Compiuta Donzella, Veronica Gambara e altri nomi dimenticati

Graziella

L’emancipazione femminile è un tema che mi è sempre stato a cuore fin da giovanissima ma è solo in età adulta che ho preso davvero consapevolezza, di quanto la letteratura con la quale mi ero formata, fosse scritta per lo più da autori di sesso maschile. Di fatto mi sono confrontata per moltissimi anni solo con anime che avevano con me tante cose in comune, ma una fisicità diversa e quindi un’educazione e un punto di vista diversi, nei quali mi vedevo perdente e inadeguata.

Per questo da alcuni anni ho concentrato le mie ricerche sulla poesia e la prosa scritta dalle donne di tutti i tempi e, sfruttando la magica rete internet, ho scoperto l’esistenza di autrici italiane, ignorate nei libri di scuola, nei documentari, relegate all’oblio, che solo grazie a studiose attente, oggi stanno tornando a far cantare i loro versi.

Nonostante si parli di emancipazione, di parità di genere e di pari opportunità, i programmi e i libri di letteratura relegano uno spazio marginale a poeti e scrittici donne. Tutte noi ci siamo formate nello studio con i pensieri, i versi, le descrizioni degli uomini, nelle cui pagine siamo state amate, odiate, compatite, oltraggiate, sognate; ma non eravamo mai noi, la nostra fantasia, i nostri sogni, il nostro eros. Per esempio conosciamo Petrarca, Dante e il Dolce Stil Novo e da loro riceviamo l’immagine di una donna non reale ma vagheggiata, una figura avvolta nella nebbia del sogno.

Coeva di costoro era Compiuta Donzella.

Vissuta a Firenze nella seconda metà del 1260 e morta probabilmente agli inizi del 1300, Compiuta Donzella è la prima voce femminile a scrivere poesie in volgare italiano e non vagheggia sul tema dell’amore con la lacrima e il fiore, come capita ai suoi colleghi. Perché per lei, come per la maggioranza delle donne, dietro al concetto dell’amore ci si nascondono catene e frustrazioni profonde, maternità precoci dall’esito incerto, obblighi di famiglia cui sottostare, che hanno subìto e ancora subiscono le donne.

A la stagion che ‘l mondo foglia e fiora
acresce gioia a tutti fin’ amanti,
[e] vanno insieme a li giardini alora
che gli auscelletti fanno dolzi canti;

la franca gente tutta s’inamora,
e di servir ciascun tragges’ inanti,
ed ogni damigella in gioia dimora;
e me, n’abondan marrimenti e pianti.

Ca lo mio padre m’ ha messa ‘n errore,
e tenemi sovente in forte doglia:
donar mi vole a mia forza segnore,

ed io di ciò non ho disìo né voglia,
e ‘n gran tormento vivo a tutte l’ore;
però non mi ralegra fior né foglia[1].

Christine de Pisan presenta il suo libro alla regina Isabella di Baviera. Miniatura dal Libro delle Regine, British Library, ms Harley 4431.
Christine de Pizan presenta il suo libro alla regina Isabella di Baviera. Miniatura dal Libro delle Regine, British Library, ms Harley 4431.

Qui non è il poeta che immagina i pensieri di una ragazza, il cui padre obbliga a sposare un uomo che lei non ama. Qui è la ragazza che ci racconta il suo tormento, per questo matrimonio combinato dalla famiglia e invidia chi può innamorarsi e vivere con gioia l’amore. La nostra autrice sicuramente appartiene a una famiglia facoltosa, visto che ha potuto studiare e scrivere, ma proprio per questo non ha la facoltà di scegliersi il compagno di vita, seguendo il suo cuore.

Questa storia dei matrimoni combinati è ancora attuale in Pakistan, in India e in chissà quanti altri paesi del pianeta. Conosciamo tutti la terribile fine di Saman, la ragazza pakistana che si è opposta al matrimonio imposto dalla famiglia ed è stata barbaramente uccisa dai cugini, con la complicità del padre e della madre: vedete come passato e presente nella letteratura si fondono, allo scopo di indicarci la strada per migliorare la condizione delle società umane.

Camminando sulle ali del tempo, ho scoperto un’altra donna interessantissima, la cui poesia è attualissima. Sto parlando di Christine de Pizan.

Nasce a Venezia nel 1365 Cristina da Pizzano, figlia di Tommaso di Benvenuto, detto da Pizzano perché appunto la sua famiglia possedeva delle terre in quella zona. La conosciamo come Christine de Pizan, perché già da piccola si trasferì col padre a Parigi. Oggi viene riconosciuta come la prima scrittrice di professione in Europa e la prima storica laica di Francia, quattro secoli prima di Madame de Staël.

