(…)
Così l’intelligenza abita in una modesta
stanza del cranio, e quegli stati meravigliosi
che ci furono promessi sono ricoperti
di ragnatele, per ora dobbiamo accontentarci
di un’angusta cella(…)
Abitiamo nella nostalgia: nei sogni si aprono
serrature e chiavistelli.
Così pensava della finitezza dell’uomo Adam Zagajewski. Queste sono le parole che fa dire al grande filosofo tedesco nella poesia Kierkegaard su Hegel, dove l’intelligenza, eretta a simbolo della grandezza umana, è limitata da un corpo, che per metafora è paragonato a una stanza modesta, mentre le aspettative della vita, meravigliosamente create dalla mente, sono come un vecchio mobilio, ricoperte dalle ragnatele e senza illusioni. L’intelligenza è destinata ad accontentarsi del quotidiano grigio e angusto come una cella. Non resta null’altro che la nostalgia dei ricordi: compagna dei vecchi, fardello dei giovani.
Adam Zagajewski nasce a Leopoli nel 1945, dopo la seconda guerra mondiale. Quando la sua città è annessa all’Ucraina la sua famiglia si trasferisce in Polonia, dove Adam termina gli studi. È qui che prende parte a un gruppo dei poeti polacchi, Generazione ’68. In segnuto ha insegnato a Berlino, poi dal 1982 al 2002 a Parigi, e adesso insegna all’Università di Chicago. È stato più volte candidato al Nobel per la Letteratura.
La poetica di quest’autore è coinvolgente per la sua discorsività. Le sue non sembrano poesie ma quadri, nei quali l’autore dipinge stati d’animo. Dipinge, perché le emozioni diventano immagini per se stesse avvincenti, come i versi tratti dalla poesia Nondove, che posto qui di seguito:
(…)
Era, quello, un giorno nondove appena tornato dal funerale di mio padre,
un giorno fra i continenti, smarrito camminavo per le stradeil vento sbadigliava a fauci spalancate come un cane da caccia,
la cassiera nel negozio di alimentari, in nessundove
(era intricata dal mio accento), domandò di dove io fossi,
ma avevo dimenticato, avevo voglia di raccontarle
della morte di mio padre, tuttavia pensai: sono ormai
un po’ troppo vecchio per l’orfanità.(…)
La nostalgia di cui parlavamo sopra, quale forma più tangibile di quel «nondove», di quel vento che sbadiglia a fauci spalancate come un cane da caccia, stanco del lungo correre, del lungo affannarsi nella vita. Davanti alla perdita di un genitore, a volte rimane solo la voglia di raccontarsi, perché siamo smarriti e soli, bambini incanutiti, ora senza più storia.
Mi sono ritrovata nei versi «sono ormai un po’ troppo vecchio per l’orfanità», perché quando morì mio padre avevo quasi quarant’anni e nonostante il dolore lacerante, mi resi conto di essere troppo vecchia per considerarmi orfana, che la storia mia ormai si protendeva verso una nuova famiglia, andava avanti così come è nella ragione delle cose.
Per il padre Zagajewski dimostra uno sconfinato amore, che per pudicizia non urla al mondo intero. Verso sua madre invece ha un comportamento diverso. La poesia Di mia madre, di cui riporto i primi e gli ultimi versi, è un quadro di un amore controverso, di un sentimento profondo che si scopre nella perdita, nelle parole dette e non capite, che risuonano nella testa, nel ricordo di piccoli gesti consueti:
(…)
Di mia madre nulla saprei dire –
come ripeteva, rimpiangerai un giorno,
quando non ci sarò più, e come non credevo
né nel più, né nel “non ci sarò,(…)
…. come volavo da Houston
al suo funerale e in aereo veniva proiettato
un film comico e come piangevo di riso
e di rimpianto, e come non ero in grado di dire nulla
e continuo a non esserlo.
Per mostrare di nuovo questa peculiare pittura di parole, delicata e profonda, trascrivo questi pochi versi della poesia Il faggio, dove la nostalgia si materializza e si esalta in sinestesia pura, in metafora, «autismo autunnale» – che ci fa sprofondare in una cupa sensazione di grigio, che si esalta in quei rami come ragnatele e torri, che ci ricorda La Chiesa di Auvers di Van Gogh.
(…)
Vedi un magnifico faggio che è sprofondato
senza scampo nell’autismo autunnale.
I rami come ragnatela fanno da sipario alle torri della cattedrale,
la vecchia campana dorme il sonno dei giusti.(…)
Sono versi adulti questi di Adam Zagajewski, versi in cui la baldanza della gioventù ha lasciato il posto al disincanto della maturità, quando ormai più della metà del cammino è fatto.
Ma forse facevamo soltanto finta di non sapere niente.
Forse così era più facile, di fronte all’enormità dell’esperienza,
di fronte alle sofferenze (sofferenze altrui, in generale).
Forse c’era in questo addirittura un po’ di pigrizia
e un briciolo d’indifferenza ostentata.(…)
… quando cominciavamo a capire qualcosa
avevamo paura del nostro coraggio.(…)
Inizia così la bellissima poesia Mare del Nord, che ci lascia silenziosi e basiti, colpevoli e innocenti, aggrediti e aggressori, autori della nostra vita che spesso lasciamo andare per paura di avere coraggio.
Amaro ma non senza speranza, il poeta ci si pone davanti con pacatezza e le sue osservazioni sono inoppugnabili. Sentite com’è chiaro e vero il messaggio della sua poesia La Sconfitta:
Davvero sappiamo vivere solo dopo la sconfitta,
le amicizie si fanno più profonde,
l’amore solleva attento il capo.
(…)
Chi di noi non ha provato il dolore cocente della sconfitta. Il poeta ci esorta a costatare cosa questa sconfitta ci ha lasciato, quanto siamo migliorati. È un messaggio ricco d’amore per la vita, come nella poesia sua forse più conosciuta, Nella bellezza altrui, dove è forte il messaggio di vedere nell’altro il lato bello, di abbattere il muro della diffidenza, di essere curiosi.
È chiaro il riferimento al problema dell’integrazione delle culture e delle religioni, che Adam Zagajewski tratta con la delicata dolcezza della poesia, invitandoci ad ammirare la bellezza della diversità:
Solo nella bellezza altrui
vi è consolazione, nella musica
altrui e in versi stranieri.
Solo negli altri vi è salvezza,
anche se la solitudine avesse sapore
d’oppio. Non sono un inferno gli altri,
a guardarli il mattino, quando
la fronte è pulita, lavata dai sogni.(…)
In copertina: Caspar David Friedrich, Tramonto sul mare, 1910
Tutte le poesie citate sono tratte dalla raccolta Dalla vita degli oggetti – Poesie 1983-2005. a cura di Krystyna Jaworska, Adelphi, 2012.