Paul GPaul-Klee-Sogno-forte-1929auguin, La donna che sogna, 1892

Preparativi: sognare con Omero

Diario di un viaggio nell’Ade – I

 

«Scusami un po’, ma le Erinni esistono veramente?»

Era una ragazza di ginnasio, ed era seria. L’ho guardata un po’ stupito, un po’ imbarazzato: «Ma no, sono solo un mito. Non ti preoccupare…» e me la sono cavata.

Tuttavia a casa, la sera, stesomi sul mio bel lettino, ammetto che mi sono seriamente posto il quesito.

Per noi è facile: non ci siamo mai sognati di scavare una buca in spiaggia e di arrivare a stringere la mano a Lucifero, o di prendere l’aereo e investire qualche angioletto che svolazzava di là. Ormai sappiamo che esistono l’inconscio, le malattie mentali e le allucinazioni, e abbiamo scritto tomi su tomi per difenderci da questi scherzetti della mente. Ma un greco del XII o dell’ VIII secolo avanti Cristo cosa avrebbe potuto pensare? E se non sapessimo tutte queste cose, come potrebbe apparirci il mondo là fuori, quando magari è notte e non vediamo bene?

Riflettendoci, quella domanda non era tanto fuori luogo: per loro le Erinni esistevano veramente. E anche il fiume Oceano, il paese dei Cimmeri, l’Erebo e il regno di Ade. Allora, prima di cominciare un qualunque viaggio nell’aldilà greco è utile abbandonare le nostre convinzioni più strutturate, perché ci sarebbero di impiccio, e non riusciremmo a capire la reale importanza che quelle manifestazioni potevano avere nella mente di chi ne ascoltava il racconto. Bisogna capire che, per i greci, antichi fantasmi, spiriti e anche pensieri, emozioni e sogni sono entità del tutto concrete; e la prova di questo ce la fornisce proprio Omero.

Paul Gauguin, La donna che sogna, 1892
Paul Gauguin, La donna che sogna, 1892

È molto famoso l’episodio nel primo canto dell’Iliade in cui Achille, offeso da Agamennone che voleva sottrargli Briseide come risarcimento per la perdita del proprio bottino, sta per sfoderare la spada e uccidere il comandante dell’esercito acheo. Proprio in quel momento però, non vista da nessuno, compare Atena che afferra per i capelli Achille e lo trattiene: i due si scambiano un paio di battute e dopo di che, come se nulla fosse, Achille abbandona i suoi propositi e il colloquio tra i capi greci riprende da dove era si era interrotto.

L’intervento di Atena è valso come un monologo interiore per Achille: al termine del dialogo con la dea lui muta completamente le sue intenzioni, come se tutto fosse avvenuto all’interno della sua mente e nessuno si fosse accorto di nulla.

La cosa interessante però è che Atena «gli stette dietro» e «afferrò Achille dalla bionda chioma» (v. 196, canto I), ossia che per quanto l’intervento agisca su proponimenti interni, è reso tramite un’esperienza fisica. Julian Jaynes nel suo libro Crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza arriverà a dire che i momenti come questo, in cui un dio o chi per lui si affacciano nella mente dei personaggi e li aiutano nel decidere come comportarsi, sono la prova di un modo di pensare privo di coscienza volitiva, in cui le decisioni sono prese sulla base di voci udite e attribuite a fantasmi.

Senza spingerci a tanto possiamo affermare comunque che i greci, qualche volta, materializzino le loro dispute interne in figure concrete, a cui è attribuito uno spazio d’azione non sovrapponibile ma paragonabile a quello fisico. Ma le caratteristiche di queste entità le si notano meglio in come è descritta l’attività del sognare.

Ci sono due modi di sognare nei poemi: uno è l’apparizione di immagini mentali fasulle provenienti dal Paese dei sogni (Odissea XIX 560-567;); l’altro, il più interessante, è il “sogno esterno”, ossia quando l’immagine onirica è esterna all’immaginazione del dormiente ed è un’entità dotata di coscienza chiamata εἴδωλον[1], “piccola immagine”, “immaginucola”.