Christine ha una vita davvero interessante, vista l’epoca possiamo immaginare quale fosse l’educazione impartita alle bambine di buona famiglia, che dovevano essere dedite solo ai lavori domestici. Fortunatamente per la nostra autrice il padre Tommaso, docente di medicina e astronomia all’Università di Bologna e poi consigliere di Carlo V, opponendosi alla moglie, consentì a Christine di studiare e di sposare un giovane notaio, con il quale ebbe tre figli. Due disgrazie a distanza di pochi mesi l’una dall’altra stravolgeranno la tranquilla esistenza di De Pizan.

L’amatissimo padre e l’altrettanto amato e stimato marito vengono a mancare e Christine si ritrova da sola a dover provvedere ai suoi tre figli, a «diventare uomo» come scriverà nella sua autobiografia. Facendo tesoro della sua cultura e delle sue doti letterarie, divenne la prima donna francese scrittrice a vivere del proprio lavoro intellettuale. È stimata e conosciuta, i suoi libri sono molto letti nelle più importanti corti d’Europa. Partecipa al clima culturale vivace, arrivando ad affermare che gli uomini e le donne sono «pari per natura» in quanto a capacità intellettuali, suscitando scalpore per l’audacia del suo pensiero.

Christine de Pizan", miniatura tratta dal manoscritto "Libro della Città delle Dame", ms. 609, c. 2v, 1401-1500, Bibliothèque nationale de France, Parigi.
Miniatura tratta dal Libro della Città delle Dame raffigurante Christine de Pizan, ms. 609, c. 2v, 1401-1500, Parigi, Biblioteca Nazionale di Francia.

Christine De Pizan fin da quei tempi ha ben chiara l’importanza dell’educazione e del ruolo sociale, che la società impone alle donne, considerandole inferiori e prive di forza morale, intellettuale e fisica. Questa donna si ribella e lo fa utilizzando la cultura, la penna ardita e fluente, forte della stima acquisita, non teme censure. Scrive per questo un libro importante: La città delle dame (Livre de la Citédesdames) un pamphlet femminista che consegna direttamente alla regina Isabella.

«Sembrano tutti parlare con la stessa bocca, tutti d’accordo nella medesima conclusione, che il comportamento delle donne è incline ad ogni tipo di vizio».

La città delle dame è un libro nel quale la nostra autrice rovescia tutti i luoghi comuni sull’incapacità delle donne di fare politica, di fare la guerra, di scrivere leggi e al tempo stesso essere madri. Bisogna che le giovani si formino, conoscendo cosa può davvero essere una donna.

La nostra Christine dedica La città delle dame a Giovanna D’Arco, di cui scrive:

«Che onore per il sesso femminile quando questo nostro regno interamente devastato, fu risollevato e salvato da una donna, cosa che cinquemila uomini non hanno fatto…».

Che fierezza in queste parole, galvanizzano la lettrice e sembrano scritte negli anni Settanta del Novecento, invece parliamo di un’epoca lontanissima.

Salutiamo la superba Christine de Pizan con questa poesia un po’ lunga che non ho voluto spezzare. Ricca di anafore incalzanti, neanche fosse un testo scritto da una rapper, le parole lacerate senza tempo ci abbracciano tutte come sorelle. Sorelle delle iraniane, delle afgane, sorelle di milioni di donne vittime di ogni tipo di abuso. Sorelle persino delle vittime di un sistema che le vuole belle, perché le ha rese merce al pari di un oggetto e sfrutta l’insicurezza e il vuoto interiore. Sorelle di quella Giovanna D’Arco che ha sfidato il patriarcato, dimostrando forza e coraggio, di Antigone e di tante altre di cui è piena la storia.

Christine de Pizan in una miniatura medievale (da Andrea Hopkins, Six Medieval Women, Barnes & Noble Books, 1999, p. 108)
Christine de Pizan in una miniatura medievale (da Andrea Hopkins, Six Medieval Women, Barnes & Noble Books, 1999, p. 108)

Sono sola, e sola voglio rimanere.
Sono sola, il mio dolce amico mi ha lasciata,
sono sola, senza compagno né maestro,
sono sola, dolente e triste,
sono sola, a languire sofferente,
sono sola, smarrita come nessuna,
sono sola, rimasta senz’amico.

Sono sola, alla porta o alla finestra,
sono sola, nascosta in un angolo,
sono sola, mi nutro di lacrime,
sono sola, dolente o quieta,
sono sola, non c’è nulla di più triste,
sono sola, chiusa nella mia stanza,
sono sola, rimasta senz’amico.

Sono sola, dovunque e ovunque io sia;
sono sola, che io vada o che rimanga,
sono sola, più d’ogni altra creatura della terra,
sono sola, abbandonata da tutti,
sono sola, duramente umiliata,
sono sola, sovente tutta in lacrime,
sono sola, senza più amico.

