I cento passi dei Modena City Ramblers è la canzone che vi consiglio di ascoltare prima di leggere questo articolo che, come può facilmente intuire chi conosce l’omonimo film, parlerà di Peppino Impastato. (Per i più pigri questo è il link: non avete scuse per non ascoltare ora!)
Con quello stile inconfondibile che ha il potere di catapultare chi ascolta direttamente nella piovosa Irlanda, la band ci parla di Peppino, «nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo», che è stato attivista, giornalista e poeta. Una manciata di giorni fa si è commemorato il trentanovesimo anniversario della sua morte: il suo omicidio fu ordinato da Gaetano Badalamenti, il boss dei due mondi, capo indiscusso di Cosa Nostra; erano solo cento i passi che separavano casa sua da quella della famiglia Impastato.
Tutti ricordano Peppino Impastato per il suo straordinario coraggio; la sua inclinazione poetica viene invece spesso dimenticata, forse anche per l’esiguità di una produzione che non ha avuto tempo per crescere e consolidarsi: è stato ucciso a soli trent’anni.
Dopo la sua morte sono stati ritrovati un blocchetto di fogli con alcune poesie e degli appunti annotati su un’agendina del ’72. Navarra, casa editrice siciliana di impegno civile, ha pubblicato in un volumetto quelle poesie, che si ipotizza siano state scritte da Peppino quando aveva circa vent’anni, vista la somiglianza di stile con le note nell’agendina.
Sono testi di una manciata di versi, dallo stile sferzante e lapidario. Il titolo Amore Non Ne Avremo è tratto da uno di questi.
Nubi di fiato rappreso
S’addensano sugli occhi
In uno stanco scorrere
Di ombre e ricordi:
una festa,
un frusciare di gonne,
uno sguardo,
due occhi di rugiada,
un sorriso,
un nome di donna:
Amore
Non
Ne
Avremo(Peppino Impastato, Amore Non Ne Avremo, a cura di Guido Orlando e Salvo Vitale, Palermo, Navarra editore, 2008, p. 26)
L’amico fraterno di Peppino, Salvo Vitale, che ha curato l’introduzione alla raccolta, ne riporta un appunto: «mi innamorai follemente di una ragazza, ma riuscii a costruire soltanto un rapporto lunghissimo e schizofrenico, incomprensibile, kafkiano addirittura». Al di là di queste poche righe di lucida autoanalisi, non ci è dato di sapere chi sia questa Anna a cui conduce l’acrostico; non è però necessario scoprirne l’effettiva identità: il messaggio che il testo trasmette assume una consistenza universale, ed è rappresentazione della lacerazione di un animo rassegnato alla solitudine.
L’amore per la letteratura del nostro autore si fa evidente in alcuni riferimenti piuttosto espliciti ai Poètes maudits ma anche nell’eco di alcuni grandi della letteratura che risuonano nelle scelte espressive e nella sintassi; è il caso dei versi «Seduto se ne stava / E silenzioso», che ricordano molto uno dei più noti sonetti del Canzoniere di Petrarca, Solo et pensoso. Ma se Petrarca a passi lenti andava mesurando i più deserti campi, Peppino è colto dalla rassegnazione, e si siede, affogando nel mare dei propri pensieri, probabilmente stremato dall’indifferenza da cui era circondato e logorato dall’inerme accettazione degli abitanti di Cinisi: come era possibile che sorgesse solo in lui e in pochi altri la volontà di urlare al mondo che «la mafia è una grandissima montagna di merda»?
Il sopracitato Salvo Vitale, oltre ad aver scritto e curato vari testi sulla vita di Impastato, continua a farsi testimone e cantastorie, per trasmettere a tutti l’eredità lasciataci dal coraggio di Peppino. Lo racconta con fervore come un trasgressivo, un ribelle, un comunicatore che aspirava a trasmettere a tutti il suo disegno politico. In questo caso la politica non va però intesa in senso partitico, ma come esigenza, volontà di rottura, mezzo di espansione lineare della soggettività. Come si vede bene nel celebre film di Marco Tullio Giordana I cento passi, inizialmente Peppino approda alla politica su una base puramente emozionale, tentando di uscire dal giogo famigliare di tacite intimidazioni, relazioni e codici comportamentali tipici di un nucleo ben inserito negli ambienti mafiosi locali.
Marco Tullio Giordana riesce a coniugare le due facce di Peppino: quella di inarrestabile esaltazione e quella cupamente disperata che emerge poi nella produzione poetica. Ne deriva un film che presenta il personaggio così come è stato, senza cristallizzarlo semplicisticamente nella figura di eroe. Anche nel raccontare il fenomeno della mafia, Giordana è incredibilmente sottile, condensandone molti aspetti in pregnanti inquadrature di sguardi e di scene solo apparentemente innocenti e quotidiane. I paesaggi mozzafiato della Sicilia fanno da cornice ad una storia narrata in un sussurro, senza essere infarcita dalla ridondante retorica o dai giudizi euristici in cui è così facile scivolare quando si parla di questioni come la mafia.
I miei occhi giacciono
In fondo al mare
Nel cuore delle alghe
E dei coralli
Il mare è un tema ricorrente che viene spogliato di ogni connotazione positiva e diventa immagine di abissale e impenetrabile sconforto. In un altro testo si dice che il mare «soffre in rivolta»: l’autore raggiunge una sorta di panismo con il paesaggio, e i suoi stati d’animo si fondono con i tumulti delle onde.
Nessuno ci vendicherà,
la nostra pena non avrà testimoni.
Con queste parole Peppino conclude uno dei suoi testi, ben riassumendo il suo abissale avvilimento che emerge sferzantemente nell’acrostico ANNA. Ad oggi, grazie a Marco Tullio Giordana e al suo pluripremiato film interpretato dal bravissimo Luigi Lo Cascio, grazie alle testimonianze di Salvo Vitale e degli altri che l’hanno conosciuto, e persino grazie alla musica folk dei Modena City Ramblers, siamo noi i testimoni di quella pena straziante che ci è raccontata nelle poesie.
Quella di Peppino Impastato è stata una vocazione poetica segreta, inosservata, senza ambizione, fiorita in un terreno di polverosa rassegnazione, che merita di essere ricordata accanto alla più nota immagine filmica di un ragazzo che non ha mai smesso di lottare, denunciare e tirare fuori tutto il suo essere.