JohnHenry Fuseli The Nightmare
John Henry Fuseli The Nightmare, 1781

In quest’ultima modalità di sogno notiamo un fenomeno del tutto simile a quello riscontrato nell’intervento di Atena su Achille: un dio o un messaggero inviato dagli dèi si accomoda sopra la mente di chi dorme e gli parla intrufolandosi nei suoi pensieri. Si tratta di un sognare “concreto”, in cui veramente un dio o chi per lui si materializza nella testa del dormiente.

Come ci dice Rohde[2] in noi abita un piccolo simulacro di fumo, un’immagine d’aria chiamatπσυχή[3] che prende il sopravvento quando noi ci addormentiamo e vola via dal nostro corpo quando esaliamo l’ultimo respiro.

In uno dei quattro sogni esterni contenuti nei poemi, quello in cui Achille vede venirgli incontro l’anima di Patroclo (Iliade XXIII 65-92) non è solo un εἴδωλον quello che appare, ma una vera e propria πσυχή, un’anima, un fantasma.

E quando il sonno lo abbracciò, soave-
mente circonfondendolo, e l’affanno
del suo cuore sopì, – ché molto aveva
le splendide sue membra affaticate,
Ettore alla ventosa Ilio inseguendo,
dell’infelice Patroclo gli venne
l’ombra accanto, in tutto a quello eguale
nei belli occhi e nei membri e nella voce
e nelle vesti ond’era cinto. Stette
sopra il suo capo, e a lui così diceva:
«Tu dormi, Achille? E a me non pensi? Eppure
non di me, vivo, immemore mai fosti!

(Omero, Iliade, Traduzione di Guido Vitali, Milano, Mondadori, 1953, p. 219, vv. 93-103)

Alexey Gavrilovich Venetsianov
Alexey Gavrilovich Venetsianov, La ragazza che sogna

La mente di Achille diventa terreno di incontro fra questo fantasma che dovrebbe stare nell’Ade e Achille stesso.

Tutto ciò ci indica non solo che c’è una somiglianza fra gli spiriti dei defunti, le immagini che si assiepano nel nostro sognare e l’intervento degli dèi nella nostra vita, ma più in genere che per i greci arcaici esiste una realtà più sottile e più sfumata ma non per questo meno tangibile ed esperibile che è costantemente in contatto con la nostra e in cui siamo trascinati quando sogniamo, quando gli dei ci fanno visita o quando moriamo.

Prima di incamminarci allora verso questo regno dell’ombra bisogna comprenderne la materialità che aveva per l’aedo che ne cantava e per il suo pubblico. Perché questo ci indica che tutto ciò che c’è di favolistico nei poemi proviene da un’eredità popolare, da racconti di persone che pensavano realmente di aver avuto certe esperienze e fermamente ci credevano.

Il modo in cui Omero maneggia la tematica funebre non risponde a una mera finalità narrativa ed esegetica, ma risponde a una precisa finalità antropologica ereditata appunto da quei racconti e da quei rituali su cui si è costruita: quella di difendersi da fantasmi e spiriti chiudendoli in un regno ben delimitato, ossia quella di impedire il ritorno di crisi legate al loro ricordo e ai traumi connessi.

Avventurarci alla scoperta delle regioni dell’Ade significa avventurarci in un viaggio pieno di magia e bisogna comprendere il valore che questa aveva per chi ci era immerso. Occorre che abbandoniamo ogni pregiudizio e considerare i poemi omerici come qualcosa di più di un testo epico. Cominciare a pensare che sì, se navigassimo come Odisseo oltre i confini del mare probabilmente faremmo incontri inaspettati, forse persone che ricordavamo e non ci sono più e forse qualcosa di molto più antico e profondo ancora.

 

Leggi anche la seconda e la terza parte di Diario di un viaggio nell’Ade


In copertina: Paul Klee, Sogno forte, 1929 (particolare)

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