Principi, iniziata è ora la mia pena:
sono sola, minacciata dal dolore,
sono sola, più nera del nero,
sono sola, senza più amico, abbandonata.

Leggendo i versi di Compiuta e di Christine una giovane allieva sicuramente potrebbe trovarne conforto, in quanto le loro parole seppure estreme, rappresentano la condizione femminile. Christine de Pizan è una figura di letterata molto positiva, perché è un esempio di tenacia, di autostima e di coraggio. Nelle avversità non si è piegata a matrimoni umilianti, ma ha saputo rialzarsi e diventare un faro illuminante per le generazioni a venire. Se a queste fosse permesso di conoscere, studiando storia della letteratura, la poesia e la prosa femminile e non solo i soliti noti e arcinoti.

Andando avanti nel tempo, dopo Christin de Pizan troviamo tante voci femminili italiane, che ignoravo; tra queste voglio parlarvi di Veronica Gàmbara, un’altra donna dalla storia interessante come la sua poesia.

Nata nel 1485 a Pralboino da una delle famiglie più importanti del tempo, i Gàmbara, Veronica ha una corporatura piuttosto pingue, ma dimostra un’intelligenza vivace e una predisposizione per le lettere. Si sposa nel 1508 con Gilberto X da Correggio, dopo aver ottenuto la dispensa papale, in quanto Veronica era parente di Gilberto, per parte di madre. Fu un’unione serena, impostata sulla stima e l’affetto reciproco. Frequentava il loro palazzo il famoso pittore Allegri Antonio, conosciuto come Correggio, che ritrasse il resto della famiglia ma non la nostra poeta.

Veronica Gambara predilige le discussioni letterarie e politiche ed è molto attenta alla gestione dell’amministrazione familiare e del feudo, insieme al marito, che però morì ancora giovane nel 1518; durante tutta la lunga vedovanza scriverà versi dolcissimi parlando del marito.

Quel nodo. in cui la mia beata sorte
per ordine del ciel legommi e strinse,
con grave mio dolor sciolse e discinse
quella crudel che ’l mondo chiama morte.
(…) [2]

Antonio da Correggio, Ritratto di dama, 1517-1518, Olio su tela, San Pietroburgo, Hermitage. Non c'è accordo fra gli studiosi circa l'identità della dama, alcuni ritengono che fosse Veronica Gambara.
Antonio da Correggio, Ritratto di dama, 1517-1518, Olio su tela, San Pietroburgo, Hermitage (dettaglio). Anche se non vi è accordo fra gli studiosi, è probabile che la donna ritratta fosse Veronica Gambara.

A soli 32 anni Gàmbara si ritrova da sola ad amministrare Correggio e a crescere i suoi figli, che divennero uno militare di alto rango e l’altro prelato. Seppe da subito “diventare uomo“ come diceva De Pizan, districandosi nella gestione politica del contado, dimostrando fermezza, equilibrio e capacità. Inoltre, essendo molto colta, vide nella politica estera una risorsa fondamentale per lo sviluppo economico e sociale delle sue terre.

Dagli anni 1519 fino al 1532 intraprese rapporti con i più grandi regnanti del tempo come Francesco I e Carlo V e i vari papi che si sono avvicendati, dai quali era stimata sia come poeta che come politico; scrive nel 1526 un bellissimo sonetto per il trattato di Madrid, nel quale elogia la nuova pace, dopo le drammatiche guerre che avevano insanguinato la nostra piccola penisola. È l’epoca delle invasioni dei Lanzichenecchi e delle grandi pestilenze, di cui abbiamo vivido ricordo nelle pagine dei Promessi Sposi di Manzoni.

Vincere i cor più saggi e i re più alteri,
legar con l’arme o scioglier con la pace,
dargli e tor libertà quando a voi piace,
esser dolce agli umili e acerbo ai fieri,
(…)[3]

Veronica Gàmbara in una situazione tanto delicata e complessa seppe muoversi con oculata attenzione, dimostrandosi lungimirante anche nello stringere accordi diplomatici con Carlo V, e questo ha consentito a Correggio di rimanere fuori dalle guerre e indipendente dalle grandi potenze straniere. Muore nel 1550 molto amata e stimata.

Ora, sinceramente, mi chiedo se a scuola di questa statista, poeta e intellettuale di pregio italiana si parli mai. Eppure quel periodo storico è trattato con attenzione e da tutti i punti di vista, perché ha visto entrare l’Europa nell’età moderna, con tutte le contraddizioni che subiscono le società nel viverle.

Le autrici che ho conosciuto sono davvero tante e pian pianino le conosceremo meglio insieme, adesso per chiudere questa passeggiata nel tempo della poesia femminile italiana, voglio parlarvi di Vittoria Colonna, che fra l’altro fu amica di Veronica Gàmbara.

