Elina Sventsytska, scrivere versi per vestire il dolore nudo

Elina Sventsytska

Non fare avanti indietro fra luce e tenebre,
dove gli ultimi termini sono scaduti,
dove le canzoni brutali sono cantate,
dove sotto il cielo della polvere e del sonno
gli anni/le estati dagli occhi profondi si sono adagiati?

Raccontami, raccontami come
prima della morte il volto arde,
e gli alberi sono l’ombra dell’albero della vita,
che su al cielo innalza l’abbraccio.

Stenta a cadere la stella morta,
dondola nel cielo lentamente…
potessi non scrivere versi, ma dove
prendere vestiti per il dolore nudo?

Ecco, siamo finalmente arrivati
per viverci in queste parole di sabbia,
e al mattino, nella brillante oscurità,
fino alla terra abbandonata
strisciare almeno nei sogni maledetti.

Traduzione di Tamara Panych

Autrice di questa splendida poesia, tradotta dalla figlia Tamara, è una poeta ucraina, Elina Sventsytska, nata nel 1960, attualmente rifugiata ad Anzio. Scrittrice, docente universitaria di letteratura, ha insegnato fino al 2014 presso l’Università Nazionale di Donetsk intitolata a V. Stusa. Dopo la partenza ha insegnato prima a Vinnitsa e a tutt’oggi insegna presso il Dipartimento di Filologia e Giornalismo Slavo dell’Istituto di Filologia e Giornalismo dell’Università Nazionale di Tavria in Kiev. Scrive poesia in ucraino e prosa in russo ed è autrice di otto libri come pure di articoli di letteratura e critica. Ha vinto numerosi premi letterari ed è un’ottima performer nella recitazione dei suoi versi.

алесь усцінаў guerra ucraina

Abbiamo raccolto i brandelli dell’esistenza,
il fumo nero si dissolve piano piano.
A Sloviansk vivevamo, a Donetsk vivevamo.
Le nostre anime disperse, come grani mortali.

Come dalla terra stessa, dalle vene stesse,
dai muscoli stessi, impregnati dalla oscurità,
il fuoco nero si è espanso attraverso il mondo,
dalla sporca verità alla bugia sacra.

Basta, basta colpire gli uccelli coi cannoni.
se avessimo potuto, come uccelli saremmo volati,
a Sloviansk vivevamo, a Donetsk vivevamo,
volevamo tornare, tornare a casa.

La melma della guerra ci assorbe tutti,
in mezzo alla piazza nemica, nella città straniera,
a Sloviansk vivevamo, a Donetsk vivevamo,
volevamo tornare, tornare a casa.

Ma di casa ci è rimasta solo la chiave,
la vittoria senza braccia, il ribrezzo senza fine.
L’Ucraina si erge nel buio europeo,
e, come una alta torcia, arde, arde…

Traduzione di Marina Sorina

L’angoscia che il poeta assume in sé è quella di un popolo che ha perso tutto, perché della casa, metafora assoluta della distruzione, resta solo la chiave di una porta inesistente. È l’angoscia di sapere che la propria Nazione brucia nell’assoluto “buio europeo“. Un’Europa che di fronte a questa tragedia ha dimostrato tutta la sua fragilità, la sua scarsissima volontà di farsi promotrice per la pace e il rispetto dei diritti democratici di tutti, rimanendo imbrigliata in una rete intricata.

E la finestra aperta spalancata
sulla rovente e insaziabile angoscia,
e il fruscio della mia città –
quasi venisse dal mondo di là.

Ma nella mia città c’è la guerra,
che fra noi non vuole nessuno,
e di nuovo volano alla finestra
gli angeli feriti dalla casa.

E vedono le case tutte vuote,
e vagano tra le parole storte…
O quante acque sporche,
sporche di altisonanti verità!

Dovunque serpeggia la nebbia,
ondeggia va l’aria ebbra.
Per qualcuno la nostra casa e il nostro dolore,
sono un’immagine qualunque sullo schermo.

Quanto la sogniamo dalla lontananza!
Sconfinata, come la colpa,
naviga attraverso le vene la terra,
e nella terra di mezzo c’è l’Ucraina.

