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Corre l’anno 1974 e nella Genova degli anni di piombo la vita notturna ribolle: tre musicisti che si fanno chiamare i Jet entrano in locale dove sta cantando una ragazza appena ventenne e ne rimangono folgorati. La voce di quella donna dai ricci neri si arrampica sui soffitti, si aggrappa ai lampadari polverosi e si tuffa sulla folla, attraversandola come una lama, mentre i suoi occhi scuri sembrano venirti a cercare, magnetici.
La chiamano Matia.
1. Cavallo bianco
La musica è sempre stata parte della mia vita. Posso tranquillamente dire che per me la musica è come l’aria che respiriamo.
I Matia Bazar nascono dall’incontro dei tre Jet, Piero Cassano, Aldo Stellita e Carlo Marrale, con la tastiera di Giancarlo Golzi e con la voce di Antonella Ruggiero. Si parla sempre di voce quando si cita Antonella Ruggiero perché è la prima cosa che salta all’occhio: una voce limpida come il cristallo, capace di volare sulle note più acute senza alcuno sforzo apparente, leggera e morbida quando vuole, graffiante e ferina dove serve.
Ma la sua voce non è tutto: è la personalità di Antonella il vero magnete del gruppo. Se i musicisti che lo compongono sono a dir poco eccezionali, se le opere proposte nei loro quattordici anni di carriera si destreggiano abilmente tra brani orecchiabili e sperimentazioni folli, è però la personalità interpretativa di Antonella – Matia – che cattura lo sguardo sul palco: la sua classe quasi algida, la sua eleganza stravagante e le sue capacità interpretative fuori dal comune garantiscono al gruppo un successo assicurato.
L’esempio perfetto di questo connubio è uno dei loro primi singoli: sul lato A abbiamo Per un’ora d’amore, pensata per scalare le classifiche e accompagnare balli romantici, sul lato B c’è Cavallo Bianco, un capolavoro che abbandona le sonorità italiane e ci porta nei territori appena esplorati dai Pink Floyd, lasciando modo a tutti i musicisti di splendere e ad Antonella di farci capire che come lei non ce n’è nessuna.
2. Elettrochoc
Lì eravamo liberi, creativi, attingevamo a sonorità internazionali come la new wave e l’elettronica, ma al contempo eravamo originali e imprevedibili.
Dopo qualche anno di successi però i Matia Bazar non si accontentano più delle atmosfere romantiche e della musica da spiaggia, ormai sono dei musicisti maturi che cercano la loro strada nella sperimentazione. Si lanciano nel mondo sintetico dei suoni elettronici e delle atmosfere intellettuali della musica nord-europea degli anni ‘80: testi profondi e a tratti impegnati, sintetizzatori e suoni costruiti a tavolino, presenza scenica tra il meccanico e il retrò e un nuovo uso della voce da parte di Antonella, che nel frattempo ha preso lezioni di canto lirico. Per qualche anno i Matia Bazar non scrivono per le radio ma solo per se stessi.
L’unico grande successo commerciale di quel periodo infatti sarà Vacanze romane, che lascia allibito il pubblico di Sanremo, per il resto sono supportati solo dalle radio private e da quella fetta di pubblico che sono riusciti a conquistare con le loro innovazioni.
Quello che ho scelto è forse uno dei pezzi più emblematici di questo periodo: non c’è bisogno che ne parli, basta ascoltarlo e guardarlo per capire quanto un approccio del genere in Italia sia stato unico.
3. In volo
Per avere obiettivi di massa devi piegarti a dei discorsi, a delle relazioni che nemmeno mi interessano. Questa convinzione l’ho maturata prima di andar via dal gruppo, poi mi sono fermata 7 anni, e ho fatto una pausa necessaria. Quelli sono meccanismi che non fanno bene a chi vuole vivere liberamente la propria professione. Se non sei libero, nella musica, diventi succube di qualcun altro, e non c’è motivo per essere in questa condizione, per me.
Nel 1989 però Antonella dice basta. Senza rancore, senza attriti o litigate sui giornali, lascia il gruppo e sparisce dalle scene per sette lunghi anni. In questo periodo viaggia a lungo, soprattutto in India; ha un figlio da Roberto Colombo, musicista della PFM[2] che aveva già lavorato a Tango, l’album più ricercato dei Matia Bazar, e assorbe nuova musica.