Sebastiano del Piombo, Ritratto della marchesa Vittoria Colonna, olio su tavola, 1520-25, Barcellona, Museo nazionale della Catalogna.
Sebastiano del Piombo, Ritratto della marchesa Vittoria Colonna, olio su tavola, 1520-25, Barcellona, Museo nazionale della Catalogna (dettaglio).

Nata nel 1492 a Marino, località dei Castelli Romani a due passi da Roma, Vittoria subisce al pari di moltissime donne di quegli anni e non solo, la violenza di essere data in sposa, per un matrimonio combinato dal Re di Napoli, a Francesco Ferrante D’Avalos. Paradossalmente la nostra Vittoria s’innamorò di Francesco e soffrì molto per la sua morte, senza che la coppia abbia avuto figli.

Vittoria non ha la tempra di Veronica, e soprattutto non ha alle spalle figure maschili che la sappiano sostenere nella crescita. È già afflitta da crisi spirituali e dopo la morte del marito vorrebbe entrare in convento, ma Papa Clemente, proprio perché vede nella sua spiritualità qualcosa di fuori dal comune, si intromise e la dissuase dal prendere i voti.

Vittoria Colonna è un’intellettuale molto arguta e sensibile, ha rapporti epistolari sia con i predicatori più conosciuti che con gli intellettuali del suo tempo. Ha però un’esistenza travagliata da continue crisi spirituali e morali. La sua poesia è pregna di queste sue riflessioni, dalle quali emerge la solitudine amara e dolorosa, l’angoscia di vivere, che attraverso l’inchiostro esce e arriva fino a noi. Vittoria Colonna muore nel convento di Sant’Anna nel 1547.

A quale strazio la mia vita adduce
Amor, che oscuro il chiaro sol mi rende,
e nel mio petto al suo apparire accende
maggior disio della mia vaga luce!

Tutto il bel che natura a noi produce,
che tanto aggrada a chi men vede e intende,
più di pace mi toglie, e sì m’offende,
ch’ a più caldi sospir mi riconduce.

Se verde prato e se fior vari miro,
priva d’ogni speranza trema l’alma
ché rinverde Il pensier del suo bel frutto

che morte svelse. A lui la grave salma
tolse un dolce e brevissimo sospiro,
e a me lasciò l’amaro eterno lutto[4].

Chiudo questo mio pezzo con una considerazione amara: quest’anno per l’ennesima volta agli esami di Stato è uscita una traccia di letteratura che aveva per protagonisti Ungaretti e Pirandello, segno che la scuola non esce fuori dalla cultura declinata al maschile. Questo è un danno soprattutto per la formazione intellettuale delle donne, che spesso quando arrivano a ricoprire ruoli di comando, non essendo cresciute nelle esperienze femminili del passato: letterarie e politiche, finiscono per favorire solo il proliferare di un pensiero patriarcale, dove a perdere sono le donne, come sempre.

 

Leggi tutti gli articoli del percorso Una femmina può fare la scrittrice


Per chi volesse approfondire:

Greta Marando, Compiuta Donzella, su Enciclopedia delle Donne

Alessia Pizzi, Compiuta Donzella, la prima voce italiana, su Poetessedonne.it

Francesca Santucci, Donna non sol ma torna musa all’arte, Casa Editrice Il Foglio,
 2003, estratto su Letteratura al femminile

Veronica Gambara, su Letteratura al femminile

Annalisa Palumbo, Christine de Pizan, la scrittrice che scosse il Medioevo, su Storica National Geographic.

Eva Luna Mascolino, Christine de Pizan, femminista e prima scrittrice di professione in Europa, su Harper’s Bazaar

Sara Catanese, Veronica Gambara: la signora di Correggio, su Archeoares

Veronica Gambara, Gaspara Stampa, Vittoria Colonna, Rime di tre gentildonne del secolo XVI, disponibile su Liber Liber

Sara Mostaccio, Poetesse italiane dimenticate. Veronica Gambara, la “poetessa reggente” del 500 che fu a capo di una Signoria, su Elle

Maria Teresa Guerra Medici, Vittoria Colonna – marchesa di Pescara, Su Enciclopedia delle donne

Lorenzo Villa, Il racconto su Vittoria Colonna, la poetessa del Rinascimento, su Harper’s Bazaar

Daniela Ambrosio, Le grandi mecenati dell’arte. Chi era Vittoria Colonna, la romantica poetessa amata dagli artisti, su Elle

In copertina: Jules-Joseph Lefebvre, Graziella, olio su tela, 1878, Catharine Lorillard Wolfe Collection (dettaglio). 

Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.