Cacciatori nelle tenebre

Cacciatori nelle tenebre: the Italian Sin City

Canzone consigliata durante la lettura: …ok, è imbarazzante. Lo sapete, no, quella canzone, quella che in qualsiasi scena noir fa da sottofondo all’ispettore incappottato di turno che torna a casa in taxi (ha anche un cappello, eh, un bel cappello), sotto la pioggia, e si dà a un soliloquio mentale sulle sue recenti scoperte e sulla difficoltà del caso da risolvere… Dai, la sapete. Quella! La telecamera può spaziare sullo scenario urbano, sapete no, oppure entrare in uno spazio chiuso, magari un jazz club, fare una panoramica degli avventori (sono tutti eleganti, non c’è una donna brutta che sia una) e continuare con un primo piano su un sassofonista… Su, QUELLA canzone! Diamine, com’è che si chiama…

Lo ammetto subito: il titolo dell’articolo odierno nasce in consonanza con tutta una serie di nomignoli affibbiati a varie opere di nicchia che, nel bene ma più spesso nel male, ricordano prodotti più noti. La mente dei più potrebbe correre a Italian Spiderman (2007), nome effettivo di una produzione australiana avente per protagonista il probabile frutto dell’unione adulterina tra un cosplayer in carne dell’omonimo supereroe americano e Super Mario. La mia predilezione, tuttavia, va al cosiddetto “Rambo Turco” (Korkusuz, 1986), bizzarro e grottesco take turco sul veterano di guerra interpretato da Sylvester Stallone. Per citare il nostro sempre immancabile Yotobi… “Tunf!” (date un’occhiata al minuto 10:46 del seguente video per un raffronto preciso e puntuale).

Soggetto dell’associazione geografica qui proposta, arbitraria e forse abbastanza forzata (ma non totalmente… ci torneremo), è Cacciatori nelle tenebre, graphic novel del 2007 firmata dai fratelli Gianrico e Francesco Carofiglio. Al secondo, in linea di massima, spetta la splendida realizzazione grafica delle tavole, mentre il primo è il vero e proprio sceneggiatore della vicenda narrata, nata come copione cinematografico e strettamente connessa ad alcuni libri dello stesso Gianrico: quelli aventi per protagonista Guido Guerrieri, avvocato che, oltre a vantare un nome degno di far concorrenza al più infimo motivational speaker americano, costituisce un bastione fittizio contro la criminalità organizzata.

È proprio dall’universo di Guerrieri che i Carofiglio traggono il protagonista di Cacciatori nelle tenebre: l’ispettore Carmelo Tancredi, leader di una fantomatica squadra fantasma della polizia barese dedita alla ricerca di persone scomparse e in particolare di minori. Tutore della legge appassionato di origami e haiku, Tancredi rientra nel novero dei protagonisti tormentati da fallimenti del passato, afflitto da un incubo-ricordo debilitante che, tuttavia, risulta essere movente della giornaliera e faticosa battaglia contro il male senza volto della sua città.

Cacciatore nelle tenebre
Il tenente Jim Gordon della polizia di Gotham L’ispettore Carmelo Tancredi, indispettito dai rapporti della polizia secondo i quali l’ammontare di tavole di Cacciatori nelle tenebre presenti in rete sarebbe assolutamente ridicolo. Le fattezze dell’ispettore, come quelle di buona parte degli altri personaggi, si ispirano a diversi volti del mondo cinematografico; primo tra essi Richard Dreyfuss.

Sotto la guida dell’ispettore Tancredi, strappato ai romanzi di mafia solo per divenire protagonista di una vicenda ancora più cupa, militano tre poliziotti-falliti, reietti cacciati da rami più convenzionali delle forze dell’ordine e depositari di nomi che sono veri e propri riferimenti cult. Lotàr (pronuncia barese del Lothar di Mandrake)[1], oltre a essere il “grosso” del gruppo e con tutta probabilità il fratello segreto di Kingpin della Marvel, è un silenzioso genio del computer con un occhio per dettagli apparentemente insignificanti. Iena (come lo Jena Plissken, in originale Snake, interpretato da Kurt Russel in 1997: Fuga da New York), è lo sbirro di strada, volgare come un fenomeno di YouTube e riccioluto come Caparezza. Ultimo membro del poco canoro quartetto è Nora (il cui splendido nome deriva direttamente dalla Casa di bambola del drammaturgo norvegese Henrik Ibsen)[2], la poliziotta statuaria immancabile in qualsiasi task force fittizia.