Aspetta i suoi poveri vampiri,
che già avanzano verso il nulla,
Magari arrivassero finalmente a casa,
per sfamarsi e dissetarsi, come gli umani.

Traduzione di Giulia Marcucci

aлесь усцінаў guerra ucraina

«Ma nella mia città c’è la guerra, / che fra noi non vuole nessuno…» questi versi con lampante semplicità ci raccontano la verità su questo assurdo conflitto, che non voleva nessuno e che ci vede tutti perdenti.

La poesia di Sventsytska è una poesia molto rigorosa ed etica, analizza e sviscera la storia con le armi della metafora, che solo la poesia sa avere.

Il dolore è nudo, come lo è sempre l’umanità di fronte alla stupidità feroce della guerra, della violenza e del sopruso. I versi non possono diventare vestiti, altrimenti l’umanità avrebbe un così ricco e variegato guardaroba, da non cadere più nella trappola della violenza, della sopraffazione, della guerra. Il poeta è sconfortato dalle sue armi spuntate e urla la sua parola senza addolcire al lettore l’amara pillola della verità.

Leggo le notizie ed ecco,
qualcosa di brutto accade:
mi crescono gli artigli,
mi spuntano le zanne,
un guscio mi ricopre la schiena.
attorno – la terra nera
non sangue, ma fuoco che piange,
non corpo, ma carne selvaggia,
non cervello, bensì covo di serpi.
come faccio a vivere, ora?
come non temere me stessa?
Dio ce ne scampi,
se mi vedono i bambini –
potranno mai trattare con me?
come potrò vivere ora?
…ma è una novità davvero?

In questa trasformazione, che mi ha ricordato la Metamorfosi di Kafka, è la lettura delle ultime notizie a scatenare l’evento disastroso. È la guerra che rende mostri gli uomini. Il poeta allora si chiede e ci chiede: come potranno i bambini trattare con questa umanità impazzita?

Incontriamo la nostra poeta, che ricordo vive nel Lazio e ho potuto avvicinarla grazie agli amici del blog La macchina sognante per farle qualche domanda.

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Elina cara, ho dato una mia personalissima interpretazione di alcune delle bellissime liriche che mi hai inviato. Puoi raccontare ai lettori del blog di Storie Sepolte la tua esperienza con la guerra, scoppiata ufficialmente nel febbraio 2022?

Grazie, cara Silvia, per l’attenzione alle mie poesie. La tua interpretazione è molto profonda, sei riuscita a sintonizzarti con la mia onda.

A dir la verità, per me la guerra è scoppiata nel 2014. Io come molti abitanti di Donetsk, che non erano d’accordo con l’occupazione russa, siamo stati costretti a lasciare la casa e scappare. A Kiev ho vissuto per otto anni, lavorando e cercando di ricostruire la mia vita, affezionandomi alla città, che nel marzo del 2022 ho dovuto abbandonare, convinta dalle mie figlie preoccupatissime per la mia salute e dalla sofferenza dei miei animaletti.

Questa è la storia. Per quanto mi riguarda, vivo una condizione esistenziale disarmonica, nella quale le emozioni contrastanti di paura e serenità, gioia e dolore, soddisfazione e insoddisfazione si alternano come nuvole trascinate da un vento freddo, che il sole non scalda. Non è facile mantenere l’equilibrio ma in questo mi è d’aiuto lo studio.

Ho letto che hai svolto lavoro di docente universitaria e che hai all’attivo otto libri pubblicati, tutti di poesia.

Ho insegnato per tutta la vita: prima nella scuola, poi per quasi 20’anni all’Istituto Umanitario di Donetsk. In 2014 ho cambiato e ho iniziato ad insegnare a Vinnitsa, dove si era trasferita la parte dell’Università in disaccordo con la conquista della cosiddetta Repubblica di Donetsk

Successivamente in 2016 mi sono spostata all’Università Nazionale di Tavria, per la quale lavoro tutt’ora. Sono ricercatrice letteraria specializzata di teoria della letteratura; come tale ho pubblicato due monografie scientifiche e molti articoli. Inoltre, sono autrice di otto libri letterari, anzi quasi nove, di prosa e poesia. Poiché scrivo in entrambi i generi. La particolarità è che scrivo la prosa in russo, mentre le poesie in ucraino..