Nel 1996 torna sulle scene e il suo ingresso lascia tutti sbalorditi: Libera, il suo primo lavoro solista, esce sotto una nuova etichetta fondata da lei e da Roberto Colombo e colpisce subito per la grande carica innovativa. È un lavoro azzardato e rischioso, capace di ridefinire i canoni e anticipare addirittura i trend musicali successivi: ma qual è l’obiettivo? Con questo album la coppia cerca di fondere le sonorità dell’India con i suoni tradizionali occidentali, o meglio italiani: melodie ariose e dispiegate si stendono su tappeti di sitar, percussioni carnatiche e sintetizzatori recuperati dai bassifondi di Mumbai. Il grandissimo pregio di quest’album è che non si limita a un’operazione nostalgia omaggiando la musica indiana classica, ma integra soluzioni altamente contemporanee in modo da creare un suono fresco, orecchiabile e al contempo raffinato. La voce di Antonella è – se possibile – ancora più bella di prima e si snoda su scale pentatoniche, gioca con lo stile Bollywood mentre corali di parrocchia si incrociano con le tabla.
Con questo disco Antonella Ruggiero mette in chiaro quali sono le sue priorità: fare musica che le piace come le piace, indipendentemente dal successo di pubblico.
4. Ti sento
Sono canzoni mie, fanno parte della mia storia. Le ripropongo spesso. Ma vestite di abiti nuovi.
Appena due anni dopo il lavoro di Libera, Antonella Ruggiero torna con Registrazioni Moderne, un disco che al contrario del precedente venderà moltissimo proprio perché riprende i suoi grandi successi con i Matia Bazar. Anche qui però nessuna operazione nostalgia: Antonella si fa sacerdotessa dell’indie e chiama i gruppi più giovani della scena underground per ribaltare le canzoni degli anni ‘80 come un calzino. Ci sono tutti: i Subsonica, i Timoria, la Banda Osiris, i Bluvertigo, i Ritmo Tribale, La Pina e gli Scisma.
Le canzoni quindi prendono tutte uno smalto diverso, dalla Vacanze Romane folk dei Rhapsodija Trio alla Per un’ora d’amore inquietante dei Subsonica.
Il brano che più di tutti brilla è Ti Sento, arrangiata insieme ai Timoria di un giovanissimo Francesco Renga: i sintetizzatori dell’85 vengono sostituiti dal suono energico delle chitarre elettriche e la voce di Antonella, arricchita dagli anni sembra ancora più possente e piena mentre lancia acuti come fossero coltelli.
Nella versione estesa uscita l’anno successivo poi troviamo anche Amore Lontanissimo, un brano inedito presentato a Sanremo da un’Antonella con la laringite: un vero gioiello che non è finito nel novero dei dieci brani per ragioni narrative, ma che vi sfido a provare ad ascoltare senza farvi venire un nodo in gola.
5. Controvento
Prima di scrivere qualunque cosa, per favore, ascoltate il mio disco.
Il primo aprile del 1999 invece esce Sospesa, un album pop a tutti gli effetti. Sembra uno scherzo dopo i lavori precedenti, ma è solo un’altra delle numerose facce interpretative del poliedro Antonella Ruggiero. Si tratta di un album raffinato e leggero, come suggerisce il titolo: l’uso dell’elettronica e dei campionamenti si somma a una corposa sezione d’archi per creare un amalgama omogeneo dall’umore sognante e – appunto – sospeso. Certo, la ricerca o la carica innovativa del suo primo lavoro sono lontane, ma la coppia Ruggero-Colombo con quest’album dimostra che è possibile fare dei lavori di musica leggera e non impegnata senza scadere nel banale e nell’approssimativo.
La canzone Controvento, semplice e gioiosa, non nasce nemmeno come singolo, ma entra subito in classifica, tanto da finire al Festivalbar (quanti ricordi per i figli degli anni ‘90) e da essere addirittura usato come sigla in una fiction. La vera perla dell’album però porta la firma di Ennio Morricone: And will you love me, registrata con la London Orchestra, ha il gusto del più classico dei brani alla Morricone, ma con la voce di Antonella che splende in un bellissimo crescendo interpretativo.