Le tinte fosche della vicenda, sipario non totalmente spalancato su un universo criminale degradato e degradante, permettono solo risoluzioni parziali, mezze verità, percorsi d’indagine concreti e decisamente poco cinematografici; lontani dalle sbalorditive trovate d’uno Sherlock o d’un Poirot.

La storia è ambientata entro i confini di una Bari nebulosa e decadente, città fittizia a metà tra il suo corrispettivo reale, esaminato nella componente criminale estremizzata e metropolitana più che nel caldo afflato meridionale, e un luogo di perdizione noir squisitamente americano.

A commentare l’ambientazione e le vicissitudini dei quattro “cavalieri oscuri”, con una predilezione quasi maniacale per Tancredi, è un narratore onnisciente poetico quanto insistente, figura fantasmatica che si rivolge direttamente ai nostri sondandone pensieri, paure, rammarichi, sezionando le loro interiorità frammentarie e conferendo una dimensione universale ai soggetti (o alle vittime) della sua martellante pratica psicanalitica.

Capibara
Le immagini della graphic novel, come già fatto notare, sono quantomeno scarse sulla rete. Di conseguenza, eccone una totalmente irrelata. Ammirate il capibara (Hydrochoerus hydrochaeris), il roditore più grande del mondo; secondo autorevoli studiosi creato in laboratorio unendo una lontra, un maiale e la dottrina greca dello Stoicismo. AMMIRATELO.

Una nota particolare va fatta riguardo al disegno: unico, abbozzato, più adatto forse al mondo dell’illustrazione che a quello dei fumetti, e ciò nonostante perfettamente calzante al contesto. I personaggi e gli spazi entro i quali essi si muovono sono definiti da Francesco Carofiglio tramite linee di matita spezzate che conferiscono all’intera opera un’aria di non-finito, di creazione in divenire: un unico, mastodontico sketch privo di certezze, come privo di certezze è l’universo dei protagonisti.

Scoperte tutte le carte sul tavolo, converrà tornare al titolo e al dilemma da esso sollevato. Cosa accomuna la folgorante, epica e trascendentale brutalità milleriana[3]di Sin City alla fredda, realistica e disillusa pacatezza di Cacciatori nelle tenebre?

Secondo il mio modesto parere, fil rouge di entrambe le opere sarebbe la concezione di metropoli moderna come spazio mitizzato e mitizzante, sede di innumerevoli minacce fantasma[4] celate nelle tenebre di ciascuna tavola, in quegli imperscrutabili abissi di china che fanno da contraltare alle più nette linee della vicenda e dei suoi interpreti. Il male che affligge la Bari dei Cacciatori, come quello di Sin City, pare qualcosa di astratto, inafferrabile eppure sempre a portata di mano. L’ombra indistinta che si disegna nell’arcata d’un cancello, immobile come un predatore nella tana… finché l’opportunità di ghermire qualcuno e strapparlo al mondo della luce non si fa viva. Ed è in quei momenti che la tensione verso un ignoto sempre presente si incarna nella verità traumatica dell’omicidio, dell’atto di pedofilia o di qualcosa di ancora peggiore con cui i protagonisti di Cacciatori nelle tenebre si trovano ad avere a che fare, improbabili ma indefesse sentinelle contro drammi che, descritti per metafore o affrontati di petto, sono propri anche della realtà stessa.

Una sola lamentela, signori Carofiglio: poco o nullo flavour locale. Leggere un unico, solitario «ispetto’ Tancredi» in un noir ambientato a Bari è come ricevere un pugno nello stomaco dal “Polacco”.

Ah no, pardon. “Lituano”.

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