Può ancora nel 2018 colpire nel segno un film che parli di Gesù, degli apostoli e dei fatti accaduti nella città di Gerusalemme? Difficile da dire, soprattutto tenuto conto del fatto che viviamo in un’epoca in cui il cinismo del progresso sta ponendo le sue mani su tutto, ottundendo la sensibilità delle masse per ridurle a funzioni e ingranaggi della grassa macchina del capitalismo.
L’incipit di questa recensione tocca volutamente scenari politici perché il “Maria Maddalena” di Garth Davis è senza dubbio un film politico. Si racconta una delle storie più conosciute di sempre, quindi inutile cercare sorprese e colpi di scena. Quello che però cambia rispetto alle solite trasposizioni sulla storia di Gesù è il fatto che questa volta la figura del Messia viene posta, in un certo senso, in secondo piano. Tutto per dare la centralità del film a Maria Maddalena, la leggendaria donna ridotta dalla dottrina a prostituta ma che negli ultimi 15 anni (da Dan Brown in poi) sta rivivendo una stagione di rivalutazione. Ed è in questo senso che il film si muove, lento e doloroso, oscuro e con pochi sprazzi epici. Il regista dimostra in questo senso un gran coraggio, rinunciando alle facili orchestrazioni che una storia del genere richiama in modo naturale, puntando tutto sui rapporti umani di coloro che seguono il Cristo.
La pellicola è molto interessante proprio per questi aspetti umani. Il Gesù interpretato da Joaquin Phoenix colpisce per la sua fragilità, per le sue insicurezze, per la paura di un destino sanguinario e violento che lo aspetta prima dell’ascensione. Siamo abituati nel cinema a vedere un Cristo dolorante ma comunque sicuro di sé, della propria natura divina, del suo essere altro che si ricongiungerà presto alla casa del Padre. Questo Gesù è invece più umano, se vogliamo anche più piccolo nel suo essere così reale. A volte (pensiamo per esempio alla scena del Tempio) si ha quasi il dubbio che Davis abbia voluto spogliare il Cristo della sua natura divina trasformandolo in un personaggio carismatico ma totalmente privo una qualsiasi scintilla divina. Ma si tratta solo di una scelta del film che, come appare ovvio, non si spinge così oltre con la sua critica.
Il punto di rottura del film di Davis, il che lo rende più che interessante, è il rapporto burrascoso tra la Maddalena e gli altri apostoli. Un gruppo di uomini che deve accettare la decisione di Gesù di avere come guida una donna, una giovane fanciulla lacerata da conflitti interiori e da una personalità sofferente per un destino, quello di futura sposa e madre, mai realmente accettato. Maria è uno spirito libero, indomito, una raffigurazione di donna forte che spezza l’egemonia maschile e che provoca scompiglio all’interno della comunità che segue il Messia.
Appare chiaro che la scelta di Gesù mette in grave crisi l’ordine stesso degli apostoli, organizzati come un gruppo rivoluzionario disposto a tutto pur di diffondere la Parola ma che, proprio per questo aspetto eccessivamente dinamico e di azione, dimostra di non aver ben colto il messaggio del Cristo. Un messaggio che invece comprende perfettamente la Maddalena, l’unica persona in grado di percepire la grandezza e (al tempo stesso) la fragilità del messaggio. Non si tratta di uno stravolgimento dello status quo ma di una trasformazione e di un’apertura dell’animo umano. Questo è il regno dei cieli annunciato dal Salvatore.
Ecco dunque dove si poggia l’intero discorso politico del film che dà a una donna le “chiavi del regno” e il ruolo di unica, reale, testimone dell’ascesa del Cristo. Lei è la prescelta, colei che testimonierà dinnanzi agli altri credenti la divinità di Gesù. Una spaccatura che si evince perfettamente nel finale, in cui Pietro accusa Maria Maddalena di aver creato scompiglio all’interno del gruppo. Maria risponde dicendo che Pietro sta per portare avanti una visione personale e per dare vita a una Chiesa che, però, è ben distante dal reale insegnamento di Gesù. Si evince una feroce critica del regista verso un mondo, quello ecclesiastico, incapace di seguire quella che è la dottrina originale e pura del Cristo, distante anni luce dalla voce di una Chiesa troppo spesso ancorata al potere temporale e poco attenta ai bisogni dello spirito.
Un discorso a parte, necessario per concludere degnamente questa breve recensione, lo merita la protagonista Rooney Mara. Per chi scrive, attualmente non esiste un’attrice più brava e capace nel rappresentare un’infinita di emozioni, almeno per quel che riguarda il panorama americano. Un’interprete eccezionale che riesce con la propria espressività a rappresentare un insieme di sensazioni, cambiamenti, sentimenti, paure, angosce, fragilità. Una bellezza eterea e cristallina che, nella sua fragilità, trova invece una forza dirompente e inarrestabile. Una potenza espressiva che rispecchia appieno la forza della fede di Maria Maddalena, colei che più di ogni altro ha avuto la grazia e l’acume di comprendere la Parola del Salvatore, andando così oltre alle piccolezze dell’uomo e di coloro che puntano a un cambiamento politico ben distante dalla genuinità di una Fede pura e incorruttibile.