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Parlaci delle tue opere, di quel dialogo interiore del poeta con il mondo e la tua visione della letteratura e della sua funzione.

Per quanto riguarda le mie opere di prosa esprimono la mia vera natura: che è quella di una persona equilibrata, piena d’umorismo e d’ironia. La poesia invece ha un tono tragico-elegiaco come è del resto la mia anima, che indaga ontologicamente il suo tempo presente e lo elabora nel verso. Va detto che questo momento storico ispira poco ottimismo; anzi nella mia situazione sarebbe da criminali cercare delle parole positive sulla guerra.

In merito al concetto di pessimismo/ottimismo che spesso vengono applicati all’Arte, soprattutto dal XX secolo, mi trovo d’accordo con Gorky che non funziona. La letteratura prima doveva fornire risposte, ora invece pone domande e ormai lo fa da molto tempo. Che cosa sappiamo? Che l’uomo è solo. Che non sa cosa fare di sé e della sua vita. Forse è per questo che scrivo, per fare qualcosa della vita.

Il concetto della memoria ed i ricordi hanno un grande significato nelle mie poesie. La memoria si intende nella dimensione esistenziale: non si parte mai da una pagina bianca. Pure se i ricordi non trovano più spazio nella vita, pure se fanno male devono vivere. Anch’io da parte mia ho accumulato molti ricordi dolorosi e forse inutili, ma non voglio che il passato scompaia. Il ricordo di Donetsk, quella Donetsk che non esiste più, se non nella mia testa;che anzi forse non è mai esistita, è qualcosa che mi porto dietro ed è giusto così.

Permettimi un’ultima considerazione, a proposito di quanto diceva Adorno sullo scrivere poesia dopo Auschwitz. È da più di otto anni che ci sto pensando, visto che Auschwitz è paragonabile con delle prigioni terroristiche a Donetsk oggi o con la distruzione spietata delle città di Mariupol o Kharkov, che conosco personalmente; nonché con altri innumerevoli eventi disumani,che la poesia non può tacere, perché sussume in sé l’amore e la compassione dell’umanità.

Mi rattrista osservare come oggi, nei tempi di guerra la poesia a volte cada in questa trappola di diventare un accessorio retorico o un armamento. A volte non ce ne accorgiamo nemmeno, finché non è troppo tardi. Tuttavia la vera poesia esiste e ha tutt’ora la sua influenza speciale, ma solo quando riesce a passare dall’essere un testo ritmico e creare con delle parole esatte inserite nel flusso energetico una realtà nuova, chiaramente percepita.

Questo solo è, in linea di massima, ciò a cui può aspirare un poeta. Salutiamo Elina Sventsytska con un’ultima domanda. Non è molto che sei in Italia e in poco tempo hai imparato la nostra lingua. Visto il protrarsi del conflitto, che programmi hai in Italia, che vorresti realizzare?

Sì parlo italiano, ma più imparo la lingua, più mi rendo conto di quanto ho ancora da imparare e capire per essere quello che voglio, quello che ero in Ucraina: una scrittrice seria, un’autrice di poesia e prosa.

Onestamente ora come ora non sto facendo progetti a lungo termine, non sento la stabilità. Senza dubbio continuerò a scrivere: poesia in ucraino e in italiano, prosa in russo e in italiano. Speriamo che man mano troverò anche qui i miei lettori, sta già succedendo: recentemente le mie poesie sono state pubblicate nella rivista letteraria italiana ClanDestino. Inoltre, continuerò ad insegnare, sia in Ucraina che in Italia: speriamo nel rinnovo del mio contratto qui. Infine, tanto per cambiare, aiuterò mia figlia a crescere il mio nipotino che nascerà presto. Grazie Silvia del tuo interessamento e di questa piacevolissima conversazione!

 


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Silvia Leuzzi
Silvia Leuzzi

Ho un diploma magistrale e lavoro come impiegata nella scuola pubblica da oltre trent'anni. Sono sposata con due figli, di cui uno disabile psichico. Sono impegnata per i diritti delle persone disabili, delle donne e sindacali. Scrivo per diletto e ho al mio attivo tre libri e numerosi premi di poesia e narrativa.