Esiste una bella locuzione, in latino, che recita così: Parturient montes, nascetur ridiculus mus. Tradotta letteralmente, significa: «I monti avranno le doglie del parto, nascerà un ridicolo topo» (Orazio, Ars poetica, v. 139). Orazio, in questo modo, se la prendeva con quegli artisti che promettono di tutto e di più riguardo alla qualità della propria opera, per poi non mantenere le aspettative. La frase è così divenuta proverbiale, e s’usa per dire, in tono sarcastico, anche in italiano: «La montagna ha partorito (o partorirà) un topolino» per indicare che un evento è stato (o finirà con l’essere) di gran lunga inferiore alle attese.
Perché dico questo? Cosa c’entra con l’ultimo lavoro di Woody Allen, Irrational man? Beh, diciamo che se andaste a vederlo, mentre il film si avvierà verso la sua conclusione, non potrebbe sembrarvi strano sentire degli squittii insistenti in sala.
Ma, ancora prima di queste considerazioni, è necessario fare un passo indietro: partiamo dalla trama. Abe Lucas, professore di filosofia, capace di circondarsi di un’aura mistica e leggendaria da “bohémien” , approda in una nuova scuola nel Rhode Island. Lì, afflitto dall’ansia e dall’inesattezza dell’esistenza, si circonda di nuove relazioni (con una collega e con una sua studentessa) che non riescono però a risvegliarlo dal suo torpore. Il rimedio alla mancanza di senso della sua vita verrà trovato solo nella giustizia, o presunta tale: uccidendo Thomas Spengler, un giudice corrotto, Abe pensa infatti di poter trovare uno scopo, un senso alla sua vita; il giudice, infatti, ha in mente una combine con un avvocato per affidare la custodia dei figli di una donna al marito di questa, seppur tutti sappiano quanto inaffidabile e degenerato l’uomo sia.
Il professore viene a conoscenza di questi fatti totalmente a caso: non è amico della donna, né un suo conoscente; semplicemente ascolta per sbaglio, in una tavola calda, la conversazione dei vicini di tavolo (in cui siede, appunto, la donna in questione e i suoi famigliari). Abe inizia così a pedinare Spangler e ad architettare un piano per avvelenarlo, sapendo che mai i sospetti potrebbero cadere su di lui, una persona totalmente estranea ai fatti e senza- apparentemente- un movente. Così, dopo aver compiuto l’omicidio (non svelo in che modo), il film incomincia a degenerare insieme ai fatti rappresentati. La rappresentazione sembra perdere mordente e chiarezza: Allen incomincia a velocizzare le cause e gli effetti senza una ragione e senza criterio. La seconda parte del film cresce e si sviluppa andando a distruggere il buon lavoro svolto dalla prima.
Ed è un vero peccato assistere a questa rovina: il film, infatti, è frizzante e, a tratti, molto ironico; persino con se stesso. Nella prima metà riesce a costruire dei personaggi solidi nella loro evanescenza e verosimili nella loro assurdità, elaborando un ottimo sviluppo dell’intreccio fondato su considerazioni esistenzialistiche dal tono inconfondibilmente alleniano. Le musiche scelte, inoltre, mi hanno colpito: sono carismatiche e accompagnano con discrezione le scene, non risultando mai arroganti o fuori luogo. Infine, la prova attoriale di Joaquin Phoenix (che già avevo amato in Her) e di Emma Stone (che amo, e basta) vale da sola buona parte del biglietto.
Ma, allora, cosa c’è che non va in questo film?
La sceneggiatura. La dannata sceneggiatura. E Woody Allen non può cadermi così. Non ancora. Non dopo To Rome with Love.
Ero riuscito da poco a cancellare dalla memoria quello scempio grazie a Blue Jasmine e a Magic in the Moonlight: non ero pronto ad assistere, ancora, agli stessi errori. Irrational man è un film che chiude la sua rappresentazione nell’inconsistenza, nella voglia sbrigativa di finire tirando i primi fili della trama che capitano sotto mano, non chiudendo alcune questioni rilevanti della storia e donando allo spettatore un senso di blando e di inutilità di fondo. La mia reazione, ai titoli di chiusura è stata questa: «Ok… ok. E quindi?»
E quindi? Il film è forse da buttare per colpa del suo atteggiamento mentre si avvia alla conclusione? Certo che no. Woody Allen ha tentato di sabotarsi, ma non ci è riuscito del tutto (e, ti prego, Woody: non farlo mai più).
Oltre ai punti forti del film, che ho già detto, le tematiche trattate hanno un loro fascino intrinseco e sono trattate con maestria: la casualità, la morte, le conflittualità del quotidiano, il dominio della coincidenza… Allen sa di che cosa parla, e l’atteggiamento intellettualistico del film avrebbe pure un saldo appiglio nei personaggi in scena e nella trama. Ma… ok, avete capito, ormai. La seconda parte smonta tutto, rendendo gli sforzi precedenti vani e ridicoli. È praticamente la storia della vecchia imbellettata di Pirandello. E mi piace immaginarla sopra ad una sedia, in piedi, spaventata e arrabbiata come la padrona di casa nelle puntate del cartone Tom & Jerry, mentre grida per scacciare la presenza dei topolini sotto di lei. Peccato che sia stata lei stessa, forse senza accorgersene, ad aver lasciato ingenuamente la porta aperta per farli entrare.