6. Gloria (Misa criolla)
Quando la musica è grande, è grande ovunque. Non ha limiti o barriere.
Ma arriviamo al progetto con cui ho scoperto Antonella Ruggiero: Luna Crescente – Sacrarmonia. In questo nuovo album la coppia collabora con gli Arké Quartet per un tuffo nella musica sacra: Gounod, Bach, Ramirez, brani tradizionali e contemporanei si fondono per un viaggio essenziale attraverso la spiritualità. Solo il quartetto d’archi e le percussioni di Ivan Ciccarelli accompagnano gli arrangiamenti di un’eleganza rara: la voce di Antonella diventa un sesto strumento in brani come Notte e Aria sulla quarta corda, ma per il resto non si concede vocalizzi e acrobazie, limitandosi a un’estensione ristretta, fuori dalla norma rispetto al resto delle sue produzioni.
La parte migliore però sarà la tournée live che ne segue, che culminerà in uno splendido concerto in Piazza Santo Stefano a Bologna in cui la cantante e il suo gruppo espandono ancora di più la parte già presente di musica etnica: un mantra indiano, un fado religioso, una messa africana e soprattutto lo splendido Gloria della Misa Criolla argentina, il capolavoro di Ariel Ramirez. Da questo momento in poi l’attenzione per la musica dalle varie parti del mondo, soprattutto ai brani popolari, sarà una costante in tutte le sue performance future.
7. Echi d’infinito
Non ho mai mitizzato Sanremo: guai a farlo. Sanremo è qualcosa che serve, come il salone del mobile per i mobilieri. È un luogo di lavoro
Che ci fa Antonella Ruggiero a Sanremo? Canta, ovviamente. Si promuove perché sa che deve farlo, anche se non vince mai: sfiora il podio nel 1998 con Amore lontanissimo ma spesso è tra gli ultimi classificati. Perché ne parlo allora? Perché continua a tornare e regalare performance inedite, notevoli, che innalzano a vette inaspettate il livello spesso pacchiano della trasmissione più amata d’Italia.
C’è stata quella volta in cui ha portato il Pitagora, uno strumento fatto costruire da lei sulla base dei disegni di Pitagora da Samo (sì, quello del VI secolo a.C.); quell’altra in cui ha cantato accompagnata solo da un coro di alpini e quell’altra ancora in cui ha reinterpretato una canzone dei New Trolls accompagnata solo da musicisti berlinesi che suonavano con l’iPad.
La mia preferita però è questa del 2005, in cui ha deciso di riproporre il suo brano in gara accompagnata esclusivamente da Maurizio Colonna e Frank Gambale, due dei migliori chitarristi classici al mondo: un momento di pura magia.
8. Crapa pelada
Gli autori tra la prima e seconda guerra mondiale che ho riscoperto ne sono un esempio. Io mi accosto a queste persone anonime che hanno scritto capolavori in maniera semplice ma con musicisti che azzardano, quando sono bravi ci mettono l’anima e non si mettono solo a leggere la musica, ma la fanno propria.
Negli anni successivi Antonella Ruggiero si concentra sul recupero del passato italiano su più fronti: la musica popolare, in particolare la musica ladina del Friuli, da cui ricava l’album Cjanta Vilotis; poi la musica cantautorale, concentrata sulla sua Genova, patria di De André, Fossati, Bindi, Tenco, Lauzi e Paoli.
Ma il progetto forse più interessante è quello di Souvenir d’Italie, un album live di riscoperta delle canzoni italiane composte tra le due guerre mondiali, ma ripensate in chiave jazz; la formazione è minimale: contrabbasso, fisarmonica, pianoforte e percussioni.
Il resto ce lo mette la bravura dei musicisti e della cantante, che passa con disinvoltura dall’eleganza all’istrionismo, come in questa versione pirotecnica di Crapa pelada, la canzone popolare milanese pensata per canzonare il Duce.
Potrei sbagliarmi, ma sono piuttosto certo che la versione originale non prevedesse tre ottave piene di estensione.
9. Attesa
È peccato non fare ascoltare certe cose a chi è interessato. Si tratta di poche persone? Lo so, e mi va bene.
