godetevi le opere di Kuniyoshi).