Ormai siamo arrivati al 2008 e la coppia Ruggero-Colombo, ormai ufficialmente sposata, sforna Pomodoro genetico quello che forse è il loro lavoro più audace in assoluto: un album di musica elettronica sperimentale in cui la canzone evapora e si fa rarefatta. Non ci sono più parole, ma solo vocalizzi: la voce di Antonella diventa puro strumento solista che si somma ai calcoli matematici tradotti in suoni dall’ingegneria di Roberto. Ovviamente non è un album facile, né un ascolto immediato, ma si tratta di un’opera ambiziosa che sfida i confini del fattibile e i canoni del vendibile: ci sono cenni a Libera, ci sono richiami alla musica classica con la partecipazione dell’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino, ma c’è soprattutto una sperimentazione dalle tinte fredde che provoca un senso quasi di straniamento rispetto alla canzone. Vi basta questo assaggio di Attesa per capire che siamo di fronte ad un unicum concettuale e non solo a livello italiano.
10. Ave Maria (De André)
E di tutto questo sono orgogliosa, non c’è niente che non rifarei, non ho mezzo rimpianto per la vita precedente.
Antonella non si ferma, non si è fermata mai e continua tutt’oggi a lavorare, a suo modo e con i suoi tempi. Negli anni che seguono Pomodoro genetico continua a proporre concerti di diverso tipo, approfondendo i temi già trattati ed esplorandone di nuovi: il tango argentino, i classici di Broadway, la musica classica contemporanea e le tradizioni natalizie. Torna persino a Sanremo, anticipando un ultimo (ad ora) album di inediti, sobrio e minimalista, dal titolo che potrebbe benissimo definire la sua carriera: L’impossibile è certo.
Ho scelto di chiudere con quest’ultimo brano per due motivi: il primo è che è tratto da Cattedrali, il suo lavoro più interessante degli ultimi anni registrato nella Cattedrale di Cremona con il maestro Fausto Caporali all’organo. Antonella Ruggiero aveva semplicemente deciso che l’organo era uno strumento ingiustamente sottovalutato e ha deciso di registrare un album dedicato solo a lui.
Il secondo motivo è che è una canzone di Fabrizio De André e se c’è un artista che Antonella Ruggiero ha sempre amato profondamente è proprio lui: credo che nessun altro cantante italiano abbia mai cantato così tante canzoni di De André, salvo forse suo figlio Cristiano. Ma l’Ave Maria della Buona Novella è indubbiamente la sua preferita e la canta con un tale trasporto e una tale intensità – ancor più ora che la sua voce si è fatta più piena e vissuta – da far quasi pensare che sia stata composta apposta per lei.
Perché lo voglio ricordare, Antonella Ruggiero è sì una grande voce, una voce che con l’età ha solo acquistato in colore e profondità espressiva, ma è soprattutto un’interprete eccellente e una musicista raffinata.
…
Cosa pensa Antonella Ruggiero ora che ha quasi settant’anni? Ora che ha già rilasciato Quando facevo la cantante, una collezione monumentale delle sue 114 canzoni migliori, quasi tutte in versioni live inedite.
Non sembra accennare a fermarsi, anzi, sembra volersi ancora esibire e divertire: senza prove, a quanto dicono. Pare che salga sul palco e che improvvisi, mettendosi nelle mani dei musicisti con cui ha deciso di collaborare: potrebbe sembrare una mossa azzardata, ma è un modo per dire “mi fido totalmente di te, teniamoci la magia per quando c’è il pubblico.”
Forse il trucco per non invecchiare è proprio continuare a mettersi in gioco, sera dopo sera.
P.S. Vi lascio con un undicesimo brano. Ho scelto Tum hi shiva, tratto da Sacrarmonia Live del 2003, un mantra che Antonella Ruggiero ha recuperato dalla tradizione indiana e adattato alle sue corde. L’ho scelto perché ne ero talmente innamorato che qualche anno fa avevo deciso di riproporla con il mio gruppo musicale: non trovavo nessun riferimento e quindi ho scritto una mail a Roberto Colombo per chiedergli lo spartito. Mi ha risposto con un paio di battute con su scritto il tema, scusandosi: “il resto non c’è perché di solito lo improvvisiamo”.